![Forme di formaggio fontina in stagionatura su scaffali di legno](https://ilfattoalimentare.it/wp-content/uploads/2022/10/Depositphotos_258602444_L-1.jpg)
Ancora un caso di infezione alimentare legato al consumo di formaggi a base di latte crudo. Questa volta è stato colpito un bambino di 9 anni, che per fortuna non è mai stato in pericolo di vita ed è stato ricoverato solo un paio di giorni. Lo ha reso noto con una breve nota il 12 gennaio il Dipartimento di prevenzione dell’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari (Apss) di Trento.
Le indagine epidemiologiche condotte dalle autorità competenti per identificare la fonte dell’infezione hanno infatti individuato una probabile correlazione tra il caso e il consumo di un formaggio a latte crudo, il Puzzone di Moena. Si tratta dello stesso formaggio richiamato alla fine di novembre 2024, per la presenza di Escherichia coli STEC. L’allerta allora aveva coinvolto oltre 50 lotti di formaggio, tra cui quello responsabile dell’infezione che ha colpito il bambino di 9 anni. Tutti i dettagli sul richiamo e la lista dei lotti interessati si trovano in questo articolo.
![Puzzone di Moena, formaggio a latte crudo](https://ilfattoalimentare.it/wp-content/uploads/2024/11/Schermata-2024-11-29-alle-12.55.41-e1732887311884.png)
I rischi dei formaggi a latte crudo
Com’è possibile allora che il formaggio contaminato fosse ancora in commercio? L’Aspp di Trento ha spiegato a Il Fatto Alimentare che cinque forme erano risultate negative alle controanalisi ed erano stati rimessi in vendita alcuni lotti, per un totale di una cinquantina di forme. Purtroppo, però, l’Escherichia coli STEC può distribuirsi in maniera disomogenea all’interno di uno stesso lotto, o addirittura una stessa forma, e ‘sfuggire’ alle analisi. Anche per questo motivo è fondamentale che i bambini, le donne incinte e le persone fragili non consumino latte crudo e formaggi a base di latte crudo. Queste categorie, infatti, possono sviluppare sintomi gravi, anche potenzialmente letali o con effetti negativi sulla salute a lungo termine.
Tra le conseguenze più gravi dell’infezione da Escherichia coli STEC c’è la sindrome emolitico-uremica (SEU), che colpisce soprattutto i bambini sotto i 5 anni di età. Si tratta di una patologia caratterizzata da danno renale acuto, anemia emolitica causata dalla rottura dei globuli rossi e un basso numero di piastrine nel sangue (piastrinopenia). In alcuni casi la SEU può portare alla morte. Lo scorso novembre aveva fatto notizia un caso di sindrome emolitico-uremica, che aveva colpito una bambina di un anno di Cortina d’Ampezzo. In quel caso, il prodotto coinvolto era il formaggio Saporito della Val di Fassa, anch’esso prodotto con latte crudo.
Avvertenze in etichetta?
I casi di sindrome emolitico uremica in Italia non sono poi così rari: tra il 1° luglio 2023 e il 30 giugno 2024 l’Istituto Superiore di Sanità ha registrato infatti 68 casi di SEU, 67 dei quali in età pediatrica. Anche per questo pare imminente l’obbligo di riportare sulle etichette dei formaggi prodotti con latte crudo l’indicazione del rischio legato al loro consumo. Come riportano testate locali, il Caseificio sociale di Predazzo e Moena, che ha prodotto il Puzzone, si è già portato avanti, aggiornando le etichette del formaggio venduto in zona con l’indicazione “Non adatto a bambini con meno di dieci anni, donne in gravidanza e persone immunodepresse”.
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
Le etichette non servono, bisogna evitare il latte crudo se non per i formaggi a lunga stagionatura
Buongiorno, mi perdoni ma non sono dello stesso avviso, le etichette sono indispensabili per avvisare il consumatore riguardo ai possibili rischi in alcune categorie di persone. Ad oggi la comunità scientifica non sa indicare se un formaggio contaminato con la stagionatura a lungo periodo (24 mesi) si negativizza perchè mancano studi, Inoltre è indispensabile informare il consumatore sulle differenti tipologie di formaggi prodotti con latte crudo (pasta cruda o cotta) perchè non tutti i formaggi a latte crudo costituiscono un rischio. Paolo Chiandotto Presidente Progetto Alice Associazione per la lotta alla Sindrome Emolitico Uremica.
Sta semplicemente accadendo che facendo indagini puntuali, emergono numeri che in passato erano sconosciuti, se cerchi trovi! Penso che nei caseifici trentini ci sia un problema non di poco conto. L’etichettatura è importante ma manca conoscenza scientifica del problema che va affrontato a livello di filiera.
Ma si, è ora di agire con le informazioni in etichetta. E, se possibile, tramite le associazioni di categoria, anche una sensibilizzazione dei commercianti, perché non tutto viene venduto negli anonimi supermercati, specialmente nelle aree poco urbanizzate.
Io penso due cose:
1. Questi eventi ci sono sempre stati, ma passavano in sordina, perché i genitori non lo scrivevano sui social e, in generale, c’erano meno controlli sanitari
2. Negli ultimi tempi molte persone sono tornate alla pastorizia e non tutti sono esperti, quindi gli errori, commessi in buona fede, possono essere più frequenti.
Detto questo, credo che sia un bene che ci siano più controlli, ma non bisogna cadere nella tentazione di demonizzare i formaggi a latte crudo, perché rimangono ugualmente dei prodotti di alta qualità.
Ben venga, quindi, l’etichetta di avviso al pari degli avvisi per le persone allergiche.
Vorrei sapere quanti sanno quali sono i formaggi prodotti con latte crudo e la loro potenziale pericolosità. Io personalmente non li conosco ma ad es. il Puzzone di Moena è in vendita dal mio salumiere e l’ho visto acquistare da persone anziane. Ma l’EU non aveva introdotto normative sanitarie per cui ai piccoli produttori di formaggio si è resa difficile la vita rispetto ai grandi caseifici? Ricordo anni fa lamentele da parte di piccoli produttori di tome di Lanzo. E il risultato è che un grande caseificio mette in commercio un formaggio che può causare gravi danni senza essere sicuro al 100% che non sia contaminato? Che senso ha dire che “l’Escherichia coli STEC può distribuirsi in maniera disomogenea all’interno di uno stesso lotto, o addirittura una stessa forma, e ‘sfuggire’ alle analisi”?? Se non esistono test che garantiscano al 100% la commestibilità non dovrebbe essere immesso in commercio e comunque è criminale che nemmeno siano state distrutte TUTTE le forme appartenenti ai lotti risultati infetti.
Come qualcuno ha già avuto modo di scrivere, alzando la soglia di attenzione in questo momento stanno semplicemente venendo a galla tutte quelle forme di tossinfezione che fino a qualche anno fa venivano ricondotte a fantomatiche e misteriose forme virali, “colpi di freddo”, etc…
Io stesso ho avuto modo di contestare un evento capitato a miei familiari, con chiari sintomi di tossinfezione ricondotti dal personale di PS ad una banale forma virale: del resto se avessero diagnosticato un problema alimentare il medico avrebbe poi a sua volta dovuto attivare l’autorità sanitaria con quanto ne segue.
Certo il consumo di alimenti stagionati limita di molto i problemi ma non li elimina se si prende in considerazione la possibile presenza di patogeni in crosta piuttosto che la persistenza di tossine prodotte nel corso della trasformazione, la vera soluzione è la prevenzione attraverso la formazione degli operatori del settore (e dei loro controllori altrimenti si riduce tutto ad una caccia alle streghe generalizzata ed ingiustificata)
Alla luce dei numerosi casi registrati dall’ISS riguardo alla SEU e l’aumento di aziende agricole che utilizzano latte crudo per la trasformazione in formaggi, trascurando le norme di corretta prassi igienica, ritengo sia indispensabile formare gli addetti del settore sui pericoli e le misure preventive da adottare lungo la filiera ed introdurre in etichetta, quanto prima, come indicazione obbligatoria, tutte le informazioni inerenti il latte crudo ed eventuali rischi per il consumatore.
Rosalba Verderese, Biologa, spec.sta in Scienza dell’Alimentazione.