L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) ha stabilito una sanzione di un milione di euro a carico della catena di supermercati Lidl per avere indotto gli acquirenti in errore sulle caratteristiche e sull’origine della pasta venduta con i marchi “Italiamo” e “Combino”. Lidl avrebbe enfatizzato l’italianità del prodotto, attraverso scritte e figure poste in evidenza sulle confezioni, senza affiancare indicazioni di pari rilievo grafico relative alla provenienza del grano duro di origine italiana e straniera. Nelle confezioni di pasta la scritta “Italiamo” è proposta con caratteri ben visibili, è posizionata a fianco di uno scudetto tricolore e della dicitura “Passione Italiana”. Lateralmente sotto la lista degli ingredienti, è riportata l’indicazione “Paese di coltivazione del grano: UE e non UE”, accompagnata dall’informazione sul paese di molitura che è l’Italia.
Analogamente la pasta “Combino” propone nella parte anteriore un’immagine evocativa del paesaggio italiano, la dicitura “Specialità italiana”, una coccarda con i colori della bandiera italiana con la dicitura “Prodotto in Italia” e l’indicazione “Specialità italiana”. Anche in questo caso, l’indicazione sulla provenienza del grano è proposta con caratteri tipografici piccoli nella parte posteriore della confezione (questa scritta non è visibile sul sito).
Secondo l’Autorità in questo modo si può ingenerare nei consumatori l’equivoco che l’intera filiera della pasta, a partire dalla materia prima, sia italiana. In realtà il Made in Italy riguarda solo la località del pastificio, visto che la materia prima è in parte importata (*). È vero che il grano duro che arriva in Italia è di ottima qualità se non superiore al prodotto nazionale, ma questo non giustifica l’enfatizzazione delle diciture sulle etichette. La scelta di Lidl risulta ingannevole perché i consumatori italiani considerano l’origine del prodotto la variabile più importante al momento dell’acquisto (il 62% rispetto al 53% della media UE) ben più del prezzo. Secondo una recente indagine svolta dall’Ismea il 78% degli acquirenti si sente rassicurato dall’origine “100% italiana”, percepita come assicurazione di qualità e bontà e di rispetto di standard di sicurezza alimentare.
“Il consumatore – recita la sentenza – catturato dai claim che in modo più immediato ed incisivo colpiscono la sua attenzione, se non approfondisce la propria indagine visiva ruotando la confezione e andando ad analizzare le specifiche indicazioni sull’origine della materia prima, sarà indotto a credere che anche il grano duro utilizzato nella produzione della semola sia di origine italiana…… Pertanto, al di là dell’imprescindibile riferimento agli obblighi informativi desumibili dalla normativa di settore e considerata l’importanza attribuita dai consumatori all’indicazione dell’origine della materia prima e del luogo di trasformazione, l’incompletezza dell’informazione resa al primo contatto attraverso le confezioni delle paste a marchio Italiano e Combino (o la sua assenza sul sito internet del professionista) appare configurare una pratica commerciale scorretta”.
L’Autorità ha concluso altri quattro procedimenti riferiti alle indicazioni dell’origine del grano duro relative alle confezioni di pasta: Margherita Distribuzione (ex Auchan, marchio Passioni), Giuseppe Cocco, De Cecco, Divella. In questi casi le aziende si sono impegnate a modificare le etichette per evitare di generare confusione fra i consumatori e non sono state prese sanzioni.
La pasta a marchio Passioni della società Margherita Distribuzione (ex Auchan) modificherà l’etichetta di cinque formati che usano grano duro proveniente da paesi europei diversi dall’Italia ed extraeuropei e adeguerà le informazioni sul sito web (negli altri formati la pasta Passioni usa solo grano di origine italiana). La società si impegna a rimuovere le descrizioni frontali relative all’italianità del prodotto (riferimenti alla Regione, ai metodi tradizionali utilizzati e l’immagine dell’Italia). Sulla parte frontale dell’etichetta sarà aggiunta la dicitura “Paese di coltivazione del grano: UE e non UE”; “Paese di molitura: Italia”.
Il pastificio Cocco si è impegnato modificare l’etichetta di tutte le referenze di pasta in cui usa grano duro proveniente dall’estero. La variazione riguarda la rimozione della dicitura “…a Fara San Martino fare la pasta è un’antica tradizione” . Nel campo visivo principale verrà inserita la scritta “Acqua della sorgente di Fara San Martino, semola da grano extra durum Arizona e asciugamento statico a bassa temperatura”.
Il pastificio De Cecco nelle nuove confezione eliminerà dalla parte frontale le diciture “Metodo De Cecco”, “ricetta da oltre 130 anni” e “Made in Italy”, nonchè la bandierina italiana tricolore, e aggiungerà, la scritta “I migliori grani italiani, californiani e dell’Arizona”
Il pastificio Divella si è impegnato a modificare la parte frontale dell’etichetta inserendo la dicitura “Pasta di semola di grano duro coltivato in Italia e Paesi UE e non UE. Macinato in Italia”. Anche nel sito internet sarà aggiunta un’indicazione chiara sulla provenienza della materia prima.
(*) Riportare la scritta Made in Italy sulle etichette di pasta è legale, in quanto previsto dal Codice doganale. La norma prevede che quando un prodotto viene preparato in più Paesi, la nazione dove è stata fatta l’ultima trasformazione sostanziale ed economicamente rilevante va indicata in etichetta. Il criterio vale per tutti gli oggetti e i manufatti compresi gli alimenti, ed è pensato per regolamentare le norme doganali e tariffarie. Per questo motivo la scritta Made in Italy si può riportare sulle confezioni dei prodotti alimentari confezionati o preparati in Italia anche se la materia prima è di origine straniera.
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[sostieni]
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Sono contento che avete pubblicato questa notizia perché questa multa non mi convince.
Ricordavo bene che la dicitura “made in Italy” è legittima anche con prodotti in cui la materia prima non è italiana: infatti, nelle pubblicità ciò che viene enfatizzato è la nostra tradizione/lavorazione, l’uso di acqua di fonti pregiata ecc., infatti viene venduta all’estero come made in Italy.
La Lidl a quel che leggo non ha “taroccato” l’origine del prodotto, che è correttamente indicata. Quello che gli si contesta è una presentazione “furbetta” della confezione. Mah. Voglio vedere se passa la fase successiva della contestazione. Mi viene da pensare a decine di prodotti che magnificano la presenza di “con…” che poi è contenuta in percentuale infima (ricordo l’articolo sul caffè al ginseng che ne contiene lo 0,5% se ben ricordo).
Detto questo, ci sarebbe poi l’altro aspetto di questa questione. La cosa bella è che (generalizzando) il grano estero è di qualità migliore di quello italiano… quindi il nostro consumatore predilige un prodotto che è peggiore… potenza della comunicazione…
Il paradosso è enfatizzare l’italianità del prodotto per poi scoprire che la materia prima straniera è spesso migliore. Da domani solo made in …. not Italy.
Sono sostenitore dei prodotti italiani da sempre, e non solo di quelli alimentari, da molto prima che diventasse di moda.
Sono però piuttosto scocciato dalla pubblicità diffusa ultimamente, che vuole sottintendere che “se è Italiano è meglio”, in cui si enfatizza “qualcosa di Italiano” che poi rappresenta magari una parte insignificante del prodotto.
Tutto questo supporto pubblicitario al “made in Italy” adesso si rende necessario perchè le aziende italiane continuano a perdere competitività, avendo costi sempre più alti, soprattutto a causa della tassazione sempre crescente.
Dal punto di vista di consumatore sarebbe ora di badare alla qualità vera, indipendentemente dalla bandiera.
Dopo lo scandalo di Prosciuttopoli, denunciato da “Il Fatto Alimentare” e passato sotto silenzio dalla maggior parte degli organi di informazione ufficiali, io compro prosciutto PURCHÈ NON SIA di Parma.
Boh, dai tempi degli antichi romani il grano duro è sempre stato importato (l’Egitto era il granaio di Roma) perché non se ne produceva (e non se ne produce, e non se ne produrrà mai) abbastanza per il consumo interno, e quindi mi sembra improvvido sanzionare chi non fa altro che esaltare in etichetta che la produzione avviene in Italia (dove le garanzie di tutela del consumatore sono anni luce superiori a quelle della gran parte dei paesi esteri) con ricette italiane e metodologie italiane.
Nel frattempo Agcom permette tranquillamente claim ingannevoli sulle imitazioni vegane di prodotti noti ma che della preparazione originale hanno solo il nome, BISTECCA di xyz, MOZZARELLA di xyz, SPEZZATINO di xyz eccetera… dove “xyz” sono soia et similari… anche loro ovviamente non coltivati in Italia.
Mauro
C’è chi non è d’accordo:
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