Una persona versa latte da una brocca in una tazza su un piatto di legno; sullo sfondo due bottiglie di latte; concept: latte crudo, latte fresco

A fine novembre, a Trento, una bambina di un anno e mezzo è finita in ospedale per aver contratto una tossinfezione consumando formaggio prodotto da latte crudo. Poco tempo prima, negli Stati Uniti, è stato trovato nel latte crudo il virus H5N1, agente patogeno dell’influenza aviaria. D’altra parte, durante la campagna elettorale americana, Robert F. Kennedy, candidato per i repubblicani e futuro ministro della sanità, sosteneva come punto centrale del suo programma la necessità di rilanciare il consumo del latte crudo. Si tratta di notizie contraddittorie che hanno riacceso i riflettori su un alimento che da anni scatena discussioni fra sostenitori e nemici del latte crudo.

Il latte crudo

Proviamo a fare un po’ di chiarezza, anche con l’aiuto delle informazioni fornite dall’Istituto Superiore di Sanità. Il latte crudo è latte non pastorizzato, cioè non è sottoposto ai trattamenti termici previsti per il latte confezionato come fresco. La pastorizzazione permette di eliminare virus e batteri patogeni, senza compromettere le proprietà nutrizionali e si può effettuare con modalità diverse, combinando temperatura e durata del trattamento. In molti casi si sottopone il latte alla temperatura di 71,7°C per 15 secondi, e questo abbinamento risulta un ottimo compromesso per garantire allo stesso tempo sicurezza alimentare e ricchezza nutrizionale.

Inevitabilmente però il sapore del latte pastorizzato non è lo stesso di quello appena munto e anche alcuni componenti nutrizionali, come anticorpi, enzimi e alcune vitamine si possono perdere con il trattamento termico. Per questo, da una ventina d’anni, si sono diffusi i distributori di latte crudo, macchine regolarmente riempite con latte fresco non pastorizzato, da cui si preleva questo alimento versandolo direttamente in una bottiglia.

I rischi del latte crudo

Il latte crudo vanta schiere di amatori, perché non ha subito nessun processo e viene percepito come più ‘genuino’. La mancata pastorizzazione comporta però il rischio di contaminazione. I microrganismi patogeni possono arrivare nel latte dalle vacche stesse, oppure durante i processi di mungitura e trasporto. Possono essere virus, come il Rotavirus che provoca infezioni gastrointestinali, oppure, più spesso, batteri, come Listeria, Campylobacter o Escherichia coli. Quest’ultimo è un normale inquilino dell’intestino dell’uomo e degli animali, ma i ceppi produttori di Shiga tossina (STEC = Shiga Toxin-producing E. coli), nei bambini e nelle persone vulnerabili possono provocare sintomi gravi (potenzialmente letali), con conseguenze sulla salute anche a lungo termine.

Due bambini riempiono una bottiglia a un distributore di latte crudo
Da una ventina d’anni, in Italia, si sono diffusi i distributori di latte crudo

In Italia c’è stato un momento, qualche anno fa, in cui i distributori di latte crudo si sono moltiplicati a vista d’occhio. Dopo un anno circa è arrivata una norma dal Ministero della Salute che ha obbligato i distributori di latte crudo ad esporre, in modo chiaramente visibile, l’avvertenza: “Prodotto da consumarsi solo dopo bollitura”.

A questo punto il fenomeno ha subito un totale ridimensionamento. Oggi, oltre al consumo diretto, che rimane un fenomeno ‘di nicchia’ il problema riguarda numerosi formaggi prodotti con questo latte, molto diffusi e apprezzati. Oltre ai formaggi di malga, sono prodotti da latte crudo, per esempio, gorgonzola, taleggio, fontina e brie. Per questo, su queste pagine, non sono rare le segnalazioni di formaggi ritirati dal mercato per la presenza di batteri patogeni (leggi qui l’ultimo richiamo di questo tipo).

Il virus dell’influenza aviaria nel latte

Recentemente, come dicevamo, nel latte crudo è stato trovato anche il virus H5N1, responsabile dell’influenza aviaria. Questo virus, che generalmente colpisce gli uccelli e molto raramente infetta gli esseri umani, è giunto al centro dell’attenzione per la prima volta nel 1997 quando, a Hong Kong, ha infettato 18 persone provocando sei decessi.

Da allora viene monitorato con attenzione e quando si manifestano focolai all’interno di allevamenti di polli o tacchini questi vengono abbattuti, per evitare la diffusione. Finché restava confinato nell’ambito dei volatili, questo virus non ha destato grandi preoccupazioni per la popolazione, tranne che per gli allevatori che registravano perdite. La scorsa primavera, però, in Texas si sono verificati i primi casi di infezione nei bovini. Casi che si sono poi rapidamente diffusi in diversi stati USA. Il fenomeno, contro il quale non si sono messe in atto le misure drastiche necessarie per arrestare un’epidemia, desta molta preoccupazione presso le autorità sanitarie americane, perché i bovini sono mammiferi, la classe di animali cui appartiene anche l’essere umano.

Allevatore cammina tenendo in mano un fusto di metallo accanto a vacche da latte in un allevamento; concept: mucche, bovine da latte
Il virus dell’influenza aviaria H5N1 ha colpito 865 allevamenti di bovini negli Stati Uniti

Rischi per le persone?

Questo rende più temibile l’ipotesi che il virus possa mutare e acquisire la capacità di infettare facilmente gli esseri umani. Pare quindi che questo virus si stia ‘avvicinando’. Anche se non è mai stata registrata la trasmissione da uomo a uomo, è ormai accertato che negli USA si sono verificate una trentina di infezioni fra gli operatori degli allevamenti e recentemente è stato colpito anche un adolescente canadese. L’infezione dei bovini, che ormai sono migliaia (mentre scriviamo gli allevamenti coinvolti sono 865), rappresenta un serbatoio molto pericoloso, perché il virus può essere trasmesso agli operatori

L’ipotesi che il virus H5N1 dei bovini possa incontrare il virus dell’influenza umana non è fantascientifica ed è piuttosto preoccupante perché i due ceppi potrebbero scambiarsi materiale genetico, con il rischio di rendere l’agente dell’influenza aviaria sempre più pericoloso per gli esseri umani. Il fatto che il virus H5N1 sia stato trovato nel latte crudo aumenta le probabilità che si verifichino contagi.

Quali accorgimenti dobbiamo usare per consumare in sicurezza latte non pastorizzato e formaggi da latte crudo? Ne abbiamo parlato con Antonello Paparella, professore di Microbiologia alimentare presso l’Università di Teramo.

“Al momento – dice Paparella – pare imminente l’obbligo di riportare sui formaggi da latte crudo l’indicazione del rischio legato al loro consumo. A mio parere questo non è molto utile, perché da un lato si tratta di un semplice avviso, e non è possibile sapere in che modo le persone conservano e utilizzano questi prodotti; dall’altro perché si rischia di generare un inutile allarmismo, danneggiando il comparto. Ricordiamo che alcuni di questi prodotti, come il Parmigiano-Reggiano, sono parte importante della nostra cultura alimentare e, pur essendo prodotti con latte non pastorizzato, non sono soggetti a contaminazioni perché il processo di produzione è consolidato e gestito con rigore. Sarebbero necessari investimenti importanti nella ricerca per mettere a punto protocolli di produzione che garantiscano la sicurezza di tutti i formaggi a latte crudo. Una volta individuate queste strade, si dovrebbero poi mettere in atto i necessari controlli.”

taleggio formaggio formaggi grassi proteine
Pare imminente l’obbligo di riportare sui formaggi da latte crudo l’indicazione del rischio legato al loro consumo

Quali rischi si corrono?

“Oltre alla sindrome emolitico-uremica, patologia provocata da E. coli STEC che ha colpito la bambina di Trento, – spiega l’esperto – questi prodotti possono essere contaminati da diversi microrganismi, come salmonelle, stafilococco aureo o Listeria monocytogenes. Questi possono provocare conseguenze severe nelle persone a rischio, che quindi dovrebbero evitare di consumare latte crudo e formaggi da latte crudo. Questa categoria comprende: i bambini sotto i 10 anni, le persone sopra i 65, le donne in gravidanza e gli immunodepressi.”

È più rischioso consumare latte crudo oppure formaggi da latte crudo?

“Dipende, – risponde Paparella – in generale, il processo di lavorazione e stagionatura dei formaggi permette di rallentare la crescita di eventuali contaminanti. D’altra parte, però, il latte, una volta acquistato, si consuma rapidamente, quindi, il rischio di proliferazione batterica è limitato, mentre i formaggi possono rimanere diversi giorni nelle nostre case, non sempre conservati nel modo corretto. Per ridurre il rischio è preferibile acquistare formaggi ‘industriali’ piuttosto che prodotti in modo artigianale da piccoli caseifici, poi bisogna assicurare la continuità della catena del freddo utilizzando, quando necessario, borse refrigerate per il trasporto della spesa. L’ideale sarebbe avere un termometro nel frigorifero, in modo da verificare che la temperatura all’interno non superi i 4°C, ricordando che i formaggi devono rimanere a temperatura ambiente solo il tempo necessario per il consumo. Ciò non significa demonizzare i formaggi artigianali, perché l’Italia ha un patrimonio inestimabile di formaggi eccellenti e sicuri, prodotti da artigiani scrupolosi.”

Per quanto riguarda il virus dell’aviaria?

“Al momento la sua trasmissione all’uomo tramite il consumo di latte crudo pare una possibilità piuttosto remota, – dice Paparella – le precauzioni messe in atto sono comunque necessarie per studiare i ceppi trovati nel latte, caratterizzarli dal punto di vista genetico e capire quali possono essere le conseguenze sull’uomo. Il latte crudo è comunque un alimento da utilizzare con grande attenzione, in quanto comporta dei rischi.”

© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos, AdobeStock

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