bambini spesa cucinare frutta e verdura

Non sembra esserci un limite alla penetrazione delle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) sia nell’ambiente che nel corpo umano. A riprova del fatto che, come chiedono in molti, sarebbe necessario porre limiti molto più severi di quelli attuali, ed effettuare controlli ad ampio raggio. Negli ultimi giorni sono stati infatti pubblicati nuovi studi, che pongono l’accento sulla possibilità, prima negata, che gli PFAS penetrino attraverso la cute, su quelli ingeriti con frutta e verdura, e sul fatto che possono arrivare anche dalle fonti più inaspettate come le discariche e le onde del mare.

Verdure sì, sempre, ma con cautela

Gli PFAS contaminano le acque di molti Paesi e, da lì, arrivano direttamente alle verdure e alla frutta, che ne assorbono anche dai pesticidi. Ma le quantità totali sono pericolose? Per rispondere a questa domanda, i ricercatori delle Università australiane di Newcastle e Sidney hanno iniziato, alcuni anni fa, un lavoro che è partito proprio dall’analisi delle acque. Poi, come riferito sul Journal of the Science of Food and Agriculture, hanno controllato 53 tra le verdure e i frutti più presenti sulle tavole degli australiani, acquistati in mercati locali, e hanno dosato 30 tra gli PFAS più comuni, tra i quali  PFOA (acido perfluoroottanoico), lo PFOS (acido perfluoroottansolfonico) e PFHxS (acido perfluoroesansolfonico). Hanno così trovato PFOA in sette campioni (in concentrazioni comprese tra 0,038 e 1,9956 nanogrammi per grammo di prodotto fresco), PFOS in due campioni (tra 0,132 e 0,911 ng/g), mentre PFHxS non è stato trovato in nessun campione.

Ciotola di minestrone di verdure
Gli PFAS contaminano frutta e verdura attraverso le acque e i pesticidi

I valori riscontrati non superano i limiti di sicurezza indicati dalle autorità australiane, soprattutto per chi ha una dieta onnivora. Qualche rischio potrebbe esserci per chi ha una dieta vegana. Inoltre, la popolazione più a rischio è quella delle bambine di età compresa tra quattro e otto anni. Anche se, con una dieta normale, non dovrebbero assumere più del 10% delle dosi tollerabili di PFOS attraverso il consumo di frutta e verdura, sarebbe meglio cercare di dare loro vegetali provenienti dalle zone meno contaminate, vista la delicatezza dell’età e le possibili conseguenze sulla maturazione sessuale. Anche perché le bambine, come tutti, assumono già quelli che contaminano i cibi attraverso il packaging in plastica. Secondo gli autori, è comunque necessario conoscere meglio tutto il ciclo che dalle acque porta alle verdure e da lì all’organismo, intensificando gli studi.

Occhio a PFAS e cosmetici

Gli PFAS più comuni sono molecole polarizzate, elettricamente cariche, e per questo si è sempre pensato che, se non altro, non riuscissero a penetrare attraverso la pelle, ma che fossero assorbiti solo per inalazione o ingestione. Purtroppo, però, una ricerca appena pubblicata su Environment International dai ricercatori dell’Università di Birmingham, nel Regno Unito, dimostra che non è affatto così: gli PFAS, compresi quelli carichi, entrano nell’organismo anche per contatto.

Per giungere alle loro conclusioni, i ricercatori hanno utilizzato un modello di pelle umana che comprende tutti gli strati (evitando il ricorso ai modelli animali), e hanno testato 17 tra gli PFAS più comuni. Il risultato è stato che ben 15 di essi sono capaci di penetrare il derma in una quantità che è almeno il 5% della dose somministrata. E non è tutto. Una volta oltrepassata la barriera della cute, raggiungono il sangue in quantità comprese tra il 13% (per esempio il PFOA) fino a poco meno del 60% (per esempio l’acido perfluoro pentanoico). 

Donna a cui viene spalmata maschera sul viso durante un trattamento estetico; concept: olio di palma, cosmetici
Uno studio dimostra che gli PFAS presenti nei cosmetici o nei vestiti sono in grado di attraversare la barriera cutanei

La conclusione è che questa via di assorbimento dovrebbe essere studiata molto meglio. Inoltre, visto che gli PFAS sono presenti nei cosmetici, negli abiti e in moltissimi altri prodotti anche semplicemente maneggiati, secondo gli autori si dovrebbero cercare alternative che non penetrino e in alcuni casi come appunto i cosmetici, che restano a contatto per ore con la cute, li si dovrebbe vietare.

Dall’aria e dall’acqua

C’è poi un ambiente meno scontato di quelli ben noti dal quale gli PFAS si disperdono nell’aria: le discariche, o almeno alcune di esse, che emettono gas nei quali si annidano numerosi PFAS in concentrazioni talvolta elevate. Lo dimostra uno studio pubblicato su Environmental Science & Technology Letters dai ricercatori dell’Università della Florida di Gainesville, che hanno analizzato i gas rilasciati in atmosfera da tre discariche locali e hanno trovato 27 tra quelli più volatili, tra i quali il sottogruppo di PFAS neutri chiamati alcoli fluorotelomeri, presenti in quantità doppie rispetto a quanto segnalato da alcune indagini precedenti.

Qualcosa di simile accade con i percolati, anche se dovrebbero essere sempre filtrati o comunque neutralizzati: anch’essi possono rilasciare nel suolo PFAS che, inesorabilmente, arrivano alle falde. E in effetti gli autori ne hanno trovati diversi, in questo caso carichi elettricamente, e hanno concluso che la quantità media globale di PFAS rilasciati nell’aria o nei terreni dalle discariche è simile, per ordine di grandezza, e che quella dispersa in atmosfera in alcuni casi è superiore. Già oggi alcune discariche catturano i gas o li riutilizzano come fonti energetiche, ma non ci sono regole generali. Anche in questo caso, gli autori sottolineano come sarebbe necessario conoscere molto meglio questo tipo di dispersione aerea, e adottare provvedimenti adeguati.

onde del mare. mare aperto. oceano
Le onde del mare creano un aerosol ricco di PFAS, trasportato dall’aria verso la terraferma

PFAS dal mare

Infine, gli PFAS che disperdiamo in mare sembrano prendersi una rivincita: in acqua, infatti, si concentrano e da lì tornano sulla terraferma e in atmosfera più aggressivi che mai. Lo dimostra uno studio condotto sul campo, nell’Oceano Atlantico, nell’ambito di una missione dei ricercatori dell’Università di Stoccolma durata due mesi. Come riportato su Science Advances, gli autori hanno prelevato numerosi campioni di acqua dal mare e l’hanno utilizzata per simulare la vaporizzazione tipica delle onde in uno strumento apposito.

Il risultato è stato inquietante, perché la concentrazione di PFAS nell’aerosol delle onde simulate è risultata sempre superiore rispetto a quella dell’acqua di origine, in alcuni casi di 100mila volte. La ricerca ne conferma altre che hanno portato alcuni autori ad affermare che il mare, con il suo aerosol, è una delle principali fonti di PFAS, soprattutto nelle acque costiere e in quelle che si trovano in prossimità dello sbocco dei fiumi.

© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos, iStock

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Maria Chiara
Maria Chiara
24 Agosto 2024 09:14

Grazie importanti informazioni visto che mi occupo delle molecole pfas da oltre 10 anni e seguo il processo in assise che si svolge in Veneto presso la procura di Vicenza.

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