Due vasetti di cetriolini con freccia rossa verso il basso; concept: shrinkflation, sgrammatura

Il prossimo aprile entrerà in vigore la legge contro la cosiddetta shrinkflation, o sgrammatura, la pratica di ridurre la quantità di prodotto lasciando il prezzo inalterato. Almeno in teoria. Questo perché, come rivela Pagella Politica, l’Italia sarebbe a rischio procedura d’infrazione da parte della Commissione Europea, com’era successo anche per il divieto di produrre e commercializzare carne coltivata, e quello di usare termini come ‘burger’ o ‘bistecca’ per i prodotti a base vegetale.

La shrinkflation

Gli esempi di sgrammatura sono ormai numerosi: dal pacchetto di patatine che contiene una decina di chips in meno, fino ai pacchi di pasta da 450 grammi invece del classico mezzo chilo. A questi si aggiungono quelli degli acquisti stagionali, come le colombe pasquali da 750 grammi vendute al prezzo di quelle da un chilo. Il problema riguarda un po’ tutto il comparto alimentare e interessa prodotti come il formaggio spalmabile Philadelphia light (passato da 200 a 190 grammi), le merendine Kinder Brioss (da 280 a 270 grammi), i biscotti Krumiri Bistefani (da 300 a 290 grammi) e le bibite Spumador (da 1,5 a 1,15 litri), secondo una rilevazione di Altroconsumo.

Nocciolata Rigoni Shrinkflation Altroconsumo
Un esempio di Shrinkflation, secondo l’analisi di Altroconsumo

Se questo giochetto viene fatto su una busta di Prosciutto crudo di Parma DOP o di Bresaola della Valtellina IGP riducendo di 10 g il contenuto (da 100 a 90 g) e mantenendo lo stesso prezzo di vendita, il consumatore paga per ogni confezione 5-6 euro in più al chilo. Tuttavia, non tutte le riduzioni di formato sono penalizzanti. Altroconsumo segnala il caso di alcune marche di tonno in scatola, in cui la riduzione di peso ha interessato solo il contenuto di olio, mantenendo identico il quantitativo di pesce sgocciolato.

La legge italiana contro la shrinkflation

Lo scorso 12 dicembre, il Senato aveva approvato in via definitiva il nuovo articolo 15-bis del Codice del consumo intitolato “Disposizioni in materia di riporzionamento dei prodotti preconfezionati”, una misura pensata per tutelare consumatori e consumatrici dalla shrinkflation (da ‘shrink’, restringere, e “inflation’, inflazione). La norma prevede di apporre sul prodotto sgrammato un’etichetta o un adesivo in cui si dichiara: “Questa confezione contiene un prodotto inferiore di X (unità di misura) rispetto alla precedente quantità”. L’indicazione deve rimanere sui prodotti per una durata di sei mesi dalla prima messa in commercio del nuovo formato.

Tuttavia, la norma non prevede di segnalare esplicitamente di quanto è aumentato il prezzo al chilo, una lacuna evidenziata dalle associazioni dei consumatori, che avevano chiesto di introdurre correttivi alla legge. Un’altre criticità segnalata al Garante dei prezzi riguarda il fatto che la misura disciplina il fenomeno della shrinkflation solo quando il packaging resta inalterato. Di conseguenza le aziende potrebbero aggirarla semplicemente introducendo un nuovo formato, leggermente diverso dal precedente. Le associazioni hanno sollevato anche il problema degli sconti temporanei, che possono nascondere in un primo momento la sgrammatura.

Prosciutto cotto Gran Biscotto shrinkflation Altroconsumo
Un altro esempio di shrinkflation, secondo Altroconsumo

Il rischio procedura d’infrazione

Tutto questo però potrebbe non avere importanza. Infatti, a causa di errori commessi in fase di approvazione della legge, l’Unione Europea potrebbe aprire l’ennesima procedura d’infrazione. Il Governo italiano, spiega l’esperta Vitalba Azzollini su Pagella Politica, non avrebbe rispettato le regole da seguire quando si modificano le norme che possono restringere il mercato unico europeo, la cosiddetta ‘procedura Tris’. Inoltre, la versione notificata alla Commissione europea sarebbe diversa da quella approvata in Parlamento.

L’Italia, insieme alla Francia, è stata tra i primi in Europa ad aver introdotto una normativa tecnica per arginare il fenomeno. Ancora una volta abbiamo fatto da apripista”, aveva dichiarato il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. La Francia, però, ha rispettato le regole europee di notifica, per cui sulla sua legge contro la shrinkflation – che prevede siano i distributori, e non i produttori, a segnalare la sgrammatura – non si abbatterà la scure della procedura di infrazione.

© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos, Altroconsumo

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Tommaso
Tommaso
29 Gennaio 2025 18:43

Io proprio non capisco chi va a fare la spesa senza guardare solamente il prezzo al chilo. Personalmente, anche considerando solo i prodotti che acquisto frequentemente, non ho idea di quanto costino in termini unitari, ne conosco invece a memoria i prezzi al chilo. Si tratta di un’informazione a disposizione di tutti, se poi uno preferisce non vederla è un problema suo. Laddove l’informazione è pubblica e facilmente reperibile, l’ignoranza è una scelta. Le aziende possono giocare con le quantità dei loro prodotti come pare a loro, se davvero ci sono consumatori tanto stupidi da farsi ingannare così facilmente vuol dire che se lo meritano

Gianni Danno
Gianni Danno
29 Gennaio 2025 19:20

Quando regolare l’industria è difficile o quasi impossibile, governi e associazioni dovrebbero impegnarsi in campagne di sensibilizzazioni atte a informare il consumatore ma anche a puntare il dito contro pratiche di questo tipo al fine di renderle meno attrattive per le imprese, per paura della forte disapprovazione da parte del consumatore.
Ma chi ne continua a parlare è solo un ottimo quotidiano online che ha decisamente troppa poca visibilità relazionata alla qualità delle informazioni presentate.

Un sogno…

Tonino Riccardi
Tonino Riccardi
29 Gennaio 2025 21:52

Io mi ero dimenticato gli “occhialini” per la presbiopia in macchina. Sono ritornato a prenderli perché leggo sempre le etichette. E comunque mai il prezzo a pezzo ma a kg. Si fa il confronto e si compra.

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