Lo so, Agrofarma (1), qualche docente e qualche tecnico protesteranno che li si deve chiamare con il termine più rassicurante di agrofarmaci o, al più, con l’ormai sorpassato fitosanitari. Ma, a parte il fatto che Word® mi segnala ‘agrofarmaci’ come neologismo sconosciuto, è l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA (2)) a intitolare “Rapporto nazionale pesticidi nelle acque” la pubblicazione con cui, periodicamente, illustra “lo stato di contaminazione delle acque superficiali e sotterranee derivante dall’uso dei pesticidi, sia in termini di diffusione territoriale, sia in termini di evoluzione temporale”.
Quindi li chiamerò ‘pesticidi’, così come i colleghi inglesi e irlandesi (pesticides), francesi (pesticides), tedeschi e austriaci (Pestiziden), portoghesi (pesticidas), danesi (pesticidrester), estoni (pestitsiidide), lettoni (pesticīdu), lituani (pesticidų), cechi (pesticidů), slovacchi (pesticídov), sloveni (pesticidov) e rumeni (pesticide). Non c’è motivo di ricorrere ad aggraziati neologismi.
Pesticidi, la situazione nelle acque italiane
Secondo l’ISTAT l’agricoltura italiana utilizza circa 122mila tonnellate all’anno di pesticidi, a base di circa 400 sostanze diverse. Diviso per i 58.997.201 residenti fa oltre 2 kg a testa, fate i conti. Diviso per la superficie agricola utilizzata fa 4,5 kg per ettaro. Ma in realtà è ben di più, dato che nella superficie agricola rientrano anche prati, pascoli e terreni a riposo, e il dato è disomogeneo nei diversi territori.
Il rapporto informa che, dal monitoraggio svolto dalle Regioni e dalle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente, risulta che nel 55,1% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali e nel 23,3% delle acque sotterranee sono stati trovati pesticidi. Nelle regioni del nord “la presenza dei pesticidi risulta più elevata di quella media nazionale, arrivando a interessare il 67% dei punti delle acque superficiali e il 34% delle acque sotterranee”. Welcome to Padania.
Il 30,5% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali presenta concentrazioni superiori ai limiti ambientali. “Le sostanze che più spesso hanno determinato il superamento sono: gli erbicidi glifosate e il suo metabolita AMPA, metolaclor e il metabolita metolaclor-esa, imazamox, esaclorobenzene e nicosulfuron, tra i fungicidi azossistrbina, dimetomorf, carbendazim e metalaxil” si legge sul rapporto.
Nelle acque sotterranee, è il 5,4% a presentare concentrazioni superiori ai limiti. “Le sostanze più rinvenute sopra il limite sono: i metaboliti metolaclor-esa e atrazina desetil desisopropil, gli erbicidi bentazone, glifosate e AMPA e imazamox, l’insetticida imidacloprid e il fungicida metalaxil”.
I rischi di una contaminazione così vasta
Gli standard di qualità ambientale sono stati istituiti per ridurre i costi dei trattamenti per rendere potabili le acque e per “migliorare la salute delle piante e del bestiame” che vi si abbevera. Tuttavia il rapporto avverte che anche in concentrazioni inferiori ai limiti ambientali, i pesticidi “possono in combinazione dare luogo a effetti cumulativi non accettabili”.
Ora, che il glifosato, la cui etichetta presenta l’indicazione di pericolo “Tossico per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata” e l’avvertenza “Non contaminare l’acqua con il prodotto”, e il suo metabolita siano presenti rispettivamente nel 42% e nel 68% delle acque superficiali, oltre che assieme nel 20,4% di quelle profonde, (e siano curiosamente cercati solo da 14 regioni; quali sarebbero i risultati se fosse ricercato in tutte?) sembra bizzarro solo a me?
Che tra le indicazioni di pericolo nelle etichette delle sostanze trovate con maggior frequenza nelle acque, oltre a “Molto tossico per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata” spicchino ”Sospettato di nuocere al feto”, “Può nuocere alla fertilità”, “Può provocare danni agli organi in caso di esposizione prolungata o ripetuta” fa drizzare le orecchie solo a me?
I pesticidi negli alimenti
Se questa è la situazione delle nostre chiare, fresche et dolci acque, quella dei residui negli alimenti è fotografata, anch’essa impietosamente, dal dossier “Stop ai pesticidi nel piatto 2023”. In esso Legambiente elabora i dati ufficiali di forniti da ARPA, IZS, USL, ATS.
Il 69,89% della frutta campionata nelle analisi ufficiali contiene residui, con il 50,28% che presenta residui di più sostanze. Il record va a un campione di pesche e uno di fragole ambedue di produzione italiana con residui di 14 e 12 sostanze. Lo stesso vale per il 31,47% degli ortaggi (il 13% con residui di più sostanze).Presenta residui anche il 36,22% dei prodotti trasformati (16,76% multiresiduo). Contengono residui di almeno una sostanza l’84,97% delle pere, l’83% delle pesche, l’80.67% delle mele il 73.17% dell’uva. Residui anche nel 51.13% del vino.
Il vino non si dà ai bambini, ma frutta e verdura sì. A tutela della loro salute, le normative europee (necessariamente vigenti anche in Italia) stabiliscono che negli alimenti per lattanti e bambini fino ai tre anni non devono essere presenti residui (o meglio, prendendo atto della presenza di pesticidi nell’ambiente, si è stabilita una sorta di ‘zero tecnico’ a 0,01 ppm, pari a 1 grammo di sostanza su 100 tonnellate di alimento).
Da ciò consegue che il 69,89% della frutta e il 31,47% degli ortaggi presenti sul mercato italiano non sono da considerare idonei all’alimentazione dei bambini, dato che superano i limiti stabiliti per l’infanzia. I genitori che preparano in casa gli omogeneizzati e le pappe per i loro piccoli lo tengano presente.
La protesta dei trattori
In questi giorni, a bordo dei loro trattori, agricoltori organizzati in comitati più o meno autonomi (Riscatto agricolo e Agricoltori traditi), con altri colleghi hanno marciato protestando su Bruxelles. Nella capitale Belga ci sono stati lanci di petardi, uova, bottiglie e rogo di una statua. A Sanremo contano di salire sul palco. Non è riuscito ai Jalisse (3), riuscirà agli Agricoltori traditi?
Le ragioni degli agricoltori
Tra gli elementi della protesta, in un gran mischione:
- l’import di cereali a basso costo dall’Ucraina, che ha ridotto le quotazioni di quelli di produzione UE (vero, per chi produce cereali);
- i prezzi delle commodities determinati dalle borse merci internazionali (vero);
- gli accordi sul libero commercio (grazi ai quali, però, l’Italia nel 2023 ha esportato prodotti agroalimentari per 64 miliardi) e la concorrenza delle agricolture dei Paesi terzi in cui costo del lavoro, vincoli e normative sono minori (vero, se i vincoli che ci sono da noi fossero sempre rispettati: dalle ispezioni dell’INPS su 142.385 aziende agricole 99.086 son risultate irregolari –il 69.6%–, con la bruttezza di 356.145 lavoratori irregolari e di 41.544 totalmente in nero. Vogliamo parlare, pacatamente, anche di questo?);
- i prezzi bassi pagati dall’industria di trasformazione (vero);
- i prezzi bassi pagati dalla grande distribuzione e dai grossisti (vero);
- l’inefficacia della legge sulle pratiche sleali nella filiera agricola e alimentare (qui Bruxelles non c’entra, ha emanato la direttiva, ma l’applicazione è competenza nazionale);
- l’autorizzazione alla farina di insetti (che non sembra, però, avere inciso sui prezzi del grano né minimamente minacciare di farlo);
- la solita solfa sul ‘cibo sintetico’ (che non c’è e chissà per quanti anni non ci sarà);
- l’abolizione della detassazione IRPEF dei redditi dominicali e agrari (in Italia);
- il piano per la riduzione degli allevamenti (nei Paesi Bassi, dove la gestione dell’azoto è fuori controllo e servono misure);
- la riduzione delle agevolazioni fiscali sul gasolio (in Germania e Francia, legge che era allo studio anche in Italia);
- il peso della burocrazia (vero, anche se riguarda tutti, non solo il mondo agricolo);
- la strategia UE Farm to Fork che prevede la riduzione del 50% dei pesticidi e degli antibiotici negli allevamenti e l’aumento del benessere animale entro il 2030 (vero, ma la situazione su ambiente e alimenti è quella descritta nella prima parte e non se ne può francamente più del negazionismo sull’esigenza di una transizione ecologica dell’economia, agricoltura compresa);
- la contestazione delle organizzazioni agricole tradizionali, accusate di non rappresentare più gli interessi degli agricoltori, ma di potentati diversi, quando non siano esse stesse un potentato e di aver collaborato alla definizione della politica agricola europea e in qualche caso di aver dettato la politica nazionale, orientando la riduzione dei sussidi alle piccole aziende a favore di quelle più grandi con centinaia di ettari (sostanzialmente vero);
- la contestazione del legame tra obbligo per le aziende seminative di mantenere incolto il 4% della superficie e premio PAC (all’azienda che non ottemperi, verrebbero riconosciuti gli altri pagamenti, ma non quello di base; sono considerati non solo terreni a riposo, ma anche stagni, boschetti, fasce alberate, siepi, muretti a secco, fossati, canali, margini dei campi, fasce tampone lungo i corsi d’acqua e su terreni in pendenza, ecc).
Cambierà qualcosa nell’agroindustria?
Una marcia su Bruxelles coi trattori (magari acquistati con l’80% di contributo della PAC europea che contestano, ma questa è un’altra storia) non basta certo a convincere Lactalis (Parmalat, Locatelli, Invernizzi, Galbani, Cadermartori, Nuova Castelli) e Danone a pagare di più il latte.
Non turba più di tanto il sonno agli operatori che alla borsa di Chicago negoziano i futures della soia, né inducono i mangimisti ad acquistare soia nazionale invece che da Stati Uniti, Brasile e Argentina o i pastifici a rinunciare all’acquisto di grano duro dall’Arizona. La logica che i prodotti europei o, meglio ancora, quelli nazionali si dovrebbero poter vendere ovunque, mentre a quelli esteri si dovrebbero sbarrare le frontiere, ahimè, non sta in piedi.
La retromarcia dell’UE sui pesticidi
Ma qualche statua incendiata, evidentemente, è in grado di convincere altri. Per esempio Ursula von der Leyen, presidente della Commissione UE, che sentiti i diversi governi preoccupati dai trattori guidati da agricoltori ribelli, diversi dai loro abituali e più accomodanti interlocutori agricoli, ha annunciato il ritiro della proposta legislativa SUR, il Regolamento per l’uso sostenibile dei pesticidi.
Il motivo? Era “diventato un simbolo di polarizzazione”, preannunciando “una nuova proposta, più matura”, nonostante la risoluzione con cui il Parlamento europeo il 20 ottobre 2021 aveva approvato la strategia Farm to Fork “per un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente”.
Ha convinto forze politiche – anche italiane –, che pure a Bruxelles avevano votato a favore della PAC ora contestata dai comitati, ad affrettarsi a dichiarare che loro erano del tutto d’accordo con gli agricoltori (e quindi contro quel che avevano votato) e ciò miracolosamente già ancor prima delle proteste. Quando uno è bravo, è bravo.
Gli agricoltori non sono i veri vincitori
Alla fine, oltre ad aver dimostrato che il re è nudo, e cioè che le organizzazioni che millantano di rappresentare l’agricoltura sono sostanzialmente dei carrozzoni che rappresentano se stessi, cos’altro porteranno a casa gli agricoltori dei comitati? Il mercato riconoscerà loro un prezzo più equo per latte, pomodori, grano o carne di manzo o di porco? No, manco per idea.
Ad aver vinto questa battaglia condotta conto terzi dai comitati è il settore dell’agrochimica. Anziché investire nella ricerca di molecole a minor impatto potrà infatti continuare nel suo business as usual macinando utili e dividendi grazie alla vendita a caro prezzo di pesticidi a un’agricoltura tossicodipendente che rifiuta ogni percorso di riabilitazione.
Gli agricoltori porteranno a casa forse un altro anno di esenzione fiscale, forse saliranno sul palco di Sanremo. Tuttavia gli unici veri risultati saranno lo stop alla rinaturalizzazione del 4% delle superfici e lo stop alla norma tesa a ridurre i pesticidi che troviamo in più di metà delle acque superficiali, in un quarto delle acque profonde, su due terzi della frutta e su un terzo degli ortaggi. La norma voleva anche tagliare l’uso di antibiotici che causa, solo in Italia, 300mila casi d’infezione correlata a batteri resistenti, con circa 7mila decessi (Associazione Microbiologi Clinici Italiani, Comitato di studio per gli antimicrobici).
Ma temo porteranno a casa anche una frattura netta con i cittadini, tenuti rigorosamente fuori da questo scambio che ha visto in campo trattori da una parte e scranni dell’altra. Ai cittadini consumatori nessuno ha chiesto cosa pensano, ma credo non possano che essere sconcertati dai toni delle dichiarazioni: “L’Italia porta a casa un risultato fondamentale”, “La Commissione recepisce le nostre proposte”, “Si ferma l’eurofollia sui pesticidi in agricoltura. È una vittoria italiana”.
Tenerci i pesticidi è davvero una vittoria di tutti gli italiani?
Il blocco di una norma che voleva eliminare i pesticidi dalle acque di falda e dai due terzi della frutta sul mercato che, così com’è, non si dovrebbe dare ai bambini, sarebbe una vittoria?
Probabilmente ne guadagnerà l’agricoltura biologica, che di pesticidi fa a meno e che della rinaturalizzazione di elementi delle sue aziende fa quasi un mantra. Dovrebbe diventare l’alternativa di elezione per chi, oltre a volere un ambiente più sano (e magari anche più bello, grazie a stagni, boschetti, fasce alberate e siepi), non vuole sui propri alimenti cocktail incerti di sostanze con etichette di pericolo inquietanti. Gli agricoltori biologici, però, avrebbero di gran lunga preferito a questo nuovo appeal che la normativa sull’uso sostenibile dei pesticidi seguisse il suo percorso senza stop. Per il cittadino consumatore, comunque, è un’ottima occasione per mostrare da che parte sta e che agricoltura vuole.
Una nota di colore: Coldiretti, accusata dai comitati di connivenza con il nemico e di aver svenduto l’agricoltura, sta disperatamente cercando di mettere il suo cappellino giallo-verde sulla protesta. Lo fa spacciando il dietrofront di von der Leyen come grande risultato di sue manifestazioni a Bruxelles, con dichiarazioni che chi sta seguendo la questione non può che trovare imbarazzanti.
Roberto Pinton
Note:
- L’associazione di Confindustria costituita da 35 imprese produttrici di pesticidi, con un fatturato in Italia di un miliardo di euro, il 95% del comparto
- ISPRA è la struttura tecnico-scientifica del ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare
- Da 27 i Jalisse provano a partecipare al Festival di Sanremo come concorrenti, ma ogni anno vengono respinti. Nell’edizione in corso, sono presenti come ospiti.
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ESAURIENTE COME SEMPRE!
C’è qualcosa di profondamente malato nel sistema europa e anche nel sistema italiano quando viene spacciata per vittoria la più grande sconfitta della storia del mondo.
Personalmente: io compravo esclusivamente prodotti coltivati in Italia, non che pensassi che fossero esenti da pesticidi, ma mi sentivo un po’ più tutelata rispetto ai prodotti di importazione.
E adesso?
Adesso niente, solo prodotti bio ( sempre che non siano frodi alimentari).
Sono profondamente delusa da tutto ciò.
Interessante, sarebbe formativo per tutti un confronto con un agricoltore, non allineato ma per niente estremista per confermare o confutare il suo articolo….mi ritengo di libero pensiero e fuori dagli schemi……
Attendo per un cordiale agguerrito e sicuramente proficuo confronto
Massimo
– Congratulazioni a Pinton per questa esauriente sintesi! Purtroppo la leggeremo in pochi e ancor peggio i dati allarmanti contenuti nell’articolo non smuoveranno nessuna coscienza, nemmeno pensando al futuro di figli e nipoti; il motore della nostra società resta il profitto, sempre più a discapito per tutti i cittadini/consumatori … Al singolo che non sia sordo e cieco rimane la possibilità di effettuare scelte quotidiane di autotutela per la salute alimentare della propria famiglia, scelte che purtroppo costituiscono un ambito ristretto rispetto alla globalità dei consumi.
Un’ultima considerazione che nasce dal mio scoramento, non assisteremo mai a marce su Bruxelles da parte di orde di consumatori che rivendicano meno veleni nei cibi …
Abbasso i pesticidi! Peccato che una così drastica chiusura ai pesticidi da noi, porti alla chiusura delle nostre aziende e all’apertura di un import in cui i pesticidi la danno da padroni. Questa è intelligenza green?
Ottimo e interessante
Saggie e vere parole
Ottimo lavoro c’è bisogno di fare un po’ di chiarezza!
Complimenti un articolo eccezionale veramente !!!
condivido al 110%
Purtroppo sembra proprio che il neocorporativismo italiano in questo caso abbia contagiato tutta l’Europa. Una categoria che include circa il 2% degli occupati e ancor meno in termini di valore aggiunto è in grado di condizionare l’intera collettività, quando gli agricoltori sono già oggi di gran lunga la gilda più sussidiata del continente. Ma la cosa peggiore non risiede nel tentativo di una categoria di proteggere i propri privilegi, questo comportamento è perfettamente comprensibile in termini politici. Ciò che è davvero intollerabile è vedere i nostri governanti superarsi l’un l’altro nell’offrire loro supporto, come già si era visto in Italia con altre microcorporazioni quali i tassisti e i balneari. Che ora l’intera Europa si sia piegata in men che non si dica ai ricatti di questi trattoristi non può che lasciare ancor più l’amaro in bocca
Articolo ben fatto ricco di dati
Sono d’accordo con le riflessioni puntuali riportate nell’articolo
Purtroppo l’italiano medio appoggia la protesta e ignora i veleni che si apparecchia a tavola ogni giorno
Articolo interessante, fazioso quando da la percentuale di residui su frutta verdura, ma non la percentuale di superamento dei limiti, comunque sostanzialmente condivisibile da un agricoltore parzialmente biologico, ma non da un consigliere di Confagricoltura che ritiene rappresentare agricoltori responsabili e non mestatori professionaliTrattori/forconi/quote latte ecc
Condivido in pieno
La via da seguire per una corretta gestione del mondo agricolo e il rispetto della salute e dell’ambiente c’è. Solo che si guarda troppo agli interessi collegati alla produzione intensiva di alimenti a discapito di intere popolazioni. Gli interessi di lobby non devono prevalere sulla salute del Pianeta e dell’intera umanità. Spetta ai governanti vigilare sul corretto uso di fertilizzanti e pesticidi usati su larga scala. UN’AGRICOLTURA RISPETTOSA DELL’AMBIENTE E DELLA SALUTE E’ POSSIBILE. Dove non arriva una legislazione troppo tenera nei confronti delle aziende produttrici di veleni, devono arrivare le scelte dei consumatori per invertire la rotta.
Su questa protesta ho sentito di tutto e di più, a cominciare da quanto detto dagli agricoltori. Colpa dell’Europa, colpa della grande distribuzione, colpa degli ambientalisti, colpa del cambiamento climatico, colpa della guerra in Ucraina, colpa delle multinazionali chimiche o di quelle petrolifere…Alla fine verranno fatti un po’ di regali fiscali e sostegni vari e nulla cambierà. Mi sembra tutto molto Gattopardesco: che tutto cambi perché nulla cambi…Continueremo ad andare nel nostro supermercato a comprare la nostra verdura e la nostra frutta, bella come sempre, piena di chimica come sempre, pagata il meno possibile come sempre.
Tutto verissimo, @Angelo, ma dimentica di aggiungere che, come sempre, gli agricoltori (e soprattutto quelli piccoli e onesti) saranno strangolati
Mi sento molto frustrato!
Infatti una contraddizione ” Basta importazioni ” perché sono usati pesticidi che poi magicamente diventano fitofarmaci e si fa un bordello anti UE che li vuole ridurre
Mi è piaciuto molto questo articolo che cerca di fare chiarezza su una vicenda finora spiegata male. Avvilente che l’unico risultato sia una marcia indietro sull’ambiente piuttosto che un cambio di rotta su altre questioni di base sicuramente critiche per gli agricoltori. A volte sembra non ci sia speranza. Il vostro lavoro è importante