Sono in tanti a temere che la Peste suina africana (Psa), approdata in Liguria e Piemonte ai primi di gennaio (clicca qui per vedere la zona infetta) , possa sconfinare in altre regioni creando grossi problemi negli allevamenti. Difficile prevedere quando e come succederà, perché i cinghiali (ritenuti la causa principale della diffusione) si muovono velocemente e non rispettano certo i confini geografici. È vero che in Italia abbiamo avuto focolai in Sardegna, ma si tratta di un problema in via di risoluzione. In ogni caso la questione sarda non ha nulla a che vedere con il virus attuale. È ormai appurato che il ceppo isolato pochi giorni fa in Liguria è diverso da quello presente in Sardegna, mentre assomiglia molto a quello che circola tutt’ora nel Sud-est asiatico. In Europa la Peste suina africana è arrivata nel 2007 con le navi che approdavano nei porti della Georgia sul Mare Nero. Da lì si è diffuso prima in Armenia e Azerbaijan, poi in Russia, per approdare in Cina e nel Sud-est asiatico. Siamo di fronte a una diffusione globale causata per lo più dagli uomini che trasportano la Psa in giro per il mondo, viaggiando su navi, aerei e autotrasporti a lungo raggio.
Le ipotesi su come il virus sia arrivato in Liguria sono varie. C’è chi punta il dito contro qualche mercantile attraccato nel porto di Genova che ha scaricato rifiuti, contenenti residui di carne di maiale contaminata, in discariche all’aperto, visitate poi da animali in cerca di cibo. Non è da escludere l’ipotesi di persone provenienti da zone in cui la Peste suina africana è presente, che hanno gettato rifiuti di salumi o di carne di maiale contaminata in contenitori accessibili ai cinghiali.
La Peste suina africana è comunque molto temuta perché i maiali e i cinghiali ammalati muoiono quasi tutti dopo pochi giorni a causa di emorragie interne. Per fortuna non si trasmette ad altre specie e anche l’uomo è indenne. Purtroppo il contagio tra animali malati in libertà è invece frequente perché il virus viene eliminato attraverso saliva, urine e feci o con il contatto diretto. L’altro elemento da considerare è la resistenza del virus. Nella carne fresca refrigerata sopravvive alcune settimane, mentre si trova ancora dopo mesi in quella congelata. Può annidiarsi anche negli insaccati freschi o nei salumi poco stagionati come pure negli scarti di cucina. In questi casi il problema sussiste se i rifiuti urbani finiscono in discariche non controllate frequentate da cinghiali.
“Piemonte e Liguria sono in allerta – precisa Fabrizio De Stefani direttore del Servizio veterinario di igiene degli alimenti dell’AULSS Pedemontana – e per questo hanno adottato una serie di misure restrittive tra cui il divieto d’accesso alle zone critiche individuate all’interno dell’area di 114 comuni. Cacciatori, turisti, pescatori e anche gli amanti della mountain bike non possono accedere alle aeree sotto sorveglianza perché potrebbero trasportare involontariamente il virus attraverso le scarpe o l’abbigliamento. L’accesso è vietato anche ai cani perché con le zampe o con il pelo sporchi di fango potrebbero trasmettere l’infezione agli allevamenti”.
“Tra i provvedimenti adottati per cercare di arginare la Peste suina africana, – prosegue De Stefani – c’è anche la macellazione anticipata sotto stretto controllo veterinario di tutti i maiali dei piccoli allevamenti familiari situati nella zona critica. Questi animali sono considerati maggiormente a rischio, per l’impossibilità di creare efficaci barriere di biosicurezza in grado di impedire contatti più o meno ravvicinati con i suidi selvatici. Si tratta certo di un provvedimento impopolare ma che in questo momento è indispensabile per arginare la diffusione del virus”.
Una circolare del ministero della Salute prevede infatti la macellazione e l’abbattimento immediato di tutti i maiali e cinghiali che vivono all’interno di allevamenti bradi o semibradi e il divieto di ripopolamento per 6 mesi. Il problema si pone soprattutto in Liguria dove ci sono qualche centinaio di maiali allevati in libertà allo stato semi-brado e migliaia di cinghiali che scorrazzano sulle montagne. In questa situazione i maiali possono facilmente venire a contatto con i cinghiali e infettarsi. L’unico modo per arginare il virus è bonificare l’area creare il vuoto biologico. In altre parole si aspetta che i cinghiali ammalati muoiano, cercando di non fare spostare gli animali in altre zone. L’impresa è però complicata perché in Liguria e Piemonte ci sono migliaia di capi. A una manciata di chilometri da Genova, nella valle del Bisagno, ci sono gruppi di cinghiali molto numerosi che stazionano stabilmente sul greto del fiume. Come succede spesso in questi casi non c’è molto tempo da perdere. Se all’inizio di gennaio si contavano solo 4 carcasse di cinghiali positivi, adesso siamo arrivati a 29 (dato aggiornato al 3 febbraio 2022) e non si tratta certo di un buon segnale.
Aggiornamento del 4 febbraio 2022
L’Associazione medici veterinari italiani (Amni) fa sapere che la Direzione generale della sanità animale e dei farmaci veterinari in risposta alla Lega Anti Vivisezione ha chiarito che il dispositivo dirigenziale per il controllo della Peste Suina Africana prevede “la macellazione (immediata e programmata) dei suini detenuti per la produzione di alimenti per uso umano”. Non prevede quindi l’abbattimento preventivo di tutti i suini allevati a scopi diversi da quelli zootecnici e alimentari. Questo vuol dire che i maialini vietnamiti che vivono nelle case delle persone residenti in uno dei i 114 comuni considerati a rischio di Peste suina africana, non dovranno essere abbattuti.
Il Regolamento (UE) 2016/429 (Animal Health Law) non contempla il suino tra le specie di animali da compagnia – precisa la nota ministeriale – che però prende atto che “in alcune realtà sporadiche” i suini vengono detenuti per finalità diverse dalla produzione zootecnica o alimentare. Per questi animali, il Ministero ritiene “derogabile la procedura di macellazione”, a condizione di un “rigoroso rispetto di tutte le misure di biosicurezza utili ad evitare l’infezione da PSA e la sua diffusione”zona infetta.
La Direzione geneale raccomanda di osservare rigorose norme di biosicurezza ed in particolare di provvedere al lavaggio e disinfezione delle mani e delle calzature all’ingresso dei locali in cui sono tenuti i suini, e di “evitare assolutamente ogni contatto diretto o indiretto con altri suini domestici e loro detentori nonché con suini selvatici e con i cacciatori, nonchè l’alimentazione dei suini con rifiuti alimentari potenzialmente contaminati o alimenti a base di carne suina”
I dati aggiornati al 7 febbraio sulle carcasse di cinghiali ritrovati e classificati come affetti da Peste suina africana sono 33 (17 ritrovamenti in Liguria e 16 in Piemonte).
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
A Genova i cinghiali si trovano abitualmente in città, dal citato fiume Bisagno (che divide il centro cittadino fino all’Area Expo) fino alle spiagge. Non pretendo che mi si creda sulla parola, cercare nella cronaca dei quotidiani locali
Ti crediamo Simone. Oramai hanno invaso non solo la città di Roma. Entrano in città per fame, molto probabilmente non riescono più a trovare cibo a causa del disboscamento. Il guaio è che vengono anche attirati dai rifiuti lasciati in strada. Una volta il Comune di ogni città si adoperata per la raccolta porta a porta. Forse bisognerebbe tornare a quella e mantenere in questo modo le strade pulite.