Negli Stati Uniti, concedersi anche una sola volta un pesce d’acqua dolce come un’anguilla significa assimilare la stessa quantità di Pfas che si assumerebbe bevendo per un mese acqua contaminata con 48 ppt (parti per trilione) di uno dei più diffusi, l’acido perfluoroottansolfonico (Pfos). La categoria degli Pfas, cioè le sostanze perfluoroalchiliche, comprende oltre 1.800 composti presenti in centinaia di prodotti, che non si degradano in natura né nel corpo umano e per questo tendono ad accumularsi. E sono sempre di più sotto accusa, a causa dei legami con disturbi dello sviluppo del feto e dei sistemi riproduttivo, endocrino, nervoso, immunitario, nonché con i tumori. Ora uno studio condotto dall’Environmental Working Group (Ewg), pubblicato su Environmental Research, fa aumentare i timori, perché conferma quanto sia ampia la diffusione di queste molecole nei corsi d’acqua, e quanto i pesci che nuotano nelle acque contaminate agiscano involontariamente da accumulatori di Pfas, che vengono poi direttamente trasferiti in chi si ciba.
Nello studio, i ricercatori hanno raccolto ben 500 campioni di pesci d’acqua dolce tra il 2013 e il 2015, nell’ambito di due programmi di monitoraggio (*) della Environmental protection agency, l’Agenzia federale per la protezione ambientale (Epa), e hanno così scoperto che il livello medio di Pfas nei filetti era di 9,5 microgrammi per chilo, con picchi di 11,8 µg/kg nelle acque della zona dei Grandi Laghi e in tutti i corsi d’acqua vicini ai centri urbani e alle zone industriali. Hanno poi stimato che negli Stati Uniti vi siano non meno di 40mila emettitori di Pfas tra industrie, ospedali, discariche, impianti di trattamento delle acque, aeroporti, siti dove si impiegano e si smaltiscono schiume antincendio e così via. I ricercatori ricordano che tutti gli Pfas rilasciati nell’ambiente vanno a contaminare non solo le acque, ma anche i terreni e, attraverso questi, le piante e gli animali.
In base alle misurazioni dell’Epa, virtualmente i pesci ogni corso d’acqua negli Usa è contaminato da quantità di Pfas che rientrano nell’ordine di parti per miliardo, e anche se alcune misurazioni recenti sembrano indicare una tendenza alla diminuzione, è evidente che la situazione è grave. Le quantità rilevate nei pesci d’acqua dolce, tuttavia, sarebbero 280 volte superiori a quelle emerse dalle analoghe analisi effettuate in precedenza dalla Fda sui pesci di rilevanza commerciale: una disparità che impatta in maniera particolare le comunità svantaggiate, spesso immigrate, che integrano la propria dieta con pesce pescato nei fiumi e Nazioni native americane, per cui la pesca è riconosciuta come pratica tradizionale e culturale fondamentale. A parte i pesci, lo stesso Ewg stima che circa 200 milioni di americani bevano tutti i giorni acqua con Pfas, e per questo è fondamentale raggiungere un accordo per utilizzare metodi di misurazioni standardizzati e omogenei.
Ma la preoccupazione è forte anche dall’altra parte dell’Atlantico. Negli ultimi giorni le agenzie per la sicurezza sanitaria e alimentare di Germania, Paesi Bassi, Danimarca, Norvegia e Svezia, con un’un’azione congiunta, in seguito a studi condotti negli ultimi tre anni, hanno chiesto alla European Chemicals Agency, l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa) di introdurre limiti molto più restrittivi di quelli attuali sulle concentrazioni massime di Pfas tollerate praticamente per qualsiasi tipo di impiego.
Come si legge nel comunicato dell’Istituto federale tedesco per la valutazione del rischio (BfR), lo scopo è fissare le soglie da inserire negli aggiornamenti del Regolamento REACH, la lista entrata in vigore nel 2007 che norma migliaia di sostanze chimiche. Le richieste saranno formalizzate a febbraio, e saranno oggetto di discussione per i successivi 12 mesi, dopo i quali si dovrebbe giungere alla versione definitiva del documento, che a quel punto sarà inviato alla Commissione Europea, chiamata a deliberare in merito.
(*) Nota: National Rivers and Streams Assessment e Great Lakes Human Health Fish Fillet Tissue Study
© Riproduzione riservata Foto: Fotolia, iStock
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Giornalista scientifica