luce, ristorante

Con il protrarsi dell’emergenza da coronavirus e delle restrizioni di movimento e socialità, i ristoratori si sono organizzati per riuscire comunque ad arrivare ai propri clienti con le consegne a domicilio e la pubblicazione online del menu. Ma quali sono i regolamenti che devono adempiere per essere a norma? Ce lo chiede una lettrice di cui pubblichiamo la lettera con due risposte, quella di Andrea Gazzetta, dell’ULSS N. 7 – Regione del Veneto e la seconda della Federazione Italiana Pubblici Esercizi.

Come sappiamo molti ristoratori si sono reinventati e stanno effettuando consegne a domicilio. Alcuni di questi si sono mossi anche pubblicizzando il servizio tramite il proprio sito internet, inserendo una sezione per la vendita online che consente di vedere i piatti disponibili (antipasti, primi, secondi ma anche torte e dolci, a volte pasticceria e cioccolato) ed effettuare l’ordinazione via mail o web in alternativa alla chiamata o al messaggio telefonico. In questo caso le informazioni da fornire sul sito devono essere le stesse previste dal Reg. 1169 relativamente alla vendita a distanza e quindi comprendere, oltre ad ingredienti, allergeni, ecc anche i valori nutrizionali? Lo stesso dubbio viene per l’etichettatura dei prodotti consegnati? Cosa deve comprendere?
Lucia

La risposta di Andrea Gazzetta

Per quanto riguarda la vendita online diretta da produttore a consumatore senza intermediari di alimenti e bevande sfusi, il consumatore deve avere informazioni precise, oltre a essere normato dalle regole comuni previste per il settore alimentare (*)  disciplinato dall’art. 14 del regolamento (UE) 1169/2011. La norma prevede che le informazioni obbligatorie sugli alimenti, a eccezione del termine minimo di conservazione o della data di scadenza, siano resi disponibili prima della conclusione dell’acquisto e appaiano sul supporto della vendita a distanza o siano fornite mediante qualunque altro mezzo adeguato chiaramente individuato dall’operatore del settore alimentare, senza che siano imposti costi supplementari ai consumatori.

Ristoranti deliveryVuol dire che nel sito per ogni prodotto devono comparire: la denominazione dell’alimento, l’elenco ingredienti, le modalità di conservazione per i prodotti rapidamente deperibili, la presenza di allergeni,  il titolo alcolometrico per le bevande alcoliche,  la percentuale di glassatura. È necessario anche precisare se è stato confezionato in atmosfera protettiva. Tutte le indicazioni obbligatorie devono essere disponibili anche al momento della consegna, questo vuol dire che su ogni piatto di gastronomia, dolce o salato, deve esserci un’etichetta che il consumatore possa leggere dopo la consegna. La questione è particolarmente importante soprattutto per quanto riguarda la presenza di allergeni.

(*)  Regolamento (CE) 178/2002, i regolamenti sull’igiene degli alimenti, il regolamento (CE) 1924/2006 e il regolamento (UE) 1169/2011) e dalle disposizioni di legge per il commercio, incluso il decreto legislativo 114/1998

Andrea Gazzetta – Servizio veterinario di igiene degli alimenti Azienda ULSS N. 7 Pedemontana – Regione del Veneto.

Di seguito la risposta della Federazione Italiana Pubblici Esercizi.

Occorre premettere che la consegna a domicilio è un servizio da sempre consentito alla ristorazione e per il quale non è previsto un autonomo titolo abilitativo né dalla normativa nazionale né, generalmente, dalle singole leggi regionali (pto 1.12.5  Tabella A del DLgs n.222/2016 1.12.5 “quando l’attività è accessoria […] non occorre alcun titolo di legittimazione aggiuntivo”). Tra l’altro, dal punto di vista della notifica sanitaria ex art. 6 del Regolamento EU n. 852/2004, non sono richiesti specifici ulteriori adempimenti, essendo ricompreso tale servizio nell’attività di ristorazione già abilitata.
Quanto sin qui affermato, d’altronde, è confermato anche dalle FAQ pubblicate sul sito del Governo, alle quali si rinvia.
Dunque, l’attività di somministrazione di alimenti e bevande può realizzarsi, su espressa richiesta del consumatore, anche tramite servizi aggiuntivi – come il delivery e il take away- che, tuttavia, non hanno la capacità di alterarne la natura trasformandola in “vendita”.

In altri termini, l’evoluzione della domanda ha da tempo fatto sì che la ristorazione sia caratterizzata da una serie di prestazioni accessorie, che permettono la preparazione espressa di pietanze cucinate per essere consumate dal cliente anche in luoghi diversi da quelli tradizionali e che implicano un know-how superiore a quello della semplice messa in vendita dell’alimento.
Questa la ragione per cui, anche con riferimento agli obblighi informativi, gli esercizi che intendano fornire il delivery o il take away sono tenuti a rispettare unicamente quelli ordinariamente prescritti a norma dei commi 8 e 9 dell’art. 19, D.Lgs. n. 231/2017, ai sensi del quale “[…] è obbligatoria l’indicazione delle sostanze o prodotti di cui all’allegato II del Regolamento UE n. 1169/11”, i cosiddetti allergeni.
Riepilogando: sia quando viene effettuato la vendita per asporto in cui è il consumatore a recarsi presso l’esercizio (take away), sia quando il consumatore richiede che la prestazione dell’attività di somministrazione avvenga presso il proprio domicilio (delivery), le attività di ristorazione sono tenute a indicare solo gli allergeni e, nei casi espressamente previsti all’Allegato VI, parte A, paragrafi 1 e 2, del medesimo Regolamento, gli ingredienti “decongelati”, fatti salvi i casi di deroga ivi stabiliti.
L’avviso della presenza di allergeni deve essere fornita, per ciascun piatto, prima che questo sia servito al consumatore e può essere comunicata tramite menu, apposito cartello o sistemi digitali (in quest’ultimo caso è comunque necessario che il titolare riporti tali informazioni anche in apposita documentazione scritta facilmente reperibile dall’autorità di controllo).”

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