Nei prossimi dieci anni, e quindi entro il 2035, tutti i paesi dovrebbero aumentare le tasse di tabacco, alcolici e bevande zuccherate (soda, cioè gassate) fino a un incremento del 50% del prezzo. A dirlo è l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che ha lanciato la sua 3×35 Initiative a un recente incontro svoltosi a Siviglia, in Spagna. Il programma ha diverse finalità: migliorare la salute globale, aumentare la consapevolezza dei cittadini e, contestualmente, raccogliere un trilione di dollari, da destinare al sostegno di tutti i programmi messi in pericolo o sospesi dopo l’uscita degli Stati Uniti dall’organizzazione e da molte altre iniziative umanitarie e di salute globale.
Ancora oggi – si legge nel comunicato – il tabacco provoca sette milioni di decessi all’anno, mentre alcol e soda fanno lievitare l’incidenza dei tumori e delle malattie associate al sovrappeso e al metabolismo. Secondo le stime, se tutti i paesi alzassero la tassazione delle tre categorie fino al 50% nei tempi previsti, i ricavi nei primi cinque anni potrebbero essere anche superiori, e arrivare a 3,7 trilioni di dollari, pari a 740 miliardi di dollari all’anno: una cifra che potrebbe supplire al grave danno inferto dall’addio degli USA, e sostenere nuove iniziative dedicate alla salute globale. Dal punto di vista delle vite risparmiate, sarebbero 50 milioni, nei prossimi 50 anni.
Una strategia armonizzata
Al di là delle parole, poi, l’OMS si offre di aiutare i governi a impostare le migliori politiche di questo tipo, in base a ciò che dicono decenni di studi, e a costituire una base comune per cercare di armonizzare le diverse strategie a livello internazionale.
Jeremy Farrar, vice direttore generale con delega a Health Promotion and Disease Prevention and Control, ha sottolineato che “Le tasse legate alla prevenzione delle malattie sono uno degli strumenti più efficaci di cui disponiamo e, al tempo stesso, generano introiti che gli stati possono reinvestire in iniziative di prevenzione, educazione della popolazione e protezione sociale: è tempo di agire”. Inoltre, per motivare i governi, ha ricordato che, tra il 2012 e il 2022 ben 140 paesi hanno imposto tasse sul tabacco fino al 50%: agire a livello globale è quindi possibile, e offre l’indubbio beneficio di far aumentare la consapevolezza dei cittadini.
Del resto, dalla Colombia al Sud Africa, i paesi che hanno introdotto questo tipo di tasse hanno usufruito molto presto dei vantaggi, ha aggiunto. Ma poiché, al tempo stesso, ce ne sono ancora troppi che sovvenzionano le industrie più dannose come quella del tabacco, c’è bisogno di un’azione più forte e decisa. Tra l’altro, uno degli sviluppi futuri potrebbe essere l’estensione della stessa iniziativa agli ultra processati, dopo che l’agenzia avrà finalizzato la definizione di questo tipo di alimenti nei prossimi mesi.

Bevande zuccherate e produttori
Com’era prevedibile, i produttori si sono subito scagliati contro l’Initiative. Tra questi, l’International Council of Beverages Associations ha affermato, non senza una certa sfacciataggine, che gli studi mostrano che la sugar tax (o soda tax) non migliora la salute né fa diminuire l’obesità, anche se in realtà tutti gli studi fatti negli ultimi decenni confermano la validità di questo tipo di provvedimenti, se ben strutturati e inseriti in un programma articolato. Lo stesso ha affermato il rappresentante dell’International Food and Beverage Alliance, che ha deplorato l’associazione tra le soda e alcol e tabacco, così come quello del General della Distilled Spirits Council, che ha sostenuto che la tassa non previene i rischi associati all’alcol.
Il caso del Kenya
Anche se tutto il mondo beneficerebbe di una tassazione di questo tipo, l’attenzione dell’OMS è soprattutto ai paesi a sviluppo medio e basso, nei quali, negli ultimi anni, la situazione è drammaticamente peggiorata. Il cibo spazzatura e le bevande zuccherate che rimpiazzano l’acqua (spesso concessa ai produttori, a danno delle popolazioni) hanno fatto aumentare a dismisura i tassi di incidenza di malattie quali quelle cardiovascolari, il diabete di tipo 2 e alcuni tipi di tumore. Lo conferma il caso del Kenya, di cui parla un reportage della Reuters, che riprende un’indagine svolta dalla Access to Nutrition Initiative, un’organizzazione no profit che ha già svolto studi simili in India, Tanzania, Stati Uniti e altri paesi.
In base a quanto visto in 746 tra alimenti e bevande venduti in trenta tra i principali supermercati e catene, che distribuiscono il 57% del cibo consumato nel paese, il 90% dei prodotti dovrebbero essere etichettati come non sani. Due terzi avrebbero il punteggio peggiore al Nutriscore. E non ci sono distinzioni tra quelli che arrivano dalle grandi multinazionali come la Coca-Cola e quelli realizzati localmente: sono tutti o quasi pessimi. Ma apprezzati dalla popolazione, se è vero che tra il 2018 e il 2023 le vendite di prodotti confezionati sono aumentate del 16%. Il risultato è che dal 2000 a oggi i tassi di obesità sono triplicati, e oggi è obeso il 45% delle donne e il 19% degli uomini.
Fa male alla salute.
Il governo sta cercando di correre ai ripari, ha pubblicato le sue linee guida e in base a esse dovrebbe presto varare le regole per l’apposizione di diciture frontali sulle merci confezionate. Se queste fossero approvate così come sono state concepite, quasi tutti i prodotti venduti in Kenya recherebbero la dicitura: fa male alla salute, o qualcosa del genere.
Se davvero il governo varasse quelle norme, sarebbe uno dei primissimi in Africa a farlo. E ora potrebbe affiancare alle etichette le tasse, aderendo alla 3×35 Initiative e rafforzando così il proprio impegno per la salute dei propri cittadini.
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Giornalista scientifica



Anche supponendo che i governi lo facciano, di introdurre altre tasse, perchè questi soldi dovrebbero andare all’OMS? Eventualmente, ogni stato li investa nel migliorare la salute e la sanità pubblica in ambito nazionale, e non per alimentare un ente sovranazionale, per buona parte sovvenzionato da fondazioni private.
E comunque, messa così, pare che l’obiettivo dell’OMS, più che la salute, sia di rimpinguare il proprio portafoglio (nel senso di “proprio dei membri dell’OMS”), messo in pericolo dalla decisione degli Stati Uniti di abbandonare l’ente.