Dopo la campagna de Il Fatto Alimentare sull’opportunità di indicare sull’etichetta della pasta l’origine del grano duro, abbiamo ricevuto diverse risposte cui si aggiunge quella di Delverde. Anche noi riteniamo che Il “made in Italy” e la qualità della pasta dipendono dall’esperienza, dalle capacità dell’azienda, dalla semola e solo in parte dall’origine della materia prima. Ciò nonostante i grandi pastifici dovrebbero avere un atteggiamento più trasparente nei confronti dei consumatori che desiderano conoscere l’origine del grano. Si potrebbero riportare queste informazioni sui sii aziendali , come già fanno alcuni pastifici.
Premessa. La pasta Delverde è realizzata secondo la più alta tradizione pastaia italiana, che prevede l’utilizzo di semole di grano duro di alta qualità e un processo a lenta essicazione – dalle 8-10 ore per i formati di pasta corta alle 16-18 ore per quelli più grandi – due elementi fortemente distintivi nella produzione di una pasta di qualità.
A questi Delverde aggiunge un altro elemento molto importante e identificativo della sua produzione, ossia l’utilizzo di un’acqua purissima e oligominerale, proveniente dalla sorgente del fiume Verde (situata alle spalle del pastificio, all’interno del Parco Nazionale della Maiella), che viene captata a 80 metri di profondità e trasferita senza alcun trattamento alla temperatura naturale di 8 °C, una temperatura considerata ideale per l’impastamento: l’acqua fredda, infatti, crea le migliori condizioni per la formazione del glutine e consente di produrre una pasta con elevata consistenza e tenuta in cottura, conferendo un gusto più “dolce” al prodotto. L’impasto così realizzato poi prende forma attraverso le trafile in bronzo che rendono la superficie più ruvida e in grado di trattenere meglio i condimenti.
La scelta e la provenienza dei grani. Delverde ha sempre dichiarato di utilizzare semole di grani selezionati e di alta qualità proveniente da selezionati fornitori che contengono un’alta percentuale di proteine e che sono scelti soprattutto per la quantità e la qualità del glutine. La caratteristica più importante ricercata da Delverde nella scelta del grano e quindi delle semole è dunque l’alto contenuto proteico, caratteristica determinante per ottenere una pasta più preziosa dal punto di vista nutrizionale, più buona a livello gustativo e con la giusta tenacità che consente di restare il più possibile “al dente”. A questa caratteristica si aggiunge la garanzia “Ogm free” e le certificazioni della materia prime destinate alla linee di pasta Biologica e di pasta Integrale Biologica, che provengono da grani 100% italiani.
Riguardo al recente dibattito aperto sull’origine e la provenienza dei grani – com’è noto e come è stato ribadito da molti operatori del settore – il nostro Paese purtroppo non produce una quantità sufficiente di cereali ad alto contenuto proteico, in grado di soddisfare la domanda. A questo si aggiunge un fattore che spesso non è preso nella giusta considerazione: il grano è una materia prima che risente molto dell’andamento stagionale – si pensi ai sempre più frequenti e repentini cambiamenti climatici (siccità, o al contrario, alluvioni) in tutto il mondo – una variabile che incide in termini qualitativi e quantitativi, allo stesso modo di quanto avvenga ad esempio per l’uva per la produzione del vino o per le olive nel caso dell’olio; tuttavia, al contrario di quanto avviene per queste produzioni, tale variabile rappresenta un rischio non sopportabile per un’impresa pastaia che deve assicurare una costanza sia nella qualità sia nelle quantità del prodotto. Di conseguenza, la maggior parte dei pastifici (soprattutto quelli che hanno una commercializzazione su vasta scala nazionale o internazionale) sceglie di approvvigionarsi in Paesi dove le condizioni climatiche e produttive risultano migliori e in grado di garantire una materia prima che abbia le caratteristiche ricercate per la propria produzione. È molto frequente, quindi, che queste caratteristiche siano raggiunte attraverso una combinazione di grani duri diversa provenienza, dall’Italia e dall’estero.
L’indicazione in etichetta dell’origine delle semole di grano duro. L’attuale discussione sull’indicazione dell’origine dei grani ha ragion d’essere se finalizzata a fare giusta chiarezza di informazione al consumatore, ma occorre evitare che invece si generi il rischio opposto, di ingenerare confusione o false aspettative che possono arrivare a danneggiare l’immagine di un settore che impiega investimenti e maestranze e che rappresenta una delle punte di diamante del Made in Italy alimentare: va ben spiegato infatti che sull’etichettatura le aziende pastaie italiane rispettano la vigente legislazione comunitaria.
Da un rigoroso punto di vista legale, la Legge n. 350/2003 e successive modifiche, per quanto riguarda l’etichettatura dei prodotti alimentari, confligge con una norma comunitaria, cioè il Reg. CE 1169-2001 che all’art. 26 tratta la stessa materia e che, a livello di forza di legge, è superiore a qualsiasi norma nazionale. Avendo poi la norma comunitaria natura “regolamentare”, essa è direttamente applicabile e quindi è a tutti gli effetti legge in ciascuno Stato membro. Di conseguenza, le disposizioni nazionali non armonizzate con essa, e anzi confliggenti, non sono applicabili. Ciò premesso, la necessità di indicare anche il luogo di origine dell’ingrediente primario, non sarà operativa sino a quando non verranno emanati da parte della Commissione UE, appositi atti di esecuzione a seguito di valutazioni d’impatto, dove si dovrà distinguere categoria per categoria merceologica, così come statuito dal citato art. 26 della norma comunitaria citata. Questo ha una sua logica: una doppia indicazione d’origine, distinta fra prodotto finito e ingrediente primario, può avere un impatto molto differente, in termini di fattibilità e opportunità, a seconda che si tratti di un alimento piuttosto che di un altro. Nel caso della pasta, indicare ogni volta l’origine dei grani nella produzione della pasta significherebbe cambiare continuamente etichetta, perché appunto cambierebbe l’origine.
Quale ulteriore argomentazione sull’inapplicabilità della Legge italiana n. 350/2003 al caso di specie, e circa la presenza di un conflitto insanabile con il Reg. comunitario CE 1169-2011, si consideri anche che, ai sensi di quest’ultimo (art. 1 comma 1° lettera q), per «ingrediente primario» si intende l’ingrediente che rappresenta più del 50% di un alimento o che è associato abitualmente alla denominazione di tale alimento dal consumatore. Quindi, nel caso della “pasta di semola di grano duro”, non è affatto pacifico se tale ingrediente primario debba intendersi il grano duro o la semola perché, come molti sanno, l’origine dell’uno e dell’altra è spesso diversa, essendo la semola molto frequentemente ottenuta in Italia dalla macinatura di grani di diversa provenienza.
Il fatto che la bandiera italiana e la dicitura “Prodotto in Italia” o “Made in Italy” implichino automaticamente che tutte le materie prime (e non solo il prodotto finito) debbano essere 100% italiane è soltanto una possibile interpretazione che non si ricava dalla lettura della norma. Da quest’ultima infatti non emerge il divieto di utilizzare riferimenti all’Italia quando le materie prime non siano del tutto italiane, né emerge in questo caso l’obbligo di specificare la diversa origine delle materie prime.
Ciò che la norma vieta è invece la “fallace indicazione dell’uso del marchio, con modalità tale da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana…senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto”.Sulle etichette dei prodotti Delverde è semplicemente scritto “Prodotto in Italia”, indicazione dalla quale non si può desumere che il grano sia italiano, ma si desume semplicemente che il prodotto è fabbricato in Italia, come è vero, avendo la nostra azienda un unico sito produttivo in Fara San Martino, in Abruzzo.
Conclusioni. Alla luce di queste considerazioni parlare di “grano duro italiano” come l’unico in grado di rappresentare e identificare la qualità della pasta italiana può apparire fuorviante. Perché all’alta qualità del prodotto italiano riconosciuto in tutto il mondo non contribuiscono solo le materie prime italiane (magari fosse possibile, almeno per le produzioni alimentari) ma vi partecipa anche le scelte aziendali che compongono quel mix virtuoso fatto di storia, ambiente, capacità creative e manuali che gli imprenditori e ancor più le maestranze sono in grado di garantire nell’eccellenza del loro lavoro quotidiano.
Un’eccellenza talmente importante, quella del cosiddetto “fattore umano”, con il suo portato di tradizione e di esperienza, che in Abruzzo e in particolare a Fara S. Martino (considerata una delle capitali italiane della pasta con aziende attive dalla fine del 1800) le maestranze si trasmettono di padre in figlio, in un passaggio generazionale che favoriamo e accompagniamo con grande attenzione. Così come grande attenzione poniamo alla tutela dell’ambiente: il nostro è l’unico pastificio che, al momento della perimetrazione, ha scelto di rimanere all’interno dell’area protetta del Parco nazionale della Maiella e di collaborare alla cura degli spazi intorno alla sorgente per favorirne la visita e la frequentazione. E così come identica cura poniamo – vale la pena ripetere – nella scelta di semole di qualità e di un metodo di produzione a bassa temperatura e lenta essiccazione.
Sono questi i valori che, a nostro parere, contribuiscono a fare il “made in Italy”, anche e soprattutto nei casi di produzione (alimentare e non solo, si pensi alla moda) in cui non è sempre possibile disporre in loco di tutta o di parte della materia prima. Dunque, a nostro avviso, alla luce dell’attuale legislazione, vietare la scritta “Prodotto in Italia” e il tricolore sulla pasta solo perché il grano non è o non è del tutto italiano, rischia di alterare la realtà e di nuocere all’immagine di uno dei prodotti-simbolo e più esportati dell’alimentare italiano nel mondo, inducendo nel consumatore, nella peggiore delle ipotesi, la convinzione che il prodotto di un’azienda italiana sia stato trasformato all’estero.
Luca Ruffini, Ceo Managing Director Delverde
Giornalista, redattrice de Il Fatto Alimentare, con un master in Storia e Cultura dell’Alimentazione
Tutta la mia stima e considerazione per la Delverde…che reputo di livello superiore ad altri marchi Abruzzesi; il problema ritengo sia e sara’ sempre la derivazione del grano americano, che come tutti ormai sappiamo, non e’ regolamentato per quel che riguarda l’uso di fertilizzanti chimici. Lo sforzo di usare semole non OGM e’ lodevole, ma vengono fatte analisi sui pesticidi nel momento in cui la materia prima mette “piede” in Italia? inoltre come essere sicuri che non ci sia un apporto di glutine maggiore nelle miscele?
Il mio interesse scaturisce dal fatto che mia figlia e’ intollerante al glutine, non celiaca per ora, ma sostengo che queste forme allergiche “nuove” derivino perlopiu’ da trattamenti inadeguati del grano che non e’ metabolizzato come dovrebbe da certi bambini.
Grazie
Il Reg. Ce 1169/2001 non esiste 😉 vedi il paragrafo su “l’indicazione in etichetta dell’origine delle semole di grano duro”
Non rispondono alla domanda. Continuano a non dichiarare da dove importano. Se importano da paesi diversi in base alle necessità e le stagioni li indichino tutti. O non lo sanno o non lo vogliono dire.
cosa volete ancora….. sono decenni che l’Italia importa grano dall’estero (vedasi all’epoca Casillo) e ora fate quelli che si svegliano dal letargo…. non dicono non indicano…. ma fattela in casa ma controlla la farina da dove arriva.
I controlli ci sono, gli stessi laboratori dei pastifici seri, so per certo che li fanno anche per quanto riguarda gli OGM.
Per quanto riguardala provenienza, ormai sappiamo, il grano nazionale non basta e non garantisce continuità qualitativa. Da dove vengono quindi?
Dal Canada, America (Kronos) ed anche dall’Australia
Tutte le case produttrici fino ad ora hanno detto che non possono cambiare le etichette ogni volta che cambia la provenienza del grano.
E’ SBAGLIATO, omettono un particolare:
nella maggioranza dei prodotti in commercio vengono impressi i dati variabili: data di produzione, stabilimento, data di scadenza.
Nulla toglie quindi che si possa inserire anche la provenienza delle materie prime.
Poi sono d’accordo che in certe situazioni diventa secondaria questa ultima indicazione, ma non di certo se la provenienza sono paesi a forte rischio!
Alla fine le cose vanno fatte “cum grano salis”, valutando a 360 gradi le ricadute positive e negative.
Appunto….impressione di dati variabili …lo sto scrivendo anch’io da tempo….. la questione è “che non vogliono” e si aggrappano a mille motivazioni diverse cercando poi alla fine di far leva sull’agormento “perdita di ulteriori posti di lavoro e che è l’argomento che sensibilizza maggior~mente le masse”
se il grano non basta , ok , se la qualità è addirittura migliore ok , ma quella bandierina “NO” perchè “confonde chi acquista” aldilà di ogni regolamento CEE …
interessante l’idea di voler creare diverse linee di prodotto come anche questa di Delverde, biologico etc. Perchè è cosi difficile indicare per le linee “base” , grano di origine non UE ? e magari dare tramite il numero di lotto la possibilità di verificare sul sito ?? (visto che “è cosi costoso” stamparlo direttamente in etichettà?.. … non vogliono farlo …
Vorremmo contribuire al dibattivo segnalando realtà, come la nostra cooperativa, nate per utilizzare e valorizzare i grani locali.
Da Cittadini infatti abbiamo ritenuto di contribuire a rafforzare la filiera produttiva locale per garantirci il miglior prodotto. Da imprenditori siamo passati all’azione offrendo ai nostri agricoltori prezzi più alti di quelli di mercato per il grano, in cambio abbiamo chiesto di iniziare un percorso di abbandono progressivo di prodotti e trattamenti chimici. Il risultato è che oggi rendiamo disponibile alla nostra comunità farine e pasta di qualità eccellente che si caratterizzano “per la carta d’identità” ben dichiarata in etichetta. Infatti trattiamo esclusivamente grani del nostro comprensorio (Cerveteri-Tarquinia).
E’ un grano di cui conosciamo produttori e provenienza, le sementi sono quelle più adatte al nostro territorio, non viaggia sulle navi per settimane e sostiene l’economia locale.
Marco Mai
Sole Etrusco Soc. Coop. a r.l.
Cerveteri (Rm)
http://www.soleetrusco.it
Gabriele, non hai ,incolpevolmente spero, idea di cosa significhino grandi o medie produzioni in serie e familiarità con packaging e labelling. Mentre se una cooperativa con la finalità descritta da Marco Mai può impostare un’etichetta con l’indicazione di solo grano nazionale, le altre non possono farlo fisicamente. Non si può cambiare un’etichettatura al volo a seconda dei lotti con scritte ad Ink-jet di lunghezza come quella che pretenderesti, e sarebbe ingestibile. Le scritte che tu citi sono quelle minime indispensabili previste dalla legislazione e riguardano la tracciabilità legale dei lotti per il consumatore e le autorità. E poi che differenza sarebbe per il consumatore? L’importante è l’autocontrollo preventivo obbligatorio , previsto dai Reg. CE sia applicato e regolarmente verificato dalle Autorità preposte. da questo deve nascere la fiducia del consumatore nell’ambito comunitario. Non partiamo dall’idea che nella filiera alimentare , se non parte da dietro casa, stiano tutti pronti a fregarti !! Questa è vera disinformazione, purtroppo sparsa a larghe mani, spesso a scopo di scoop, da media ed attori disinformati o interessati per qualche finalità diversa.
Io non mi sento fregato, sopratutto se c’è quantomeno una informazione che indica che un produttore non ha paura ad essere trasparente.
Qualche settimana fà su delle casse acustiche e inglesi : “designed in uk” / “made in china” …
e quindi,ad esempio un
“prodotto in italia” , “grano di origine diversa/grano di origine non ue”
sarebbe già un bel gesto in tal senso…
Si e poi magari mettiamo anche fototessera, nome e cognome di chi ha coltivato il grano… qui si rasenta il ridicolo (o l’isteria?)
Io più che del coltivatore le manderei qualche foto di coltivazioni (ad esempio di riso) fatte in Cina e che sono accanto a industrie chimiche “poco attente” a cio che disperdono nell’ambiente.
E pensare che certo riso arriva in europa addirittura certificato biologico … fortuna che CHE TUTTA LA MERCE IMPORTATA E’ SOTTOPOSTA AD ANALISI , MA FORSE MI STO SBAGLIANDO, tali analisi avvengono solo a campione da parte del ministero della sanità. Forse il ridico si rasenta da “entrambe le parti quando si eccede”
Non serve andare fino in Cina per fare le foto alle coltivazioni in siti poco raccomandabili…spesso basta andare a pochi km da casa propria…
Pubblicità ingannevole.
Ricordo che la ditta Rigoni è stata multata perché in etichetta diceva senza zucchero aggiunto,e si è ritenuto che fosse falso perché la frutta contiene comunque zucchero,una esagerazione assoluta. Mettere un etichetta con bandiera Italiana lo considererei assai più grave. Naturalmente 2 pesi e due misure,chissà come mai !!!!!