Nel 2018, la peste suina africana ha raggiunto la Cina. Il virus è emerso in Africa nel primi decenni del Novecento e si è poi diffuso in Europa occidentale negli anni Cinquanta. Era quasi sparito, salvo poi riemergere nel 2007 in Georgia, da dove ha preso il via la sua graduale ma inesorabile diffusione verso tutti i Paesi europei. La peste suina ha ora imboccato la via dell’oriente, con conseguenze per tutto il pianeta. Anche in Cina, ufficialmente, il protocollo seguito è stato lo stesso applicato ovunque, che prevede la soppressione degli animali infetti e di tutti quelli che si trovano entro un’area di tre chilometri dal focolaio, con indennizzi per gli allevatori, ma la realtà potrebbe essere molto diversa.
Secondo quanto riferisce Science, l’allevamento dei maiali è profondamente cambiato negli ultimi anni anche a causa della peste suina e i piccoli allevatori sono passati da circa 40 milioni alla metà, lasciando spazio agli allevamenti industriali. Il mega-allevamento in due edifici di 26 piani a Ezhou, di cui hanno parlato tutti i media internazionali, ne è la testimonianza più evidente (ne abbiamo parlato in questo articolo). Per un piccolo allevatore del Sud-Est asiatico, che mantiene in media 10-20 animali, il costo della soppressione di tutti i suini non è sostenibile, neppure se rimborsato, e per questo, dati i numeri, le autorità locali stanno pensando di non obbligare più all’abbattimento e di affidarsi solo alle misure di contenimento più blande, in accordo anche con la Fao, che un anno fa ha reso note le sue linee guida specifiche. Tra queste vi sono il controllo del numero di estranei ammessi nell’allevamento, la disinfezione continua di tutte le strumentazioni, dei veicoli, di abiti e calzature dei lavoratori, l’invito a non dare agli animali scarti e evitare di far incrociare le scrofe allevate con gli esemplari selvatici (pratica che in Cina si ritiene migliori il sapore della carne).
Queste misure, sperimentate dalla stessa Fao nel villaggio di Sagcungan, nell’isola filippina di Mindanao, e dal costo assai contenuto (in media 325 dollari per piccolo allevatore), si sono rivelate abbastanza efficaci, innanzitutto perché hanno modificato l’atteggiamento nei confronti della malattia. La prova è stata che un focolaio di peste suina scoppiato in un villaggio vicino alla città non ha mai raggiunto Sagcungan. Altri esperimenti pilota stanno prendendo il via in tutta l’Asia orientale, Cina inclusa, mentre si ragiona su come monitorare le eventuali varianti virali e se dare vita ad alcuni laboratori ufficiali di riferimento. Ma basterà? Dopo quanto accaduto con la pandemia di Covid-19, non sembra che il Paese abbia cambiato atteggiamento nei confronti dei possibili spillover e delle loro cause. Il commercio e l’allevamento di animali selvatici a fini alimentari è stato vietato, ma non a fini farmaceutici, né per la produzione di pelli e pellicce.
Il virus della peste suina, che provoca una malattia emorragica, finora è sempre stato considerato innocuo per l’uomo, ma quando si allevano centinaia di milioni di capi le mutazioni sono inevitabili, ed è questo che preoccupa maggiormente, oltre alla reticenza nelle denunce e nella diffusione delle informazioni.
Intanto, in una corsa contro il tempo, da più parti si sta lavorando a un vaccino. Lo sta facendo lo US Agricultural Research Service e alla National Veterinary Joint Stock Compan vietnamita, che sta sperimentando un vaccino basato sul virus vivo attenuato su 600mila maiali in Vietnam. In Europa la Spagna sta studiando un vaccino orale, da mischiare al cibo, e il laboratorio dell’Anses francese di Ploufragan-Plouzané-Niort, lavora sull’immunizzazione con il virus attenuato isolato in Georgia nel 2007 e molto più efficace rispetto ai ceppi originari usati nei primi tentativi. La vaccinazione intramuscolare oppure orale, sembra capace di attenuare i sintomi di una malattia che, altrimenti, ha una mortalità che si avvicina al 100%. Ciò che si sta cercando di fare in Francia è ottimizzare la produzione di milioni di dosi, per replicare quanto visto con i primi vaccini con il ceppo africano: dove sono state attuate campagne di vaccinazione, l’infezione è scomparsa.
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Giornalista scientifica
Che orrore! Tutto questo sfruttamento intensivo degli animali prima o poi ci si rivolterà contro e sarà giusto così….la Natura fa il suo corso e noi che ci crediamo i padroni della Terra, siamo e saremo solo uno dei tanti esseri viventi che sono passati nel corso dei milioni di anni di questo pianeta.
Concordo con Claudia, ma d’altro canto finchè le persone riterranno importante mangiare carne tutti i giorni …