De Cecco la nostra pasta è fatta con grano italiano, francese, americano e australiano. Il messaggio scritto su una pagina pubblicitaria
De Cecco la nostra pasta è fatta con grano italiano, francese, americano e australiano. Il messaggio scritto su una pagina pubblicitaria
Roberto La Pira 7 Luglio 2017De Cecco in una pagina pubblicitaria apparsa oggi sul Corriere della sera dice che “la vera pasta italiana merita i migliori grani“, precisa che “la materia prima italiana non basta” e per questo motivo i pastifici acquistano grano duro straniero. Sì avete capito bene, una delle marche di pasta italiana più famosa nel mondo (da sempre in cima alla classifiche dei test comparativi realizzati nel nostro Paese e all’estero) dichiara di usare una parte di grano duro importato nel processo di lavorazione. L’azienda sottolinea che proprio in virtù di questa scelta riesce a confezionare un prodotto di alta qualità e indica tra i paesi di origine del grano: la Francia, la California, l’Arizona e l’Australia. Il testo pubblicitario non lo dice ma gli addetti ai lavori sanno che questo grano costa dal 20 al 30% in più.
De Cecco non è l’unico marchio a importare una parte della materia prima. In un’inchiesta realizzata da Il Fatto Alimentare tre anni fa, Barilla dichiarava di usare il 20% di grano importato. Divella precisava che “non è sufficiente il grano italiano a soddisfare il fabbisogno, soprattutto in termini di caratteristiche analitiche ottimali” lasciando intendere di impiegare regolarmente grano straniero. Granoro dichiarava di usare “semole ottenute da grani duri di qualità coltivati in Italia, Canada, Stati Uniti, Australia, Francia, Grecia e Spagna”, e di avere una linea (Granoro Dedicato) realizzata solo con materia prima pugliese. Garofalo lasciava intendere di utilizzare grano duro dall’estero e scriveva “per produrre un’ottima pasta è necessario scegliere i grani migliori, indipendentemente da dove provengano, senza transigere sulle garanzie di salubrità e di controllo”. Anche La Molisana dichiarava di utilizzare varietà di grano duro in gran parte italiano, con ottima tenacità, e in parte estero.
Se la maggioranza degli addetti dichiara di dovere e anche di volere importare grano duro per fare una buona pasta “made in italy”, c’è da interrogarsi sul ruolo di Coldiretti che ogni 4-5 mesi organizza una sceneggiata in un porto pugliese, andando all’arrembaggio delle navi che importano grano duro “contaminato”. Le telecamere inquadrano i volenterosi con le bandiere gialle alle prese con le granaglie e propongono servizi che si concludono sempre con interrogativi sulla qualità della pasta consumata tutti i giorni. L’effetto allarmistico riesce sempre, anche se poi le analisi ufficiali sui lotti segnalati scagionano sempre le navi prese di mira.
Una cosa deve essere chiara: la pasta “made in Italy” è preparata con il 20-30% di grano duro importato, e per questo motivo è una tra le migliori al mondo. Il concetto va chiarito bene ai consumatori, che su questo punto sono abbastanza confusi e la pubblicità di De Cecco va in questa direzione. Puntare il dito contro le navi che arrivano nei porti, lanciando accuse prive di riscontri sulla qualità della materia prima come fa Coldiretti è un giochetto che può funzionare solo nel nostro Paese. In Italia ci sono troppi giornalisti che considerano i comunicati stampa della lobby degli agricoltori alla stregua di un testo sacro, dimenticando di verificare le notizie.
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Devono dimostrare a chi ? non certo al consumatore .
L’obbligo della tracciabiltà non è un obbligo pubblico, ma fa parte del sitema di autocontrollo che permette all’autorità sanitaria, o giudiziaria verificare tutto quanto è stato utilizzato per la produzione di alimenti ed eventualmente di ripercorrere tutta la distribuzione di un prodotto non conforme ed eventualmente il suo ritiro.
La tracciabilità all’etichetta ci sta come i cavoli a merenda.
Per quanto riguarda la trasparenza sta diventando un concetto sempre più inflazionato, e soparvvalutato.
Mi chiedo cosa voglia efffettivamente dire trasparenza nel senso comune; per me vuole dire non essere ingannevole, dimmi cosa mi vendi ed io scelgo: se mi scrivi solo olio italiano deve esserlo, e dovrebbe essere dimostrabile con rilievi oggettivi ( analisi ? ).
Se invece voglimo dare un senso etico alla trasparenza dovremmo sapere anche se il grano acquistato al sud proviene da azende legate alla mafia, se i raccoglitori di ponodoro sono sfruttati,caporalati ecc ecc .
E per questo c’è il mercato dell’equo e solidale.
Siamo nella piena libertà di commercio, chi vuol scrive che ha un rapporto etico di mercato lo scrive , chi vuole vendere il grano Bio lo scrive e se lo fa certificare, chi vuol far bella figura con solo grano italiano, lo scrive, ma non facciamone un’obbligo.
Se un’azienda ritiene che il suo prodotto debba essere fatto con olio di palma, o con miscele di grano o di caffè anziche con solo Italiano o solo arabica deve essere libera di farlo e di non dovere rendere pubblica la formulazione delle sue miscele.
Poi qualcuno mi spieghi come stabilire ( analisi) se la pasta è effettivamente 100% italiana o meno, se no non ha nessuna valore.
Alla fin fine se vuoi un prodotti IGP, DOP o DOC te lo compri perchè marchiati, se non compri quelli non marchiati.
Dove sta il problema del dover obbligatoriamente mettere la provenienza in etichetta?
Se c’è scritto o non c’è scritto va altrettanto bene; non ritengo il consumatore così grullo da non capire la differenza ta 0 e 1.
a proposito …..
http://www.ilfattoalimentare.it/grano-duro-importato-pesticidi.html
Il suo discorso è corretto, ma anche chiedere per decreto alle aziende di scrivere in etichetta una frase del tipo : “pasta ottenuta con grano nazionale ed estero” non è certo complicato
Le sue affermazioni sono legittime ma non corrette se permettono ai produttori di celare la verità.
Le sue convinzioni rappresentano un passato ormai passato ed il presente richiede un aggiornamento a quelli come lei che pretendono di mantenere posizioni ormai indifendibili.
I consumatori si sono svegliati e per motivi molto diversi, ma in modo univoco, vogliono sapere cosa comprano e cosa mangiano.
Se ne faccia una ragione, come se la sono fatta molte aziende italiane attente al loro business.
Concordo con lei, non è così complicato.
Proprio perche trovo che sia banale il fatto che se non c’è scritto “solo grano italiano” vuole dire il contrario, mi chiedo se ci vuole un decreto e soprattutto se è necessaria una polemica mediatica così forte.
Non mi sembra di avere visto una campagna del genere sulla bresaola della valtellina che mi risulta fatta di zebu brasiliano; ho controllato la busta che ho in frigo e non c’è scritto.
Ecco, a questo punto mi chiedo perchè questa battaglia.
Visto che si parla di decreti, se ne faccia uno in cui se metti un claim pubblicitario ( che ricordo serve a vendere e non sempre fa trasparenza) dovresti anche spiegare con quali metodi si può dimostrare l’aggiunta o la provenienza.
Ovvero chi dichiara che fa pasta con solo grano italiano non può acquistare e/o detenere grano di altre provenienze ( come succede negli impianti di grattugia Grana padano vs Parmigiano Reggiano ), se no lo mescola come fanno tutti.
vedremo gli sviluppi.
alla prossima