Domenica 4 ottobre 2015 Riccardo Iacona a Presa Diretta (RAI 3) tratta il problema dell’impoverimento dei mari a causa dell’eccessiva cattura di pesce fresco, focalizzando l’attenzione sul pesce di allevamento e di importazione che ormai rappresenta il 40- 50% circa del prodotto venduto in pescheria. Il consumatore è sufficientemente tutelato perché le etichette devono indicare l’origine, le modalità di pesca e specificare se il prodotto è allevato o catturato in mare. Ciò non toglie che l’argomento sia complesso. Ecco alcuni spunti sulle differenze tra pesce allevato e pescato utili per capire meglio cosa compriamo in pescheria.
La qualità del pesce allevato dipende soprattutto dal tipo di mangime e, in misura minore, dal sistema di allevamento (vasca, bacini naturali o gabbie in mare aperto) e dalla stagione. Se il pesce è stato nutrito con mangimi ricchi di grassi, la percentuale di lipidi risulta doppia o tripla rispetto al pesce pescati in mare aperto. La differenza è facile da comprendere, il pesce selvatico si muove molto e fatica a cercare il cibo e infatti presenta con carni molto magre.
Quello di allevamento vive in acque (vasche o gabbie) più o meno affollate, si muove poco e non deve faticare per cercare il cibo. In simili condizioni, la distribuzione di tanto mangime determina una crescita rapida e una presenza di grasso che penalizza anche il sapore. In alcuni casi il sistema è così spinto che nella cavità viscerale si trovano accumuli di grasso bianco ben visibili.
Anche i prezzi cambiano. Branzini e orate di origine greca (allevate con ritmi di crescita rapidi e carni molto grasse) sono venduti a un prezzo intorno ai 8-9 euro al chilo, con riduzioni del 20-30% nel corso delle offerte speciali. Accanto troviamo gli stessi pesci allevati in Italia che costano il doppio, provengono da filiere certificate come quelle di Coop ed Esselunga che garantiscono una crescita lenta, simile a quelle dei pesci catturati in mare, alimentazione bilanciata e ridotto affollamento. La differenza si nota anche a tavola perché la carne è meno grassa e ha un sapore più delicato. Chi non ha problemi di budget sceglie le orate e i branzini catturati nel Mare del Nord a 25 -30 euro al chilo.
La freschezza dipende anche dalla modalità di conservazione lungo la filiera e dalle condizioni del frigorifero di casa. A livello commerciale se la temperatura viene mantenuta tra 0 e +1°C e la cassetta è coperta di ghiaccio, il prodotto si mantiene bene per 3-4 giorni. Se il pesce viene acquistato e tenuto nel frigorifero di casa a +5 o +6°C (come spesso accade, non conoscendo la temperatura interna del frigorifero), i segni della freschezza spariscono dopo 24-48 ore. Le etichette che si trovano sulle vaschette di filetti già confezionati indicano come temperatura massima 4C°, che solo pochi frigoriferi di casa garantiscono.
Il pesce azzurro e forse il più delicato perché si conserva poco. Per questo motivo le acciughe e le sardine pescate nel mare Adriatico arrivano in porto dopo 12 – 24 ore, e nell’arco di poco tempo sono già in vendita. Il consumatore esperto infatti nota subito la perdita di lucentezza delle squame e non lo vuole. La trota è forse il pesce più fresco, perché è allevata in molti centri, vicino ai punti di consumo. Per il salmone norvegese la rapidità non è la stessa. I tempi di consegna oscillano da 3 a 4 giorni. Questo vuol dire che se la catena del freddo viene mantenuta correttamente la qualità del salmone è discreta, ma se le interruzioni sono lunghe il sapore ne può risentire.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Ottimo argomento da trattare ma, a mio avviso, anche da approfondire. E’ vero che da consumatori siamo sempre più informati sulla provenienza del prodotto ma , volendo scegliere un consumo responsabile, come fare a capire quali allevamenti sono affidabili e quali no? Per affidabili intendo buone condizioni, qualità del mangime ecc…
Ci vuole un controllo sull’intera filiera in termini di sostenibilità di prodotto, ambientale e occupazionale. Qualsiasi allevamento animale ( su terra o in acqua) è un danno a livello di caratteristiche alimentari ( cibi meno sani e piu poveri di proprietà nutrizionali), a livello ambientale (spesso il prodotto piu conveniente sul banco del supermercato è anche un prodotto più dannoso per l’ambiente perche trascura alcuni passaggi importanti), a livello occupazionale ( spesso si tratta di prodotti che sfruttano manodopera locale sottopagata e non includono nel prezzo di prodotto questo costo). Ho in corso una petizione proprio per promuovere (a fianco di moltre organizzazioni internazionali che gia fanno questo), una etichettatura chiara di provenienza dei cibi che potrebbe permettere a molti consumatori di operare una scelta consapevole sull’acquisto di molti alimenti.
un pò scarne le informazioni date, non viene segnalato la differenza tra allevamenti, come quello in mare aperto. Non si parla di mangimi che i vari allevamenti adoperano, ad esempio quelli naturama sono migliori perchè sono solo vegetali??? Poi la conservazione in freezer è possibile, per quanto tempo e quali sono eventuali variazioni organolettiche e di sapore. Come consumatore sono un pochetto esigente???
Occorrerebbe sapere quali antibiotici vengono somministrati negli allevamenti, poiché possono poi creare serie resistenze nel consumatore…