Mela verde su un tavolo di legno circondata da bucce di mela

È l’Università di Zurigo a lanciare un allarme sul massiccio utilizzo di fitoregolatori nella coltivazione delle mele. Lo studio, pubblicato sulla rivista Agricultural Economics, prende in considerazione un campione di 196 coltivatori di mele svizzeri: di questi il 23,5% ha dichiarato di usare i fitoregolatori principalmente per migliorare l’aspetto del frutto, mentre il 59,2% per il diradamento chimico. I fitoregolatori, anche detti “pesticidi cosmetici”, hanno, infatti, anche un effetto diradante che ha come fine quello di lasciare sugli alberi solo quei frutti che promettono di raggiungere grandi dimensioni e una migliore colorazione.

Andando più nel dettaglio, si scopre che le aziende agricole che commercializzano soprattutto tramite intermediari hanno il 23,9% di possibilità in più di utilizzare queste sostanze per scopi estetici e il 29,6% di possibilità in più di farne uso per il diradamento rispetto a chi fa vendita diretta. Tali percentuali sono presto spiegate se si pensa agli standard richiesti dal commercio.

Standard e regolamenti

Esiste un regolamento a livello europeo (428/2019) che interviene sui parametri di dieci categorie di prodotti tra cui le mele. La parte critica della normativa riguarda la colorazione della buccia e il calibro (il diametro): sulla base di questi criteri estetici, frutta e verdura vengono suddivise in prodotti extra, di prima o di seconda categoria. Le catene dei supermercati sono solite comprare dagli agricoltori solo merce classificata come extra o di prima categoria, una prassi che fa sì che le mele che pesano meno di 70 g non arrivino mai nei supermarket.

I fitoregolatori, anche detti “pesticidi cosmetici”, hanno anche un effetto diradante
I fitoregolatori, anche detti “pesticidi cosmetici”, hanno anche un effetto diradante

L’esigenza di rispettare tali canoni ha delle conseguenze anche sullo spreco alimentare. Una ricerca condotta tra le aziende agricole della Carolina del Nord ha dimostrato che il 41% degli ortaggi non viene commercializzato sebbene commestibile perché non perfetti da un punto di vista estetico o dimensionale. Inoltre, un’indagine sul campo fatta in California suggerisce che la perdita effettiva delle aziende supera di molto le previsioni degli agricoltori, poiché, sebbene gli alimenti “brutti” possano essere trasformati e venduti in altri formati, una parte significativa non viene raccolta o riutilizzata in altro modo. Si potrebbe dunque affermare che le imprese diventate mercato per produzioni industriali agricole siano inevitabilmente in perdita.

Fitoregolatori: cosa sono e quali sono i rischi

I fitoregolatori, considerati fitosanitari appartenenti alla categoria dei pesticidi, sono prodotti a base di ormoni vegetali di sintesi in grado di controllare alcuni processi di sviluppo della pianta, stimolando la fruttificazione e favorendo l’ingrossamento degli ortaggi. Come riportato anche dallo studio dell’Università di Zurigo, sono considerati degli interferenti endocrini, cioè possono mimare l’azione degli ormoni e interagire con i loro ricettori.

In questo modo inducono nell’organismo reazioni che non sono state attivate dagli ormoni la cui azione è imitata. I fitoregolatori possono influenzare la sintesi e la secrezione degli ormoni sessuale e danneggiare la struttura e la funzionalità del sistema riproduttivo. La letteratura scientifica afferma, inoltre, che l’esposizione ad alcuni fitoregolatori è associata a diverse tossicità che colpiscono numerosi organi del nostro corpo, come testicoli, ovaie, fegato, reni e cervello. I fitoregolatori autorizzati in UE sono il Mepiquat e il Paclobutrazol; la principale fonte di questi, ma in generale di tutti i fitoregolatori, è la dieta.

L’opinione dell’esperta

Abbiamo dunque capito che attraverso il cibo si può essere esposti ai pesticidi tanto che oggi l’alimentazione ha un ruolo centrale nello sviluppo delle malattie. Ma quanto è reale il rischio e come ci si può difendere? È Renata Alleva, biologa-nutrizionista specialista in scienza dell’alimentazione e membro del Comitato scientifico e Giunta esecutiva di ISDE Italia a rispondere a questa e altre domande.

Abbiamo visto che in UE il Mepiquat e il Paclobutrazol sono autorizzati. In che misura l’esposizione a queste sostanze è potenzialmente dannosa?

Mepiquat e il Paclobutrazol sono degli interferenti endocrini, cioè sostanze in grado di alterare la risposta ormonale legandosi ai recettori presenti nelle cellule, alterandone la normale fisiologia e attività. Sono state definiti senza soglia, in quanto non agiscono in modo lineare e pertanto non è possibile stabilire limiti di sicurezza. Per fare un esempio, un interferente endocrino può bloccare l’attività di ormoni sessuali, sia nella loro sintesi che nella loro interazione con i recettori, e questo è associato a una diminuzione della fertilità, difetti dello sviluppo, metabolismo lipidico alterato e aumento dell’incidenza di tumori sensibili agli ormoni.

Analogamente, può bloccare l’attività degli ormoni tiroidei nella prima infanzia – ad esempio nella loro interazione con i recettori o nella loro distribuzione ai tessuti bersaglio – aspetto che è associato a difetti di sviluppo del sistema nervoso centrale. Quello che è importante sapere è che le quantità necessarie per questi effetti deleteri possono variare tra le persone e possono essere anche molto basse o ritenute trascurabili.

Pesticidi o erbicidi spruzzati da un erogatore a mano su erbe in un campo
Alcuni pesticidi sono interferenti endocrini, cioè sostanze in grado di alterare la risposta ormonale

Lo studio dell’Università di Zurigo si concentra sulla Svizzera: com’è invece la situazione in Italia rispetto all’uso di pesticidi?

L’Italia si posiziona sesta nella classifica mondiale dei maggiori utilizzatori di pesticidi, con 114.000 tonnellate all’anno di circa 400 sostanze diverse, incluse alcune vietate internamente. Per i biocidi non si hanno informazioni analoghe sulle quantità e manca una conoscenza sulla distribuzione geografica e utilizzo, pertanto è difficile poter fare un monitoraggio.

Ci sono coltivazioni che tendenzialmente sono più esposte all’uso di fitofarmaci? Se sì, perché?

Dall’ultimo report che Legambiente ha pubblicato sulla quantità di residui di pesticidi negli alimenti, la frutta risulta più trattata e a seguire la verdura. La frutta presenta il 67,96% dei campioni contenenti uno o più residui, e in cima alla classifica dei prodotti più trattati ci sono le pere, le pesche, le mele e le fragole. Tra la verdura, peperoni, insalate e pomodori si riconfermano i più trattati.

L’esposizione ai pesticidi è ugualmente rischiosa a qualsiasi età?

Esistono finestre di maggiore suscettibilità in cui l’effetto tossico dei pesticidi è potenzialmente più pericoloso. Si tratta dell’età fetale, età pediatrica, puberale e gestazionale. In generale, possiamo affermare che gli organismi in via di sviluppo sono molto più sensibile all’effetto tossico dei pesticidi. Ad esempio, in vari studi clinici gli studiosi hanno dimostrato che la neurotossicità del Clorpirifos è associata a un maggior rischio di disturbi dello spettro autistico nei bambini nati da madri esposte a pesticidi perché residenti in aree coltivate in modo intensivo. Nel 2020 il Clorpirifos è stato bandito in Europa, ma dopo anni e anni di utilizzo e di conseguenza di esposizione.

Nei bambini i sistemi di detossificazione che aiutano a metabolizzare i pesticidi sono meno efficienti di quelli degli adulti e questo li rende più vulnerabili. Se parliamo però di interferenti endocrini, che agiscono a piccole dosi, direi che l’effetto tossico sul sistema ormonale può verificarsi ad ogni età. La scelta di far uso di fitoregolatori può essere determinata dalla volontà di rispettare gli standard estetici della grande distribuzione: secondo lei, come è possibile interrompere questa pratica?

Certamente informando la popolazione di quali sono i rischi legati ai prodotti che, seppur “belli”, sono trattati con pesticidi pericolosi. Inoltre, è fondamentale spiegare come pratiche di agricoltura sostenibile che non fanno uso di fitofarmaci pericolosi per la salute possano produrre frutti sani e ricchi di micronutrienti, oltre a rispettare l’ambiente.

Da consumatori, come possiamo limitare il contatto con queste sostanze?

I pesticidi comprendono una grande varietà di molecole che chimicamente si comportano in modo diverso, pertanto il luogo comune di sbucciare un frutto non sempre ci assicura la rimozione di alcuni pesticidi che in realtà entrano all’interno della pianta e del frutto. Inoltre, ritengo che sbucciare certi frutti, come le mele, faccia perdere molto delle caratteristiche legate alla buccia come i polifenoli, dotati di proprietà antiossidanti e antinfiammatori, e le fibre, composti utili per il microbiota intestinale. Anche il lavaggio può risultare inefficace nella rimozione, per gli stessi motivi.

Credo che l’unico modo di evitarli sia acquistare prodotti di agricoltura biologica o biodinamica che vietano l’utilizzo di questi pesticidi di sintesi. Questa scelta non solo ci evita di trovare residui negli alimenti, ma anche di interrompere la quantità di prodotti immessi nell’ambiente. È bene ricordare che l’ambiente è salute; molti pesticidi che si diffondono in acqua e aria sono composti persistenti per decine di anni, un aspetto che fa sì che possano entrare in tutta la catena alimentare. La scelta dell’agricoltura biologica e biodinamica tutela anche gli agricoltori, che purtroppo sono i primi a essere esposti ai pesticidi e a subirne gli effetti.

© Riproduzione riservata. Foto: Depositphotos

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AlessandroTTR
AlessandroTTR
27 Novembre 2024 11:21

Sul punto segnalo e invito a fare un articolo su quanto emerso dalla terza edizione dell’Osservatorio Agrofarma.

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