'Nduja della Calabria su un tavolo di legno circondata da peperoncini

'nduja spalmata su una fetta di pane in un piattoUna lettrice ci scrive per chiarire un dubbio sulla corretta etichettatura dei cibi con marchio PAT, i Prodotti Agroalimentari Tradizionali.

Buonasera, in conformità al regolamento UE 1169/11 è corretto utilizzare esclusivamente come denominazione quella di riferimento alle attestazioni di specificità (PAT) senza la necessità di specificare la denominazione legale del prodotto? Faccio un esempio per maggiore chiarezza: per ‘nduja è necessario aggiungere la denominazione ‘salame spalmabile’ o è sufficiente come denominazione ‘nduja?

Alla domanda della nostra lettrice risponde Dario Dongo, avvocato esperto di diritto alimentare.

I PAT, Prodotti Agroalimentari Tradizionali, vennero introdotti in Italia con d.lgs. 173/98 nella prospettiva – poi superata dal diritto europeo (Pacchetto Igiene, regolamento CE 852, 853/04 e successivi) – di poter fissare deroghe alla norme igienico-sanitarie nelle filiere di alcune produzioni locali tipiche dei territori.

I prodotti agroalimentari tradizionali hanno una valenza culturale, ma sono privi di protezione legale

Il registro dei prodotti agroalimentari tradizionali, aggiornato a livello regionale e consolidato dal MiPAAF, è tuttavia privo di alcun valore giuridico. La protezione legale delle indicazioni geografiche associate a tradizioni e territori è infatti riservata, in via esclusiva, ai regimi di qualità stabiliti a livello UE (DOP, IGP, STG, DOC, DOCG, IGT). I PAT hanno perciò una mera valenza culturale, di ‘valorizzazione del patrimonio gastronomico’ caratteristico dei territori. Nella prospettiva di ‘promuovere e diffondere le produzioni agroalimentari italiane tipiche e di qualità e (…) accrescere le capacità concorrenziali del sistema agroalimentare nazionale, nell’ambito di un programma integrato di valorizzazione del patrimonio culturale, artigianale e turistico nazionale’ (d.lgs. 173/98, art. 8.3),

Le diciture registrate come PAT possono perciò venire utilizzate come denominazioni usuali degli alimenti a condizione che:

  • il prodotto non sia soggetto a una denominazione legale apposita, il cui utilizzo postula tra l’altro il rispetto di determinate caratteristiche (es. pane),
  • la denominazione usuale sia significativa, cioè possa venire compresa dal consumatore medio nei territori ove l’alimento è distribuito.
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I nomi dei prodotti Dop, Igp e Pat possono essere utilizzati come denominazione dell’alimento solo quando universalmente noti e riconoscibili

Altrettanto dicasi per le denominazioni di origine protetta (DOP) e le indicazioni geografiche protette (IGP), i cui nomi possono venire utilizzati come denominazione dell’alimento solo quando i consumatori possano intenderne il significato. È perciò possibile, ad esempio, indicare ‘Parmigiano reggiano’ – in denominazione di vendita o lista ingredienti – in quanto esso è universalmente noto. Bisogna viceversa precisare che il bitto o il raschera sono formaggi, allorché gli stessi (o i prodotti che li contengano) vengano commercializzati in aree diverse da quelle ove essi sono realizzati e conosciuti. Di conseguenza, la ‘nduja’ commercializzata al di fuori della Calabria e delle regioni limitrofe dovrebbe riportare una denominazione del tipo ‘prodotto spalmabile a base di carne suina’

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