Gli scarti della lavorazione delle patate cotte, utilizzate nelle lavorazioni industriali potrebbero essere totalmente recuperati, per essere utilizzati come ingredienti del mangime delle mucche da latte. In questo modo, oltre a sfruttare una parte rilevante delle co-produzioni, si potrebbe diminuire la necessità di cereali per i bovini, ottenendo al tempo stesso un latte di qualità migliore.
Lo studio
Uno studio pubblicato su Animal Feed and Technology dagli agronomi delle Università di Sulaimani, nel Kurdistan Iracheno, e di Karaj, in Iran, illustra la possibile seconda vita degli scarti delle patate. I ricercatori hanno sperimentato tre tipi di mangimi in un campione di 24 mucche da latte Holstein. Il primo, di controllo, era costituito da orzo come principale fonte di carboidrati; il secondo da orzo in parte sostituito da patate tagliate e cotte, e il terzo sempre da orzo parzialmente rimpiazzato dagli scarti rimasti dopo la frittura. I due tipi di patate provenivano da stabilimenti che producevano patate fritte surgelate.
I risultati sono stati anche superiori alle aspettative, e positivi da tutti i punti di vista, per i bovini. La produzione di latte è risultata infatti aumentata, da 40,6 kg al giorno per mucca a, rispettivamente, 42,9 e 43,9 kg, così come l’efficienza (cioè la quantità di latte prodotto, a parità di cibo ingerito). Inoltre, il latte delle mucche che avevano mangiato patate conteneva meno urea e altri sottoprodotti azotati, dato che dimostra una digestione migliore delle proteine e che comporta un minor rilascio di composti azotati nelle urine, con benefici per l’ambiente.
Infine, c’è stata anche un’altra conseguenza positiva, e cioè l’aumento della produzione di una sostanza chiamata fibra neutro resistente fisicamente effettiva (peNDF), che facilita la ruminazione e in generale agevola la digestione dei ruminanti, allungandone i tempi.
La produzione di patate fritte e gli scarti
Secondo le stime, circa il 57% delle patate prodotte negli Stati Uniti sono trasformate. Di queste, si utilizza meno dell’1% per la produzione di amido e farina, il 2% per patate in scatola in varie ricette, mentre si destina il 16% alla disidratazione, il 22% alla produzione di patatine e il 60% a prodotti surgelati, come le patate fritte. I coprodotti derivanti dalla lavorazione dei surgelati sono dunque quantitativamente i più importanti. Per dare un’idea, gli 11,3 milioni di tonnellate di patate fresche trasformate in Canada e negli Stati Uniti nel 2008 hanno prodotto circa 4,3 milioni di tonnellate di coprodotti, in gran parte eliminati.
Per quanto riguarda la preparazione delle patate fritte commerciali, prima si sbucciano prima col vapore e poi si tagliano a fette. Quindi sono riscaldate a 80-90°C per 5 minuti, per ridurre l’assorbimento di olio durante il processo di frittura. Le fette riscaldate passano attraverso un sistema ottico che scarta quelle venute male: proprio queste fette imperfette a costituiscono uno dei due mangimi dati alle mucche. Le altre, quelle che superano l’esame, friggono in olio a 170°C per 40 secondi e poi a loro volta passano attraverso un tunnel di congelamento, dopo il quale, di nuovo, si rimuovono quelle malformate prima del confezionamento. E, di nuovo, sono questi scarti a costituire l’altro mangime di test. Il vantaggio di questo tipo di eccedenze è che, essendo cotte, sono molto meno soggette all’ossidazione e hanno quindi una vita più lunga, che le rende più sfruttabili.
In generale, il lavoro dei ricercatori ha mostrato quali benefici concreti potrebbero esserci da un approccio di questo tipo, che potrebbe essere immediatamente adottato con semplici accordi tra i produttori di patate fritte surgelate (e probabilmente anche di altre lavorazioni) e gli allevatori. Tutti ne trarrebbero grandi vantaggi.
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Giornalista scientifica
Ok usare bucce di patate o fette di patate cotte venute non perfette.
Ma usare fette di patate FRITTE beh… vogliamo far morire le mucche di fegato steatosico?
Le mucche mangiano VEGETALI ok, ma NON fritti.
Dubito fortemente che la frittura possa essere adatta al consumo animale, soprattutto se su base sistematica.
Questo la dice lunga su come il sistema ed il profitto delle grandi società alimentari, non guardi minimamente alla salute dell’utente finale (il consumatore) e utilizzi gli animali come “macchine” per produrre un qualcosa che sia solo per sviluppare il loro business.
Le patate fritte ?? Buonissime per carità .! Ma una dose ogni giorno ammalerebbe il fegato ,e non solo, di qualsiasi essere umano…! E’ la dose che fa il veleno,sempre . Scusatemi ma io nn credo a questa ricerca alquanto bizzarra e per nulla salubre x le mucche.Le mucche non sono scarti ,ma Esseri viventi da rispettare, anche per ciò che concerne una loro nutrizione giornaliera sana e vegetale…!