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Per oltre 200 anni negli atolli dell’Oceano Pacifico – 266 quelli censiti – si sono coltivati in modo estensivo a palme da cocco per ottenerne la copra, il grasso utilizzato dall’industria alimentare e da quella cosmetico-farmaceutica. Oggi, tuttavia, la maggior parte di quelle monocolture sono abbandonate, e sono diventate invasive. Sarebbe necessario ripristinare la vegetazione originaria, perché questo apporterebbe grandi benefici ai sistemi insulari e all’Oceano, e costituirebbe anche un modello per la coltura che via via ha rimpiazzato quella di palme da cocco: quella di palme da olio.

Per iniziare a ragionare sulla possibilità di un ripristino, i ricercatori dell’Università della California di Santa Barbara hanno pubblicato la prima mappatura completa della situazione complessiva del sistema degli atolli del Pacifico, che illustra in modo assai esplicito quale sia la situazione attuale, dopo anni di abbandono, e quali siano i danni delle monocolture.

I dati satellitari

Come riportato su Environmental Research Letters, i ricercatori si sono serviti delle immagini satellitari di 235 dei 266 atolli, che assicurano una risoluzione di due metri circa, e hanno così realizzato una mappa, arricchita da foto, che mostra che oggi gli alberi di cocco rivestono il 58,3% delle aree boschive totali, e il 24% della superficie complessiva degli atolli.

Anche considerando le isole nelle quali il cocco c’è sempre stato, e che hanno (o, per meglio dire, avevano) un clima e una condizione ideali per quelle colture, le piantagioni eccedono la copertura originale di circa il 32,1%. E non è tutto: il 51% delle coltivazioni è una monocoltura, per lo più abbandonata. L’insieme delle due caratteristiche ha provocato, negli anni, drastici cambiamenti all’ecosistema, anch’essi ben visibili dal satellite, con aree molto estese del tutto prive di vegetazione.

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Ciò che si deciderà di fare negli atolli con le palme da cocco potrebbe applicarsi anche alle palme da olio

Per questi motivi, gli autori sottolineano che gli studi e i test sul campo già fatti negli ultimi anni hanno sempre confermato che riforestare non solo è possibile (in meno di un anno si possono far morire tutte le palme da cocco, se necessario), ma apporta anche benefici immediati, a terra come in mare. Un atollo nel quale vengano reintrodotte le piante originarie, molte delle quali a foglia larga, reagisce ripristinando in fretta la biodiversità, richiamando nuovamente gli uccelli marini e la fauna terrestre, e apportando benefici anche alla vitalità delle barriere coralline, tutte in grave sofferenza.

Via il cocco dagli atolli

Com’è noto, inoltre, gli atolli del Pacifico sono in gran parte minacciati dall’innalzamento del livello delle acque dovuto al riscaldamento del clima, e le monocolture abbandonate sono pessime, per quanto riguarda la stabilità di questi delicatissimi ecosistemi. Viceversa, le vegetazioni autoctone, insieme alla fauna, agli insetti e a tutto ciò che, fino a 200 anni fa, costituiva la realtà degli atolli, rendono le isole resilienti, e possono aiutare a preservarle, ridando anche fiato alle economie locali.

Infine, ciò che si deciderà di fare negli atolli con le palme da cocco potrebbe costituire un modello anche per le palme da olio, qualora si decidesse di ridurre le monocolture che hanno occupato aree immense, con danni incalcolabili, non solo dal punto di vista della biodiversità.

© Riproduzione riservata. Foto: Depositphotos.com

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