De Cecco la nostra pasta è fatta con grano italiano, francese, americano e australiano. Il messaggio scritto su una pagina pubblicitaria
De Cecco la nostra pasta è fatta con grano italiano, francese, americano e australiano. Il messaggio scritto su una pagina pubblicitaria
Roberto La Pira 7 Luglio 2017De Cecco in una pagina pubblicitaria apparsa oggi sul Corriere della sera dice che “la vera pasta italiana merita i migliori grani“, precisa che “la materia prima italiana non basta” e per questo motivo i pastifici acquistano grano duro straniero. Sì avete capito bene, una delle marche di pasta italiana più famosa nel mondo (da sempre in cima alla classifiche dei test comparativi realizzati nel nostro Paese e all’estero) dichiara di usare una parte di grano duro importato nel processo di lavorazione. L’azienda sottolinea che proprio in virtù di questa scelta riesce a confezionare un prodotto di alta qualità e indica tra i paesi di origine del grano: la Francia, la California, l’Arizona e l’Australia. Il testo pubblicitario non lo dice ma gli addetti ai lavori sanno che questo grano costa dal 20 al 30% in più.
De Cecco non è l’unico marchio a importare una parte della materia prima. In un’inchiesta realizzata da Il Fatto Alimentare tre anni fa, Barilla dichiarava di usare il 20% di grano importato. Divella precisava che “non è sufficiente il grano italiano a soddisfare il fabbisogno, soprattutto in termini di caratteristiche analitiche ottimali” lasciando intendere di impiegare regolarmente grano straniero. Granoro dichiarava di usare “semole ottenute da grani duri di qualità coltivati in Italia, Canada, Stati Uniti, Australia, Francia, Grecia e Spagna”, e di avere una linea (Granoro Dedicato) realizzata solo con materia prima pugliese. Garofalo lasciava intendere di utilizzare grano duro dall’estero e scriveva “per produrre un’ottima pasta è necessario scegliere i grani migliori, indipendentemente da dove provengano, senza transigere sulle garanzie di salubrità e di controllo”. Anche La Molisana dichiarava di utilizzare varietà di grano duro in gran parte italiano, con ottima tenacità, e in parte estero.
Se la maggioranza degli addetti dichiara di dovere e anche di volere importare grano duro per fare una buona pasta “made in italy”, c’è da interrogarsi sul ruolo di Coldiretti che ogni 4-5 mesi organizza una sceneggiata in un porto pugliese, andando all’arrembaggio delle navi che importano grano duro “contaminato”. Le telecamere inquadrano i volenterosi con le bandiere gialle alle prese con le granaglie e propongono servizi che si concludono sempre con interrogativi sulla qualità della pasta consumata tutti i giorni. L’effetto allarmistico riesce sempre, anche se poi le analisi ufficiali sui lotti segnalati scagionano sempre le navi prese di mira.
Una cosa deve essere chiara: la pasta “made in Italy” è preparata con il 20-30% di grano duro importato, e per questo motivo è una tra le migliori al mondo. Il concetto va chiarito bene ai consumatori, che su questo punto sono abbastanza confusi e la pubblicità di De Cecco va in questa direzione. Puntare il dito contro le navi che arrivano nei porti, lanciando accuse prive di riscontri sulla qualità della materia prima come fa Coldiretti è un giochetto che può funzionare solo nel nostro Paese. In Italia ci sono troppi giornalisti che considerano i comunicati stampa della lobby degli agricoltori alla stregua di un testo sacro, dimenticando di verificare le notizie.
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Visto da normale consumatore, mi pare che da tempo Coldiretti abbia aderito allo sport nazionale ovvero a parlare con la pancia, cosa questa che aumenta la platea degli ascoltatori, ma diminuisce l’attendibilità.
Se i fatti ci sono e sono dimostrabili, non servono le “piazzate”. La Disinformazione, intanto, ringrazia ed impera…
Scusi, “migliori” in che senso? Al gusto? All’olfatto, alla vista? I paesi citati usano sostanze giudicate da esperti pericolose per la salute e per l’ambiente: questo viene considerato? Comprendo la critica alla diffusione di notizie superficiali e allarmistiche, ma vorrei che fossero supportate da una maggiore profondità di indagine, grazie
Nel grano duro importato non ci sono residui di questo tipo. Le analisi delle autorità sanitarie lo confermano. Coldiretti insinua il contrario. A chi credere? In ogni caso i valori dei residui sono di gran lunga al di sotto dei limiti di legge. Lo hanno dovuto ammettere tutti. Questo è l’articolo in cui raccontiamo la storia. http://www.ilfattoalimentare.it/grano-canadese-micotossine-pasta.html
Dott. La Pira, le scrivo in qualità di conoscitore degli argomenti di cui si dibatte essendomi occupato in un recente passato di Assicurazione Qualità proprio in uno dei pastifici di cui si parla. È vero che da sempre si utilizza grano straniero in miscela per i motivi di cui si è detto e cioè di ottenere pasta con ottima tenacitá. Non solo grano canadese, ma anche grano australiano, nord americano, desertico, tunisino. Quello che in tutta questa polemica non si evidenzia è che, come lei saprà, esistono diverse classificazioni qualitative per il grano canadese.
Il CWB, Canadian Wheat Board lo classifica in idoneo per la panificazione, o per la pastificazione, ovvero ad uso zootecnico.
Lei parla di lobby dei coltivatori, evitando di indicare l’enorme potenza della lobby dei commercianti di grano in cui si annoverano persone che si trasmettono le loro attività di padre in figlio, cambiando come camaleonti gli assetti societari, nonostante gli stessi (padri e figli) fossero stati arrestati per bancarotta fraudolenta e per fallimenti con esposizioni verso terzi pari a più di 1000 (mille) miliardi di vecchie lire. Sono paragonabili le due lobby in termini di capacita di influenzare il mercato sia dal punto di vista qualitativo che economico? Ho un dubbio.
Sarebbe difficile per loro acquistare grano canadese di qualità zootecnica e rivenderlo come idoneo alla pastificazione speculandoci e lucrandone, seppure nei limiti di food safety imposti dalla UE?
Mi consenta, ma credo che gli agricoltori italiani stiano solo facendo il loro canto del cigno.
Cordialità
Buongiorno lei parla di due lobby . Io non conosco quella degli importatori, ma il problema non è questo ( quale delle due conta di più o fa meglio i suoi interessi). Il problema è gettare fango sul grano straniero importato a prescindere e quindi sulla pasta italiana a prescindere . Forse il problema si potrebbe risolvere garantendo ai coltivatori italiani un prezzo minimo come ormai fa Coop e altre aziende italiane con il latte. Lo abbiamo scritto già due anni fa . Ma questa soluzione non vorrebbe dire che migliora la qualità media del grano Italiano. Voiello ha fatto un discorso simile ma ha impiegato molti anni a costruire una filiera italiana di alta qualità. Altri ci stanno provando.
Dr. La Pira,
le faccio un banale esempio per cercare di spiegare quanto è importante la lobby di cui parla Giovanni.
Se il grano italiano non è sufficiente a soddisfare le esigenze dell’industria, per la legge del mercato domanda-offerta, il prezzo dovrebbe salire. Invece il prezzo è in continua discesa da anni.
Le aziende produttrici acquistano grano estero a prezzi maggiorati ma compensano strozzando i produttori italiani.
Ritengo che questi aspetti meritino una riflessione importante. A volte mi sembra talmente paradossale la protesta di Coldiretti che sembra architettata per sviare l’attenzione dai veri problemi.
Se non erro un dato che viene sempre trascurato da chi accusa Coldiretti è che i famosi “limiti di legge” imposti per le sostanze presenti nel grano sono calcolati sul consumo medio di pasta europeo, che è attorno al kilo grammo /mese, mentre, sottolinea Coldiretti, il consumo italiano tocca, in meridione, i 5 kilo grammi /mese. Dunque, perché dovremmo adeguarci e sentirci sani al pari degli altri europei, se in realtà ingeriamo 5 volte tanto dei prodotti NOCIVI (è il caso di sottolinearlo, spesso ci si dimentica, sprezzanti del pericolo, del fatto che sono realmente e comprovatamente nocivi)?
Forse i numeri non sono precisi, vado a memoria; non ho modo, ora, di cercare le leggi e le statistiche sui consumi. Ma questo, credo, è lavoro da giornalista o “blogger” che sia.. Riportare con esattezza e completezza. Altrimenti non sono articoli, bensì marchette.
Altro punto qua da lei tralasciato è la lotta di Coldiretti per garantire un giusto prezzo per il lavoro dei coltivatori italiani, da come li descrive lei sembrano più un’associazione vegan bio compost guerriera, mentre il dato di fatto è che Coldiretti è il consorzio degli agricoltori. Lamentano la concorrenza eccessiva dei grani importati, che obbligano a vendere il grano italiano sotto il prezzo di costo. Non mi sembra siano dati da tralasciarsi, informazioni da scattare in favore di un ritratto da lobby!
Ma la presenza di contaminanti nel grano duro importato secondo quanto emerge dalle analisi ufficiali è di 25 volte e più inferiore rispetto ai limiti. Di cosa stiamo parlando …Le marchette sono molto diffuse nel mondo editoriale ma non rientrano nella nostra filosofia di giornalismo. Coldiretti è prima di tutto una lobby e poi un’associazione. In questo articolo i risultati delle analisi ufficiali
http://www.ilfattoalimentare.it/grano-canadese-micotossine-pasta.html
Fantastico, adesso siamo a 60 kg di pasta pro-capite l’anno ! Mi sembrava in effetti che all’ISTAT girassero troppi anoressici: tutti lo sanno invece (SignoraMia…e abbasta cò ‘st’intellettuali!) che quei due-tre etti al giorno tutti i giorni sono il minimo per saziare dal poppante al nonnetto.
Ma neanche con 600 kg (dai che con po’ di impegno ce la si può fare, e soprattutto qualcuno può anche crederci) si riuscirebbe a raggiungere la soglia di rischio per DON, Cadmio e Gliphosate visti i livelli infinitesimali (ppb – parti per miliardo) riscontrati in tutte le analisi effettuate (almeno quelle vere) anche del perfido Giubba Rossa del Manitoba.
Invece basta pochissimo invero per demonizzare. denigrare e quindi ridurre la propensione all’acquisto del prodotto più sano, equilibrato, economico e genuino dell’agroalimentare italiano nel mondo: facile autoflagellazione italica, ci si sta riuscendo.
Magari i prezzi per gli agricoltori potessero salire bloccando qualche nave “nemica”: ritornello un po’ stantio ma nemmeno alla Play station funziona così…
la pubblicità di De Cecco è molto equivoca perché vuol far passare l’idea che la pasta italiana per essere vera italiana deve essere fatta anche con grano non italiano e infatti cita California, Arizona, Australia, Francia (non cita Canada). Se leggete bene il testo però vi accorgete dell’imbroglio perché dice che il grano italiano copre solo il 70 % del fabbisogno, quindi è un problema quantitativo. Allora basterebbe scrivere all’esterno della confezione “fatta con grano italiano” e questa scritta andrebbe sul 70 % della pasta; poi ci sarebbe un 30 % della pasta con la scritta “prodotta con grani di altri paesi” indicando quali.
Questa è una pubblicità volutamente ingannevole che dovrebbe essere contestata al Giurì pubblicitario, ma chi lo farà mai ?
l’Italian sounding di cui tanto si parla, comincia sempre dall’Italia, da quel lato non strategico che c’è sempre in Italia pur di fare l’affare : come scrivere in questo caso la “vera” pasta italiana è fatta anche con grani di altri paesi.
Come l’olio di oliva italiano che è invece diventato un mix di oli mediterranei sotto marchi italiani comperati dagli industriali spagnoli dell’olio. Ma la pubblicità è fatta in maniera da far capire che l’olio è toscano.
Come l’aceto balsamico di Modena che per il disciplinare può essere fatto in tutti i paesi del mondo : ma ci si scrive di Modena anche se fatto a Salisburgo con mosti provenienti dalla Calabria (a chi vuole mando un etichetta).
Purtroppo ripeto è dall’industria italiana che spesso nasce l’Italian Sounding e questo autorizza poi a svilupparlo all’estero.
Il suo commento è interessante ma confuso come pure confuse mi sembrano le idee su cosa si deve intendere per pubblicità ingannevole. Deve essere chiaro un concetto. Tutti i grandi produttori di pasta usano un 20-30% di semola importata per fare la “buona pasta italiana”. Tutti i grandi marchi produttori pagano di più questo grano non perché siano particolarmente esterofili, ma perché quel grano duro è fondamentale per fare un buon prodotto. Rifiutare questo concetto vuol dire non avere capito molto della questione.
l’Italian Sounding è vergognoso sfruttamento basso-commerciale della qualità, bontà, raffinatezza, salubrità ed equilibrio dei prodotti agroalimentari italiani conquistata nei secoli e oggi conosciuta e riconosciuta ma malamente scopiazzata nel mondo.
Ma evitiamo confusione controproducente: i vari Parmesan, Mocciarella, provolao e così via che ci tolgono risorse per milioni di €, NULLA hanno a che vedere con la Pasta, da sempre prodotta IN ITALIA con percentuali anche maggiori di grani esteri (l’unica e antichissima DOP Gragnano usava soprattutto il russo Taganrog- vedi anche veliero Agnesi).
Questo esasperato quanto inutile polemismo non fa che minare la credibilità del nostro più importante prodotto agroalimentare anche perché se un italiano di media cultura e di antiche tradizioni familiari si ostina a non VOLER capire che un olio da 2.99 € non può essere prodotto nelle “dolci colline T’oscane, suvvia !” ,
PERCHE’ MAI uno straniero con cultura alimentare diversa, alla fine dovrebbe impegnarsi a decifrare le oscure trame che ruotano intorno alla pasta con mezze frasi smozzicate e SENZA RISCONTRI ANALITICI su micotossine, contaminanti, glutine, radioattività e tutta una valanga di bufale di postverità orecchiabile , spesso prezzolate di comitati e blog a dir poco fantasiosi , che ne riducono ovviamente la propensione all’acquisto?
E di fatto è l’ennesimo Autogol italiota perfetto, visto che le esportazioni che andavano a gonfie vele, si sono considerevolmente ridotte. Ah che soddisfazione!
La pasta 100% grano italiano in ogni caso C’E’ GIA’ (40 marchi, molti bio, vedi i tanti articoli su questa testata), ma è lei la (bella) novità più recente perché PRIMA (AI BEI TEMPI, ah SignoraMia!) invece non c’era….
Orsù dunque allora, se 6-7 € al litro in più per un olio decente possono essere in effetti un reale piccolo sacrificio, quei 10 centesimi in più per la pasta di qualità mi sembrano che proprio non ce la facciano a rovinare le tasche di nessuno.
Buon giorno
il concetto che si vuole far passare è che è la produzione della pasta in Italia, che rende speciale il prodotto, le materie prime vengono selezionate e quindi acquistate ove disponibili. In un paese non autosufficiente di grano, dove per esigenze produttive (non di costo) è necessario acquistarlo all’estero cosa dobbiamo dire?. Diverso è l’Italian Sounding se fatto da aziende estere che non producono in Italia e che sfruttano l’immagine.
In teoria la produzione in Italia e successiva esportazione dovrebbe fare contento il territorio dove l’azienda è situata per le ricadute occupazionali, di tasse e lavorative e del consumatore che può “vedere l’azienda”.
Dicevamo…MAGARI BASTASSE FERMARE UNA NAVE…
Ecco le dinamiche mondiali dei prezzi legate alle produzioni. Forse noioso, sicuramente istruttivo:
“…Le più recenti informazioni sull’evoluzione dell’offerta mondiale di frumento duro indicano una flessione del 2,3% della produzione che scenderebbe a 39 milioni di tonnellate nel 2017. Parallelamente, i consumi sono stimati in lieve aumento dello 0,5% (38,9 milioni di tonnellate), posizionandosi su livelli di poco inferiori all’offerta e determinando una stabilità delle scorte a 10,8 milioni di tonnellate.
Le stime dell’International Grains Council indicano un consistente calo produttivo per il Canada che, dopo i livelli record dello scorso anno, dovrebbe scendere a 5,8 milioni di tonnellate (-26%). In flessione anche la Ue, con l’Italia a 4,2 milioni di tonnellate (-16%), in attesa dei dati di fonte nazionale. La produzione francese è invece prevista in controtendenza ( 12,5% a 1,8 milioni di tonnellate). I cali dovrebbero essere in parte compensati dagli abbondanti raccolti attesi nei paesi del Maghreb, con incrementi del 122% in Marocco (che con 2,0 mln di tonnellate dovrebbe superare la Francia nel ranking dei principali produttori), del 50% in Tunisia e del 23% in Algeria. Da rilevare, infine, come nel primo trimestre dell’anno le importazioni italiane di frumento duro abbiano mostrato una flessione tendenziale superiore al 2%, scendendo a 598 mila tonnellate.
Per effetto della dinamica produttiva, la prossima campagna di commercializzazione 2017/18 del frumento duro potrà essere caratterizzata da una rivalutazione dei prezzi all’origine nel breve periodo. Se il valore medio del periodo luglio 2016-giugno 2017 è stato pari a 193,87 euro/t, cioè il 27% più basso della campagna 2015/16, già nel mese di giugno dell’anno in corso è cominciata l’inversione di tendenza. Nell’ultima settimana di giugno i prezzi all’origine hanno superato la soglia dei 210 euro/t (212,25 euro/t), cosa che non accadeva dalla seconda settimana di giugno 2016…”
Stoccaggio differenziato per grosse produzioni omogenee, standardizzazione dell’offerta, cooperazione e programmazione nel territorio. Siamo sempre lì, erano obiettivi “ineludibili” dai lontani tempi dell’università, ma mi sembra che riecheggiano vanamente ancora.
Il prodotto di qualità ce l’abbiamo, la tecnologia e la credibilità pure, si può puntare a una migliore ridistribuzione delle risorse, se queste non vengono però dilapidate con politiche allarmistiche fasulle che finiscono per diminuire la propensione all’acquisto.
La nave di Nosferatu non è alla fonda al porto di Bari.
Molti commenti e posizioni schierate pro o contro scelte produttive e commerciali, tutte logiche, lecite e generalmente condivisibili per i molti aspetti considerati, ma purtroppo poco approfondimento su cosa sia il concetto di qualità del prodotto pasta e dell’ingrediente principale grano duro, perché dell’acqua utilizzata, salvo eccezioni, trattasi di acqua di pozzo super filtrata e moderatamente rimineralizzata.
-Qualità tecnologica. Interessa i pastai con grandi impianti industriali che devono produrre grandi lotti omogenei di pasta standardizzata con gli stessi parametri tutto l’anno e tutti gli anni, indipendentemente dal raccolto italiano e/o straniero. Ecco le miscele che cambiano frequentemente con apporti diversi da grani di origine diversa ed il settaggio dei parametri produttivi (essiccamento) per la tenuta alla cottura, ruvidezza superficiale per l’assorbimento del sugo, ecc….
La natura, anche se molto aiutata, non da mai per due anni di seguito lo stesso risultato quali/quantitativo, ne in Italia ne in Canada, ne altrove, ma miscelando ci si può avvicinare.
-Qualità nutrizionale ed organolettica. Interessa il consumatore, ma sono caratteristiche variabili e soggettive di ognuno di noi. Il contenuto proteico non è significativo perché la pasta non è un alimento proteico come carne, pesce, latticini e legumi e rappresenta l’apporto energetico dei carboidrati trasformati in glucosio, benzina del motore umano.
Colore, sapore e tenuta alla cottura sono importanti, ma dipendono molto dal saper fare di chi la cucina, così come dipende in modo prevalente dalla qualità del sugo impiegato, che copre totalmente le sfumature della base.
In definitiva di tutte le dispute in corso, agli italiani (quasi tutti) interessa che non si sciolga nell’acqua di cottura, che non si autoincolli e che assorba senza rimanere tutto sul fondo del piatto, il miglior sugo che hanno comprato o fatto in casa.
Poi anche sapere da dove viene la pasta (siamo nazionalisti e ci vantiamo dei nostri ottimi prodotti perché sono i migliori al mondo), anche perché per una scelta sentimentale di tutta la filiera, stimiamo di più i nostri agricoltori.
Per la verità mi sento in diritto di chiedere ai produttori di pasta di riportare sulla confezione quanto grano italiano c’è dentro e dirò di più, mi piacerebbe essere informato pure sulle qualità di grano impiegate.
D’altra parte quando compriamo una bottiglia di vino , molte info si hanno , e a volte individuo e visualizzo pure il vigneto con Google Earth. Mi pare che ci sia un ritardo culturale tra loro, con risultati di scarsa trasparenza informativa . Come si direbbe allo Sda Bocconi, la customer experience ha ampi spazi di miglioramento.
Buon giorno
un vitigno è di una zona ben specifica, e la lavorazione avviene spesso nell’azienda che produce le bottiglie, inoltre è un prodotto che ha un processo “limitato” cioè viene raccolto, lavorato e imbottigliato e completata l’attività in un periodo ristretto inoltre ha una marginalità completamente diversa. La pasta, la macinazione e la provenienza del grano e la modalità di movimentazione nei silos è tutto l’anno con volumi superiori e dinamiche completamente diverse. Il ritardo culturale è forse nel non comprendere i meccanismi e la differenza fra i prodotti. Ha ragione la customer experience, è quello che nel vino mi permette di venderlo da 3€ a 10€ perché faccio “vedere” la mano che coglie l’uva.
Perché le miscele si fanno in diversi settori come olio , vino , pasta, (escludendo Doc, Dop …) proprio per ottenere un prodotto migliore
Perche’ non coltiviamo grano e smettiamo di dare lavoro ai paesi esteri ? Diciamo che : ci fanno spendere 700 euro in piu’ per mettere un catalizzatore a ogni automobile e poi inquinano , trasportando tonnellate di grano , dall’ Australia , che e’ una delle isole piu’ lontane del mondo ! Ma ad ogni azione corrisponde una reazione ; Quindi , prima mangiano i giornalisti cattivi , poi quelli buoni come Roberto La Pira , e nello stesso tempo ; Prima mangiano chi sparge veleni , poi chi fa’ l’antidoto !
Tutto questo per tornare al risultato iniziale !
” La teoria è quando si sa tutto ma non funziona niente. La pratica è quando tutto funziona ma non si sa il perché. ”
I grandi studi scolastici ci hanno portato a sapere tutto e accorgerci che non funziona niente !
Perche’ le teorie imparate , non sono state messe in pratica !
Del resto se ci dicono che il grano estero e’ migliore , dobbiamo fidarci ;
Con queste opinioni che abbiamo ormai di noi stessi ; Ditemi solo : Dove vogliamo andare?
…e così tutti i commenti si ritrovano impantanati, ma allora perché non produciamo il 30% di pasta italiana , con grano italiano, e il 70 % con grano miscelato ?
Cosi i consumatori potrebbero determinare la loro scelta con maggior chiarezza:
Scusate, ma come fa il pastificio Jolly Sgambaro a produrre pasta di ottima qualità (c’è pure quella Bio) usando SOLO grano italiano?! Se il prezzo del grano italiano fosse maggiormente retribuito, dubito che il grano prodotto non sarebbe sufficiente. Il fatto è che i grandi pastifici spesso impongono i loro prezzi, di conseguenza l’azienda agricola proferisce coltivare altro maggiormente remunerativo.
Salve.
Pet stemperare un po’ i punti di vista e prendendo spunto dal sig. Fabrizio a proposito di veliero e grano russo… Vi invito a rivedere la fiction Rai Francesca e Nunziata con Sofia Loren che, a mio avviso, cade proprio come il cacio sui maccheroni
La Pira mi dispiace ma ha ragione Coldiretti!E se l’ultimo carico sequestrato in Puglia è stato liberato non vuol dire che fosse esente da contaminazioni e dalla massiccia presenza di glifosato.È solo un fatto politico e la salute dei cittadini non interessa a nessuno!Solo 15 gg prima dell’arrivo del carico Gentiloni aveva concluso un accordo con il Canada per esportare un bel po’ di Made in Italy!Ma di che stiamo parlando…..le prime analisi davano la situazione reale poi tutto scomparso
Le analisi ufficiali dicono il contrario di quanto sostiene Coldiretti . A chi credere?
Legga questo articolo
http://www.ilfattoalimentare.it/grano-duro-contaminato-fake-news.html
A me non risulta che Coldiretti e GranoSalus parlino con la pancia quando affermano che il grano italiano non ha glisolfati mentre il restante sì. E’ sempre una questione di soldi, si compra dove costa meno perchè c’è la “droga” del supermercato che deve vendere al ribasso, guardando meno alla salute del consumatore. Questo grano dall’estero è accertato e provato che non è genuino come l’italiano quindi costa molto meno. Basta saperlo, dirlo con chiarezza che chi non può spendere e il disinformato devono morire prima.
Ma veramente il grano importato costa dal 20 al 30% in più!
Spero di ricordare bene ma da ragazzo nel pacco di pasta mi sembra dell’Agnesi vi era l’immagine di un veliero e la pubblicità diceva che usava il grano dell’Ucraina parlo di moli anni fa. Personalmente quando è in offerta compro Voiello e attualmente mi incuriosisce il basso prezzo promozionale di Barilla a volte inferiore a un euro per Kg.
In conclusione De Cecco certifica la sua qualità è conosciuta e in conclusione seguo il consiglio del fatto alimentare di guardare il valore proteico per 100 gr.
Il valore delle proteine è importante ed è l’unico dato a disposizione sull’etichetta . La valutazione però andrebbe fatta considerando anche la tenacità del glutine e anche il sistema di essiccazione ad alte o medie temperature
Se i produttori …….aldilà del marketing “di parte e tendenzioso” iniziassero a dare maggiori informazioni ed essere piu’ trasparenti…. chissa’….
Purtroppo questo non è loro interesse anche perchè sono coscienti che potrebbero perdere quote di mercato diventando “facilmente attaccabili” da chi sosterrebbe che il made in italy con ingredienti 100% è migliore. Questo non è sempre vero lo sappiamo….. però di sicuro …….io non comprerei MAI ……una pasta fatta con miscele di provenienza CANADESE ………… MAI !!! eppure lo sto mangiando da anni …. anche se 20/30 anni fa non c’era probabilmente ne il glifosato ne questa tecnica di “essicazzione veloce”
per SVARIATE questioni etiche .. ma anche per attenzione particolare alla salute ……..
si i famosi limiti di legge europei …… condizionati da mille interessi e fattori …….. e noi …..mangiamo 5 volte la pasta che mangiano gli altri europei ………basta solo questo commento a far riflettere su questi “bellissimi limiti”
aggiungiamoci quello che (il glifosato ed altri contaminanti/pesticidi) c’è nelle fette biscottate,,,,,,,,nei biscotti ,,, nel pane ……..etc……….etc.
quale dovrebbe essere l’interesse maggiormente tutelato ?
quello di chi produce (interessi economici posti di lavoro made in italy nel mondo)
o
quello di chi consuma? (salute…..)
Facciamocene una ragione, la quantità delle proteine interessa solamente i pastai, in quanto la pasta è un carboidrato e non una fonte proteica, perdipiù vegetale.
La qualità tecnologica delle proteine può interessare produttori e consumatori, ma purtroppo per motivazioni e finalità opposte.
L’elasticità e la tenacità delle proteine, molto funzionale per la tenuta meccanica e la costruzione della pasta, si scontra purtroppo con la digeribilità e la distruzione della stessa durante il processo digestivo.
Occorre trovare un buon compromesso senza perdere mai di vista le finalità della tecnologia alimentare applicata alle funzioni umane e non solo fine a se stessa.
Finalmente qualcuno in linea con il punto di vista di Reliabitaly. D’altra parte come si fa a chiedere alle aziende italiane di internazionalizzare, aumentare l’export se si restringe il bacino di approvvigionamento delle materie prime?Si ha un’idea di quanto siamo piccoli (in termini di superficie) rispetto al resto del mondo?E’ palese che le nostre materie prime non bastano e a meno che non si voglia procedere con licenziamenti di massa, le aziende devono importare per mantenere la produzione a regime. Ha altrettanto ragione la Coldiretti quando sostiene le produzioni nazionali e i nostri coltivatori. Per mantenere gli equilibri è necessario che prima si compri il grano nazionale e solo quando questo è finito, ricorrere a quello importato assicurandosi che sia almeno di pari qualità conforme alle norme igienico sanitarie in vigore nel nostro paese. Ancora una volta quindi è una questione di buon senso e di politica.
Vorrei precisare che la pasta De Cecco in etichetta dice che l’origine della semola è sia nazionale sia di importazione
A Luca : “Perche’ non coltiviamo grano e smettiamo di dare lavoro ai paesi esteri ? ”
( non si può fare lo stesso ragionamento per il petrolio ? )
Basta guardare la cartina geografica dell’Italia per capire che ci mancano le pianure per poter coltivare il grano duro; l’agricoltura non si può inventare, è legata alla terra, alla sua conformazione e al clima.
Se non fosse così, i contadini, che non sono scemi, l’avrebbero prodotto guadagnando qualche soldino.
A Claudio : Jolly Sgambaro lo consocono pochi intimi, certo non ha la produzione dei grandi marchi, peraltro brand destinata a chi preferisce il bio che è disposta a comprare il kamut ( che è solo un marchio commerciale registrato nel 1990 ) perchè dicono che ” è meglio”, gente che è disposta a spendere di più; insomma non fa testo.
poi qualche considerazione generale:
Esistono analisi per stabilire la provenienza autarchica del frumento italico ?
Forse la determinazione degli isotopi radioattivi, ma non ho idea se in una miscela di grani l’analisi abbia la certezza di validità; a questo punto, se non esiste, posso scrivere quello che voglio.
Un dato di fatto è che il grano italiano non è sufficiente, allora un grande marchio come fa quando lo finisce ?
Butta via tutte le confezioni prestampate ? oppure smette di produrre ?
E’ dai tempi del piano Marshall ( 1948 ) che mangiamo il grano estero, non riesco a capire perchè questa paranoia per l’autarchia se non con un problema di euro, di lobby o di interessi elettorali.
Non concordo con alcune affermazioni poco corrette:
– i produttori sono obbligati alla tracciabilità delle materie prime e quindi devono dimostrare in qualsiasi momento cosa hanno impiegato per realizzare ogni lotto di produzione;
– le Dogane registrano tutti i lotti in entrata nel paese, la provenienza e la destinazione, oltre a fare analisi a campione delle materie prime;
– gli acquisti e le produzioni dei grandi produttori sono programmati anno per anno, salvo aggiustamenti solitamente in aumento di produzione, quindi gli imballi sono predisposti e stampati di conseguenza;
Concordo pienamente con l’analisi della geografia italiana e delle possibilità produttive, che lasciano ampio spazio a coltivazioni poco estese ma altamente specializzate, bio compreso.
Infine l’unica cosa che i consumatori chiedono a tutti i produttori piccoli o grandi che siano, l’indicazione dell’origine delle materie prime in etichetta, nulla di più.
La politica, le lobby, l’autarchia centrano poco con il principio semplice semplice ed obbligatorio per etica e rispetto verso i propri clienti consumatori: la trasparenza.