“Allerta peste suina africana. Attenzione è una malattia altamente contagiosa diffusa in Europa che rappresenta una minaccia per milioni di suini e di cinghiali. Gettate avanzi di alimenti negli appositi contenitori per rifiuti chiusi.” Il manifesto in sei lingue (vedi foto) è esposto all’aeroporto di Catania e firmato dal Ministero della Salute. Il testo invita a non trasportare carni o salumi senza il bollo CE o fatti in casa, e a non abbandonare avanzi di cibo soprattutto se contenente carne e salumi.
C’è un altro aspetto importante che viene ricordato. Le persone che trasportano prodotti alimentari, anche se certificati, devono dichiararli ai punti di controllo. Insomma, se si trasportano salsicce o salumi (anche se comprati al dettaglio) bisogna dichiararlo in aeroporto. Il testo, però, è poco chiaro e non si capisce se la regola vale anche per altri prodotti alimentari.
Prosciutto di Parma a rischio
L’allerta è molto seria, anche perché la peste suina ha colpito sette regioni italiane ed è arrivata a 65 km da Langhirano, in provincia di Parma, zona dove risiedono la maggior parte dei prosciuttifici italiani. Ciò nonostante il Consorzio del prosciutto di Parma non sembra molto preoccupato. Eppure, quando fra poche settimane verrà trovata la carcassa del primo cinghiale morto a pochi chilometri dall’aerea vocata alla stagionatura del prosciutto, scatteranno immediatamente i blocchi all’esportazione.
Gli esperti sono certi che questo avverrà, ma la cosa non scalda gli animi dei dirigenti del Consorzio che, pochi giorni fa hanno preferito non rispondere alle nostre domande, dicendo limitandosi a dire che la situazione è “drammatica” manifestando “una profonda apprensione”. Non molto diverso è stato l’atteggiamento del Consorzio tre mesi fa, di fronte alle nostre perplessità sulla scarsa presenza dall’inizio dell’epidemia e sull’assenza di iniziative per cercare di arginare la peste suina.
Abbattuti 40 mila maiali per la peste suina
La prospettiva di un blocco delle esportazioni d’un prodotto come il prosciutto di Parma, considerato la punta di diamante del made in Italy, è dietro l’angolo. I diretti interessati però sembrano tranquilli. La sensazione è che l’accostamento fra il prosciutto crudo di Parma e la peste suina, che fino ad ora ha portato al ritrovamento di oltre 1.500 cinghiali morti e ha causato l’abbattimento di 40mila suini in 21 allevamenti, non piaccia e dia quasi fastidio. Il pensiero di molti è che, siccome il virus non è pericoloso per le persone, i prosciutti si venderanno sempre in Italia.
Il problema in realtà è molto serio. Siamo di fronte a una vera epidemia fuori controllo, con manifesti negli aeroporti, appelli ai cittadini su come evitare la diffusione quando viaggiano o si recano nei boschi. Poi ci sono le battute di caccia. In provincia di Piacenza è addirittura arrivata una squadra dell’esercito dotata di droni per individuare le carcasse dei cinghiali morti.
Interventi improvvisati
Gli interventi muscolari come la presenza dell’esercito e l’abbattimento dei cinghiali sono operazioni che piacciono, perché si pensa di poter risolvere i problemi. Non è così. Anzi la caccia come viene fatta adesso sovente aiuta il diffondersi dell’epidemia.
Vale la pena ricordare cosa diceva a il Fatto Alimentare un anno fa Andrea Mazzatenta dell’Università degli Studi G. d’Annunzio Chieti-Pescara. Una persona che conosce bene il problema ma, probabilmente, non ha grandi amicizie e seguito nella filiera del prosciutto. “La soluzione percorribile in Italia è di lasciare in pace i cinghiali e aspettare che l’epidemia faccia il suo corso visto che spesso, ma non sempre, i cinghiali muoiono a distanza di 15 giorni dal contagio. Non cacciandoli più diventano stanziali e l’invecchiamento della popolazione contribuisce a ridurre la prolificità e quindi a ridurne il numero. Cacciarli in modo indiscriminato con le battute non funziona a meno che non si riesca a eliminarli tutti, ma questo sul nostro territorio è pressoché impossibile”.
In arrivo i ristori per la peste suina
Insomma la direzione scelta della filiera del prosciutto sembra essere quella di mantenere un basso profilo, di non allarmare i cittadini e di non accostare l’immagine di un prodotto considerato il fiore all’occhiello della nostra produzione alimentare con la morte di migliaia di maiali e di cinghiali. I danni ci sono e ci saranno ma non saranno così onerosi per i soci del Consorzio del prosciutto di Parma. È già stato predisposto un provvedimento per ricevere soddisfacenti ristori. Sì, avete capito bene, è già stato redatto un documento a fine dicembre 2023 che prevede il rimborso per i danni, sia per l’abbattimento dei suini, sia per la mancata esportazione dei prosciutti all’estero.
Forse in questa operazione qualcuno pensa anche di guadagnarci. In altre parole la peste suina africana può continuare a diffondersi in Italia, i cinghiali possono continuare a morire (si tratta di 20-30 animali ogni settimana), la peste arriverà in altri allevamenti e scatterà il blocco delle esportazioni. Ma tutto ciò sembra importare poco al Consorzio, che in due anni ha manifestato uno scarso coinvolgimento per un problema devastante per il settore. Qualcuno sostiene che l’atteggiamento sia giustificato dalla sicurezza di ricevere adeguati ristori, che paghiamo tutti noi. Gli unici che hanno allertato i politici, i ministeri e quant’altro sono gli allevatori di maiali che avranno anche loro un rimborso, che sarà comunque poco adeguato per compensare il danno.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Più vi conosco e maggiormente apprezzo quello che fate.
Complimenti.
Ci stanno già pensando i lupi a “sparpagliare” i cinghiali senza la necessità di bloccare la caccia per cercare di evitare che i cacciatori inducano tali ungulati a trasferirsi in ambienti più lontani. Non a caso ci troviamo i cinghiali sotto casa nelle città. Sarebbe invece preoccupante che degli imprenditori quali sono gli allevatori di suini ed i produttori di prosciutti potessero contare su “ristori” che scaricano sui soliti pagatori di tasse (dipendenti e pensionati) il loro rischio d’impresa. Non sarebbe più giusto che lo Stato si facesse carico di promuovere serie ricerche per ottenere un valido vaccino in grado di risolvere il problema della virosi? Ciò consentirebbe tra l’altro di poter ottenere sensibili guadagni con la vendita all’estero di un tale vaccino.
Il Consorzio ha storicamente sempre avuto questo atteggiamento da struzzo. I problemi sono sempre degli altri segmenti della filiera. D’altronde fa bene a fare così. E’ sempre stato difeso ad oltranza da Ministero e compagnia cantante. I soldi per quando i prosciuttifici chiuderanno a causa della PSA sono già previsti nel Decreto citato nell’articolo. L’eventuale stop sarebbe però un’ occasione splendida per resettare la DOP. Ce ne sarebbe un gran bisogno. Ripartire raccontando tutta la verità servirebbe al sistema Italia ed alla credibilità delle produzioni tutelate.