Pubblicità e bambini: gli spot alterano profondamente la consapevolezza sui valori nutrizionali dei cibi e fidelizzano i piccoli al marchio grazie a escamotage e furberie
Pubblicità e bambini: gli spot alterano profondamente la consapevolezza sui valori nutrizionali dei cibi e fidelizzano i piccoli al marchio grazie a escamotage e furberie
Redazione 6 Giugno 2013I bambini piccoli ignorano gli intenti seduttivi degli spot pubblicitari e ne subiscono il fascino a qualsiasi età soprattutto se la proposta viene da personaggi riconosciuti, quali I Puffi, gli eroi di Star Wars o Gli Incredibili, utilizzati dalle aziende per fidelizzare il bambino al marchio (brand loyalty). È quanto emerge da uno studio condotto dai ricercatori della facoltà di Scienze della salute e del comportamento dell’Università di Wollongong, in Australia.
L’analisi si è focalizzata sugli effetti della pubblicità contenuta nelle riviste per bambini, quali D-Mag, K-Zone e Total Girl. Un gruppo di giovani lettori di età compresa fra i sei e i dieci anni è stato intervistato su alcuni marchi alimentari che facevano pubblicita. Nella lista delle aziende troviamo: Cadbury, industria di bevande britannica; Vegemite, crema salata fatta di estratto di lievito prodotta dalla Kraft; Nestlè con Milo un prodotto a base di polvere di cioccolato e malto solubile molto popolare (non commercializzato in Italia); Coco Pops, linea di cereali per la prima colazione prodotta dalla Kellogg’s; McDonald’s, la maggiore catena di fast food del mondo.
Sono state vagliate quattro modalità di promozione: la prima, riguardava una pubblicità standard; la seconda, l’offerta di un premio per l’acquisto di un dato prodotto; la terza era una pagina di rivista occupata quasi interamente da un puzzle con il brand del prodotto stampato in un angolo; nel quarto caso si trattava di una pubblicità che includeva informazioni su diversi prodotti sponsorizzati, fra cui quello alimentare, secondo uno stile “Cosa va forte in questo momento”.
Dalle analisi delle interviste è emerso che la pubblicità multipla è la più efficace nell’attrarre i bambini e si trova in pagine intitolate con slogan sociali, quali “Ciò che una ragazza vuole” o “Ciò che ci ossessiona”. I bambini dichiaravano apertamente di essere attirati dai gadget associati al prodotto pubblicizzato – come puzzle o giochi – dai riferimenti alle star del cinema, dalle storie e dai colori brillanti. Questi elementi non erano riconosciuti come tecniche di promozione, ma come informazioni su ciò che c’è di nuovo e di bello da comprare, su ciò che tutti gli altri bambini mangiano e sui vantaggi correlati al consumo di un determinato prodotto.
I bambini australiani facevano chiare associazioni fra i brand e i vantaggi sociali e fisici derivanti dal consumo. Ad esempio, i partecipanti identificavano Vegemite come un cibo che tutti i bambini mangiano (vantaggio sociale) e Milo come una bevanda che fa bene e dà energia (vantaggio fisico). Nessuno dei partecipanti si è dimostrato immune da queste associazioni concettuali, alle quali mostravano di credere profondamente.
I brand dei cosiddetti cibi spazzatura fanno leva proprio sul riconosciuto bisogno di appartenenza, che nel bambino si traduce nel desiderio di avere ciò che tutti gli altri hanno. L’altro elemento è la tendenza dei giovani ad emulare i modelli di comportamento attribuiti agli eroi dei cartoni animati o alle star del cinema, con l’aspettativa di un vantaggio: essere belli, forti e popolari come loro. In questa fase dello sviluppo, il bambino è nel pieno della formazione della propria identità ed ha molto più bisogno, rispetto agli adulti, di modelli di riferimento da cui apprendere “ciò che va bene” e “ciò che non va bene” E questo avviene in maniera del tutto acritica.
La limitata capacità nei più piccoli di riconoscere gli intenti persuasivi delle pubblicità li rende particolarmente vulnerabili. Infatti, la letteratura scientifica sullo sviluppo cognitivo dimostra che un bambino con meno di cinque anni ha difficoltà a distinguere le pubblicità dai programmi televisivi perchè solo dagli otto anni si sviluppa una conoscenza adeguata degli intenti degli spot.
La consapevolezza delle tecniche utilizzate per promuovere un prodotto comincia a formarsi fra gli undici e i quattordici anni. Nonostante la conquista di questa nuova capacità, i bambini difficilmente riescono a non assecondare la reazione emotiva che si attiva in loro di fronte ad uno spot basato sui loro bisogni di appartenenza ed emulazione.
Le grandi aziende alimentari conoscono questo delicato meccanismo e lo sfruttano per il proprio business. Il problema è che la scarsa consapevolezza degli svantaggi collegati ad un’alimentazione poco sana insieme ad una spiccata enfasi sui vantaggi presunti di un tale stile alimentare a livello sociale è una delle cause principali dei dati epidemiologici sull’obesità.
Teresa Montesarchio (Psicologia e alimentazione)
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Foto: Photos.com, Kelloggs.it, Nestle.com, Disney.it
Sono i genitori il modello di riferimento di cui i bambini hanno bisogno. E sono loro quelli che acquistano i prodotti che destinano poi ai loro figli. La responsabilità dell’obesità infantile è di quei genitori che hanno paura dei loro figli e hanno paura a dire loro “no” e li accontentano offrendo loro cibo spazzatura invece di educarli ad un’alimentazione più sana ed equilibrata. E’ normale e legittimo che un’azienda a scopo di lucro utilizzi tutti i mezzi consentiti per vendere di più. Dovrebbe essere altrettanto normale che i genitori svolgessero il loro ruolo e facessero i genitori insegnando o, qualora non fossero in grado, preoccupandosi almeno di imparare cosa sia giusto che il proprio figlio mangi.
Parole sante Alessandro! Però è dura te lo assicuro. Mio figlio qualche volta ha fatto la figura del paria, dello strano. Adesso che è più grandicello gli insegno a leggere gli ingredienti e regolarsi di conseguenza. Eppure questi prodotti piacciono perchè aggrediscono in un botto le papille gustative, sono colorati e ammalianti, senza contare i gadget correlati.
E comunque basta vedere la sfilza di commenti “indignati” sull’articolo dedicato alla mega confezione della Nutella!
Le vecchie reclame e la nostalgia del tempo passato hanno una presa ancora forte sugli ex-bambini… 😉
Ascolto solo la radio ma ricordo con fastidio la dose quotidiana Ferrero con il jingle Pavarotti, se funziona con noi adulti figuriamoci a quell’età, ma almeno noi dovremmo essere in grado di difenderci.
Non metto in dubbio che sia dura, non sono nemmeno genitore io, quindi magari per me parlare è facile. Io trovo però che sia troppo comodo imputare gli errori fatti dai genitori alle aziende che propongono un certo tipo di prodotto. Essere genitori vuol dire avere grandi responsabilità e ho l’impressione che spesso ci si dimentichi di questo. La paura di dire no è quella che poi porta a comprare un iphone a bambini di 6 anni o a permettere a ragazzini di 14 anni di uscire nel week end e tornare all’alba. E la scusa per giustificare tutto questo è: “lo fanno tutti i suoi amici”…Dare un modello ai figli è il ruolo del genitore, non di McDonald’s, Ferrero, Nestlè, Kellog’s. La moderazione dei consumi va insegnata e bisogna a mio parere insegnare ai nostri figli ad usare la testa…ma forse prima di farlo, dovremmo cominciare ad usarla noi.
Alessandro quoto tutto. Da genitore, partito in lancia resta, però su alcune cose ho dovuto capitolare sempre in piccole dosi in ogni caso. Quand’era piccolissimo non ho mai comprato un gelato c.d. artigianale perchè di artigianale non aveva nulla se non le macchine professionali in negozio. Negli anni ho sdoganato anche le finte gelaterie naturali e alcuni gelati industriali. Però noto -con soddisfazione- che è in grado di valutare un buon gelato rispetto a uno mediocre e zuccheroso. Ciò non toglie che apprezzi -in astinenza- il gelato blu puffo. 🙂 Tanta pazienza e tante risatine sarcastiche da molti conoscenti, nonni compresi.