“La pubblicità deve essere onesta, veritiera e corretta”, così recita il primo articolo del codice dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (l’unica struttura privata italiana che si è assunta volontariamente il compito di tutelare i cittadini dai messaggi ingannevoli). Detto ciò, è lecito chiedersi come abbia potuto il Comitato di controllo di questo Istituto, ritenere “veritiero e corretto” un messaggio oggettivamente scorretto come quello presente sull’etichetta e nello spot dell’acqua minerale San Benedetto che indica Ecogreen “CO2 impatto zero”.
La richiesta di censura inviata da Il Fatto Alimentare che contesta la dicitura “Ecogreen” insieme a “CO2 impatto zero”, utilizzata da San Benedetto per accreditarsi come azienda “verde”, è stata affiancata da autorevoli pareri scientifici difficilmente contestabili. Nonostante ciò, la richiesta è stata bocciata.
Greenwashing
Il motivo? “Il Comitato ha ritenuto che le informazioni fornite consentano al pubblico di comprendere che il concetto di “CO2 impatto zero” sia associato alla compensazione delle emissioni, informazioni che delimitano e spiegano il claim veicolato”. La decisione risulta quanto meno superficiale visto che gli esperti di problemi ambientali sanno che il concetto di “impatto zero” non esiste.
Le definizioni “Ecogreen” e “CO2 impatto zero” essendo estremamente generiche confondono le idee al consumatore, che pensa a una linea di acqua minerale che non impatta con la natura e questo concetto è ingannevole. La scritta “Ecogreen” infatti è composta dall’abbinamento delle parole ‘Ecologico’ e ‘Green’, associa concetti riferiti all’ambiente e cattura l’attenzione del consumatore. Si tratta di parole che non dovrebbero essere utilizzate nella comunicazione commerciale in quanto attribuzioni generiche riferite all’ambiente e a concetti astratti non misurabili.
Ecogreen concetto inesistente
Il termine “Ecogreen” è un rafforzativo usato per sottolineare un concetto inesistente e privo di valore. Si tratta di parole vaghe che non possono essere considerate accettabili in virtù dei requisiti previsti dalla norma ISO 14021/2016 sulle autodichiarazioni di natura ambientale riconosciute e adottate in modo volontario in tutti i Paesi UE. Secondo il Conai (Consorzio nazionale imballaggio) i principi dalla norma ISO 14021/2016 sono “fondamentali quando si parla di green claims e in generale di pratiche commerciali per evitare il rischio di “greenwashing”, vale a dire una comunicazione non veritiera, ingannevole, non scientificamente verificabile; aspetti considerati anche nel Codice del Consumo”.
Il Conai prosegue e indica alcune delle dichiarazioni che non riportano informazioni attendibili a supporto di quello che si dichiara, così come informazioni vaghe, poco chiare, non significative. Il Conai cita come esempi “Imballaggio sostenibile/ecologico/a ridotto impatto ambientale/eco-friendly/amico dell’ambiente/green/naturale”
A questo punto è lecito chiedersi sulla base di quali criteri e competenze il Comitato di Controllo dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria abbia ritenuto corretta la dicitura di San Benedetto che si configura chiaramente come comportamento di greenwasching. Lo spot e l’etichetta non sono veritiere e violano apertamente il primo articolo del codice dell’Istituto di Autodisciplina pubblicitaria. Invitiamo il Comitato di controllo dell’Istituto a riesaminare il caso, a trattarlo in modo più approfondito, adottando criteri di giudizio più corretti e consoni per valutare questo tipo di pubblicità. Così dovrebbe fare una corte super partes come dovrebbe essere il Comitato di controllo dell’istituto.
© Riproduzione riservata. Foto: Depositphotos.com
Siamo un sito di giornalisti indipendenti senza un editore e senza conflitti di interesse. Da 13 anni ci occupiamo di alimenti, etichette, nutrizione, prezzi, allerte e sicurezza. L'accesso al sito è gratuito. Non accettiamo pubblicità di junk food, acqua minerale, bibite zuccherate, integratori, diete. Sostienici anche tu, basta un minuto.
Dona ora
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Ma , provate a mettere un’acqua minerale locale, dì montagna, e altre tre o quattro, e tra queste, una San Benedetto, prendete 10 persone, che fanno la stessa ritualmente, e chiedete loro di mettere la e in ordine di gradimento, per un eventuale acquisto, e la motivazione….. Altro che pubblicità corretta, VERITIERA (LE MONTAGNE E I TORRENTI associati al nome San Benedetto, dacché, DA SEMPRE, il consumatore associa una fonte di valore, e di garanzia di qualità, con la provenienza da alte vette, condizione, TOTALMENTE ASSENTE PER SANBENEDETTO , prelevata nella pianura più piatta, del Veneto a 13 m slm, in comune fortemente abitato e industrializzato !! E, questa è PUBBLICITÀ CORRETTA E VERITIERA ? ??
Premesso che non lavoro per San Benedetto, le faccio notare che il punto di imbottigliamento di un’ acqua minerale non corrisponde necessariamente al punto di origine.
Nello specifico,la S Benedetto nasce sulle Alpi, compie un lungo percorso sotterraneo, e scaturisce a Scorzè.
Ma non è l’ unico caso..( la S. Antonio nasce sulle Alpi Lombarde e viene imbottigliata in Brianza).
Marco Castelli Sommelier delle acque minerali
Certo la sorgente può essere sulle Alpi ma poi il tragitto è lungo ed è probabile che qualche cosa possa succedere visto che attraversa territori non sempre incontaminati
Assieme alla favola sopra poi c’è Biancaneve e i sette nani, Alì Babà e i quaranta ladroni e Cappuccetto Rosso.
È PIÙ GREEN L’ACQUA DEL SINDACO CHE ESCE DAL RUBINETTO DELLA MIA CUCINA!
sono stato un consumatore di acqua “ecogreen” per diversi mesi. poi ho riflettuto su quella scritta pubblicitaria e ho capito, finalmente, che non valeva nulla. quindi ho smesso di acquistarla.
le aziende, indipendentemente da cosa producano, possono misurare le loro emissioni ed il loro impatto sul pianeta e compensarlo con misure agroambientali anche non da loro adottate ma acquistando certificati verdi su un mercato non ancora ufficiale ma valido per gli istituti di certificazione volontaria ai quali si rivolgono per avere certificazioni che danno più valore commerciale sul mercato ai loro prodotti.
L’agricoltura sarà sempre più il baricentro di questo sistema , in quanto , con particolari misure dei lavorazioni dei terreni e coperture vegetali “permettono” un maggiore sequestro di CO2 che viene misurata e “venduta” sotto forma di certificati alle aziende che ne fanno richiesta.
Non ci meravigliamo se tra qualche anno anche una acciaieria o una raffineria potrà vantare queste certificazioni.
Sui certificati e’ in corso un ampio dibattito e la nuova direttiva sul greenwashing prevede regole molto più severe che escludono in parte questo sistema di compensazione
GRAZIE! speriamo che molte persone leggano questo suo articolo.
Vogliamo aggiungere tutte quelle pubblicità dove viene propinato il claim di “agricoltura sostenibile”? Ovviamente si riferisconto a prodotti che non sono biologici (altrimenti dovrebbero sottostare a un disciplinare ed essere certificati). Il suddetto claim propinato così vale quanto il due di picche…