Due ragazze adolescenti bevono birra all'aperto dalle bottiglie

Non c’è dubbio: la pubblicità di alcolici, come quella del tabacco, spinge i più giovani a bere, è parte in causa nell’instaurarsi delle dipendenze, e andrebbe vietata. Lo sostiene uno dei più grandi insiemi di studi mai analizzati sul legame tra pubblicità e consumo di alcolici tra i più giovani, che si conclude con l’invito, rivolto a tutti gli Stati, a non affidarsi più ai codici di autoregolamentazione dei produttori, e a introdurre severe leggi in merito.

Gli esperti di diversi atenei americani, coordinati dall’Università del Connecticut, hanno pubblicato, sul Journal of Studies on Alcohol and Drugs, una serie di otto articoli che, a loro volta, sintetizzano e mettono insieme i dati di 163 studi effettuati in modi e con finalità differenti e in vari paesi, ma che alla fine dimostrano tutti che la pubblicità fa il suo mestiere, e cioè induce i ragazzi a bere prima di aver raggiunto la maggiore età ed è responsabile del fatto che non pochi sviluppano una dipendenza già durante l’adolescenza. Il legame appare ancora più forte se si tiene presente che è stato dimostrato applicando gli stessi metodi statistici (i cosiddetti criteri di Bradford Hill) usati anni fa per dimostrare la relazione tra pubblicità e abitudine al fumo di tabacco, articolati in nove aspetti diversi.

Gli autori hanno poi voluto rendere note alcune raccomandazioni, rivolte soprattutto ai governi e dedotte da quanto emerso:

·      Le agenzie governative indipendenti devono introdurre divieti. Sebbene frammentate, diverse per tipologia di alcolico, orario, fascia d’età, insufficienti rispetto ai nuovi media (soprattutto ai social) e spesso aggirabili, le restrizioni stabilite per legge sono molto più efficaci di quelle volontarie;

·      Le autorità sanitarie (quali, negli Stati Uniti, i CDC o l’Office of the Surgeon General) devono sponsorizzare serie di studi ad hoc sui rapporti tra alcol e salute, sulla scorta di quanto fatto in passato per il tabacco. La raccolta dei dati servirà agli enti preposti a elaborare linee guida e indicazioni, finora quasi assenti anche per la scarsità di numeri certi sui rapporti tra pubblicità e consumo di alcolici;

pubblicità di alcolici
La pubblicità di alcolici, come quella del tabacco, spinge i più giovani a bere

·      Nel caso degli Stati Uniti, lo U.S. National Institute on Alcohol Abuse and Alcoholism deve ripristinare il suo programma di studio sulla relazione tra pubblicità di alcolici e soggetti vulnerabili, già avviato anni fa ma di recente abbandonato per dirottare i fondi verso altre priorità;

·      A livello internazionale, ci devono essere comitati che elaborino linee guida scientificamente fondate e condivise, in particolare per ciò che riguarda la pubblicità sui nuovi media, e si deve giungere ad accordi internazionali volti a vietare la pubblicità ovunque, come avvenuto con l’OMS per il tabacco, con la United Nations’ Framework Convention on Tobacco Control.

Gli autori auspicano che la pubblicazione dei loro dati inneschi un profondo dibattito a livello di comunità scientifica internazionale sulla ricerca da perseguire, consenta il raggiungimento di un accordo il più ampio possibile da parte degli scienziati su ciò che è dimostrato e giustifichi l’adozione di misure efficaci da parte dei decisori politici.

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gianni
gianni
3 Marzo 2020 20:09

Gli enti scientifici sarebbero già adesso d’accordo che l’alcool fa male a tutti , ancora di più ai giovani in fase di crescita e sviluppo e a coloro che vogliono procreare perchè è dimostrato che
le cattive abitudini di entrambi i genitori nel bere alcool danneggiano il feto.
E agli adulti fa male, oltre a problemi gravi di salute basti pensare a quanti incidenti con morti feriti e danni materiali vedono responsabili gli stessi bevitori.
Poi però ci sono da salvaguardare i coltivatori, i trasformatori con i posti di lavoro dell’indotto, intere aree del paese dedicate e i bilanci statali quanto mai in pericolo di questi tempi che non possono rinunciare ad incassare tasse su pubblicità e sui prodotti finiti.
Non mi piace affatto come principio ma si dice che è la dose che fa il veleno, e che dipende da chi beve e cosa beve , capisco che nessuno accetta il proibizionismo , di nessun genere ma cosi non si va da nessuna parte e dovunque si continuerà ad affrontare il problema con i soliti compromessi inefficaci, capaci magari di togliere qualche decimale ma niente di più.

Pier Danio Forni
24 Marzo 2020 09:00

La storia di salute o soldi è già stata smentita molte volte, vedi tabacco, pellicce, diamanti. Si perdono fatturato e anche posti di lavoro e ci vuole un po’ per riconvertire i flussi economici, ma ci siamo sempre riusciti. Se però valutiamo il danno che lo stato avrebbe senza le accise sull’alcol, dobbiamo anche mettere nel calcolo quanto si spende in sanità pubblica, ore di lavoro, danno sociale da alcolista, etc.. A conti fatti senza le accise e senza le spese date dal consumo di alcol lo stato ci guadagna. Ricordo più o meno 20 anni fa quando si decise di proibire la sponsorizzazione della Formula 1 ai brand tabaccai, cosa disse Ecclestone: è la morte della F1, mi pare invece che sia viva e vegeta. Salute first è sempre conveniente.