Nutrition Action Healthletter, una testata statunitentense indipendente che fa capo all’associazione di consumatori Center for Science in the Public Interest, sul numero di settembre accende i riflettori sulle “superporzioni” propinate agli americani e considerate tra i principali imputati dell’epidemia di obesità che colpisce il mondo occidentale (e, sempre più spesso, anche i paesi in via di sviluppo).

Il tema è interessante anche per i consumatori italiani. In particolare, per quanto attiene a una lettura “consapevole” dell’etichetta. Anche se è crescente l’interesse verso le informazioni nutrizionali, non sempre è facile rendersi conto che l’apporto calorico, per esempio, viene riferito a una porzione assai più piccola di quella che ci si appresta a consumare. E così si ingurgitano dosi doppie o triple di calorie, grassi, sodio, senza esserne consapevoli.

Come nota il blog Foodeducate, a volte le etichette indicano delle porzioni davvero ridicole per l’alimento cui si riferiscono, e di conseguenza anche la quantità di zuccheri, grassi o calorie sembra piccola, almeno a prima vista. Per esempio, “5 patatine” o “1 biscotto”: ma chi si accontenta di un solo biscotto o si ferma dopo cinque patatine? Per conoscere realmente le quantità dei nutrienti assunti occorre una moltiplicazione, ma la lettura non è immediata.

Secondo l’autore del blog, però, non c’è un intento truffaldino: semplicemente, si fa riferimento a “porzioni standard” messe a punto dalla Food and Drug Administration e dal Dipartimento americano per l’agricoltura tanti – troppi – anni fa, e ormai decisamente superate dalle nuove abitudini alimentari.

«La quantità di cibo gustata a ogni pasto è molto aumentata», si legge sul blog. «E le porzioni giganti servite nei fast-food hanno contribuito a questo fenomeno. Senza che ce ne accorgessimo, la porzione che ci aspettiamo che ci venga servita è lievitata. E noi anche».

Uno studio pubblicato nel Journal of the American Dietetic Association nel 2003 aveva dimostrato che agli alimenti più comunemente consumati dagli americani avevano porzioni fino a 8 volte più grandi rispetto a quelle “standard”.

Nel 2004, anche in seguito alle polemiche fatte esplodere dal docufilm Super Size Me, McDonald’s aveva deciso di eliminare gli hamburger giganti. Ma, secondo Nutrition Action Healthletter, i sandwich e le merendine “taglie forti” oggi sono tutt’altro che scomparsi: anzi, sono vivi e vegeti non solo nei fast-food, ma anche nei ristoranti di ogni categoria. La cosa più grave è che nei menù sono presentati come porzioni normali, senza minimamente sottolineare le loro eccezionali dimensionali.

Il tema è stato molto dibattuto nell’ultimo decennio, ma senza grandi risultati: i ristoratori americani – fast food, tavole calde, classici diners, cinesi o tex-mex –  non ne vogliono sapere di servire piatti più piccoli (o meno pieni) perché temono di perdere clienti a favore della concorrenza.

Per chiarire meglio il concetto, Nutrition Action Healthletter pubblica alcune fotografie che mostrano ciò che acquista il cliente e quella che dovrebbe essere la dimensione della porzione secondo la definzione ufficiale di “porzione” stabilita dagli enti governativi che si occupano di alimentazione.

Il problema non riguarda solo gli alimenti “standard”, quelli delle grandi catene di fast-food che propongono sempre il medesimo tipo di hamburger o di trancio di pizza. Ma anche i ristoranti che servono bistecche o pasta.

Così, per esempio, secondo il Dipartimento americano per l’agricoltura, un tipico sandwich pesa circa 142 grammi (5 once). Ma è così solo se si prende quello servito di solito nelle tavole calde e se ne mangia meno della metà: nella catena Panera, per esempio, uno Smoked Ham & Swiss (pane, prosciutto, formaggio, lattuga, pomodoro, cipolla maionese e senape) pesa circa 400 g  (14 once). E fornisce 700 calorie, oltre la metà dei grassi saturi per la giornata (10 g) e un apporto e mezzo della dose raccomandata di sodio (2,35 g). Da Au Bon Pain, un Ham and Swiss Country White Bread pesa 312 g (11 oz) e 530 calorie (più  600, con l’aggiunta di maionese).

Di male in peggio con l’hamburger, che pure dovrebbe pesare 5 once. Ce la fanno a stare nei limiti il Burger King Whopper Jr. e  McDonald’s Quarter Pounder, ma i McDonald’s Big Mac o Big N’ Tasty salgono a 7 once, quasi 200 grammi, e l’Angus Burger a 11 once, 312 g: questa è la misura che più spesso si trova nei ristoranti. Quanto alle calorie, un Chili’s Big Mouth Burgers con patatine apporta da 1.500 a 2.140 calorie (il fabbisogno calorico dell’intera giornata di un adulto si aggira intorno alle 2700 calorie). C’è poi il contenuto di  grassi saturi dai 21 ai 44 grammi  e  di sodio da 3,3 a 6,7 g d(la dose giornaliera non dovrebbe superare i 3 g).

Stesso discorso per i muffin, il tipico dolcetto americano: secondo la Food and Drug Administration (Fda) pesa 2 once, circa 60 g, ma quello di Dunkin’ Donuts ai mirtilli arriva a 5 (140 g), e più o meno uguali sono i muffin di Panera, Starbucks, Au Bon Pain, con le calorie che oscillano da 360 a 490.

Il trancio Personal Pan Pepperoni di Pizza Hut’s (610 calorie) pesa quasi 200 g, 60 in più della versione standard indicata dal Dipartimento dell’agricoltura. Niente, in confronto alla versione pizza intera di California Pizza Kitchen (370 g) o alla Thin Crust della Uno Chicago Grill (425 g). Nessuna differenza nelle calorie: circa mille in ognuna. Altre pizze vanno da 700 a 1200 calorie.

Non si salvano i frullati, gli yogurt, le merendine, ma nemmeno la carne la pasta: una porzione di carne cotta (bistecca o altro taglio), per esempio, dovrebbe pesare solo 85 g, mentre normalmente una costata di manzo supera i 3 etti, e la tipica New York strip o il controfiletto (sirloin) vanno da 230 a 400 g (e oltre 1000 calorie).

E dai noi? Un’indagine di Altroconsumo del 2006 aveva notato una situazione analoga a quella americana: anche in Italia le porzioni degli alimenti confezionati sono aumentate quanto a peso e calorie dal 20 a oltre il 200%. Franca Braga, responsabile delle Ricerche alimentari di Altroconsumo, aveva rilevato che nel 1985 il classico McDonald’s pesava 104 grammi. Negli anni sono aumentate proposte e calorie, fino ad arrivare ai 243 grammi del McRoyal Deluxe del 1998 e ai 347 del Big Tasty.

Stesso trend per pop corn al cinema (+120%), patatine (+100), Coca-Cola (+100) e gelati (+95). Porzioni sempre più grasse, e più lontane dai valori raccomandati. Come per la mozzarella: l’Istituto nazionale della nutrizione (Inran) consiglia agli adulti una porzione da 100 grammi, le confezioni più piccole in vendita arrivano a 125. Stessa cosa il prosciutto cotto (+60%) e lo yogurt (+20%). Per non parlare degli zuccheri negli snack dei bambini: uno solo può sforare e di molto il fabbisogno giornaliero.

Più di recente, l’Istituto Nazionale della Nutrizione, presentando lo scorso dicembre i risultati dell’Indagine sui consumi degli italiani ha pure puntato il dito contro le porzioni, ma in relazione alla composizione della dieta: così, per esempio, si mangia troppa carne, in media 700 g alla settimana, contro i circa 400-450 raccomandati per la prevenzione di alcuni tumori; troppo pochi legumi –  fagioli, ceci, lenticchie, che sembrano “passati di moda.

Se i consumi medi di vegetali (circa 500 g al giorno, 260 g di frutta e 240 g di verdura) sono ancora in linea con le raccomandazioni internazionali (400 g al giorno) il merito è degli anziani: i ragazzi consumano solo circa 140 g di frutta e 190 g di verdura al giorno, cioè meno di una porzione, per un totale di soli 330 g, nettamente inferiori al minimo consigliato.

Per chi volesse approfondire, può essere interessante confrontare le porzioni standard secondo i Larn (Livelli di assunzione raccomandata di nutrienti) e quelle che compaiono sulle tabelle nutrizionali degli alimenti confezionati.

pane: 1 rosetta o 2 fette 50 g

biscotti: 2-4 biscotti/2 fette biscottate 80 g

pasta o riso: 120 g (in minestra 60 g)

pasta fresca all’uovo: 200 g

patate: 2 piccole

insalata: 50 g

ortaggi: 1 finocchio/2 carciofi 250 g

frutta: 1 frutto medio (arance, mele) o 2 frutti piccoli (albicocche, mandarini) 150 g

carne fresca: 1 fettina 70 g

salumi: 3-4 fette medie 50 g

pesce: 100 g

uova: 1 uovo

legumi secchi: 30 g

legumi freschi: 80-120 g

latte: 1 bicchiere 125 g

yogurt: 125 g

formaggio fresco: 100 g

formaggio stagionato: 50 g

olio: 10 g

burro: 10 g

Quanto alla frequenza di consumo, è bene fare riferimento alla più moderna versione della priramide alimentare della dieta mediterranea presentata dall’Inran lo scorso novembre.

Mariateresa Truncellito

Foto: photos.com, Nutrition Action, Inran

 

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