Un sistema alimentare che punta sui vegetali, agricoltura compassionevole, riscoperta della sapienza indigena, nuove leggi, diminuzione della pressione dei consumatori, accordi internazionali e animali domestici vegani. Sono queste, in estrema sintesi, le direttive su cui puntare per cercare di dare vita a un nuovo modo di produrre cibo, indispensabile e urgente, visto che quello attuale, come spiegano gli autori di Regenerative Farming and Sustainable Diets Human, Animal and Planetary Health, “è rotto”. E le ricette ci sono già: basta saperle vedere, e applicare. Il libro, edito da Taylor & Francis, e curato da Joyce D’Silva e Carol McKenna, appena pubblicato nel Regno Unito, ospita le opinioni di alcuni degli esponenti più illustri della comunità scientifica, di quella ambientalista e in generale degli esperti che si occupano di sostenibilità e crisi climatica, e del ruolo del cibo in questo contesto.

Nell’introduzione, i curatori spiegano con pochissime cifre in che cosa consiste la rottura: a fronte di milioni di persone in sovrappeso, obese e malate a causa di un’alimentazione scorretta, 780 milioni di altri esseri umani soffrono la fame, e tre miliardi non hanno accesso a cibo sano. Anche se non ci fossero le conseguenze sul clima di un sistema alimentare che in pochi decenni ha distrutto gli habitat e annientato di molte specie, basterebbero queste insopportabili disuguaglianze a far capire perché si deve cambiare. E comunque, le responsabilità sulla situazione ambientale ci sono. Eccome. Ma il libro propone anche numerose risposte importanti.

Regenerative Farming and Sustainable Diets Human, Animal and Planetary Health libro book
La copertina di Regenerative Farming and Sustainable Diets Human, Animal and Planetary Health

La situazione e le sue cause

Philip Limbery, l’amministratore delegato di Compassion in World Farming (CIWF), e autore di numerosi best seller, uno dei quali, Restano solo 60 raccolti, già nel 2003 illustrava la situazione attuale in modo estremamente lucido e documentato, auspica un accordo a livello di Nazioni Unite, per trasformare il sistema alimentare. “Non c’è più tempo”, scrive nel primo capitolo della prima parte dedicata a spiegare l’urgenza degli interventi, “e ciò che si deciderà adesso avrà influenza sui prossimi mille anni”.

Il noto biologo, ambientalista e divulgatore Tim Benton punta invece il dito sull’allevamento, che continua a crescere a livello globale, solo in parte per la crescita della popolazione mondiale, e che comporta un aumento della domanda di mangimi. Ciò causa un continuo incremento nell’utilizzo di fertilizzanti, pesticidi ed erbicidi, per massimizzare i raccolti. Ma il prezzo lo paga la natura, in deforestazione, perdita di biodiversità, inquinamento di acque e terre e alterazioni climatiche dovute alle emissioni. Per questo si può senz’altro affermare che il responsabile principale della crisi attuale è la produzione di cibo.

Veterinario suino che controlla un grosso maiale in un porcile. Ispezione di un problema di tubercolosi. allevamento farmaci veterinari antibiotici suini
L’80% della produzione di antibiotici è destinata al sistema degli allevamenti intensivi

La salute umana

Per quanto riguarda la salute umana, poi, Cóilín Nunan responsabile scientifico di Alliance to Save Our Antibiotics, spiega come la crisi attuale dell’antibiotico-resistenza si dovuta in larghissima parte al sistema degli allevamenti intensivi, cui va circa l’80% della produzione di antibiotici: una follia da correggere.

L’ematologa, esperta di nutrizione e fondatrice di Plant-Based Health Professionals UK, Shireen Kassam riprende invece le conclusioni della commissione EAT di Lancet, secondo le quali l’85% delle calorie dovrebbe essere ottenuto da fonti vegetali. Se così fosse, si arriverebbe a una diminuzione dei decessi per qualunque causa del 60%, e a una dell’incidenza di tumori del 40%.

Mondo animali domestici

C’è poi un capitolo su un tema che suscita sempre aspre polemiche, ma sul quale è necessario riflettere, e cambiare rotta: quello dell’alimentazione degli animali domestici, il cui numero è in costante crescita. Più di un quarto della produzione di carne da allevamenti intensivi è destinato al cibo per pet, e secondo Andrew Knight, esperto di benessere animale, si tratta di un consumo inutile e non più giustificabile. Diversi studi hanno ormai dimostrato che sia i cani che i gatti possono seguire una dieta vegetale bilanciata senza averne alcun danno e anzi, stando meglio, in alcuni casi. Se anche solo metà di tutti i cani del mondo rinunciassero alle proteine animali, con quelle stesse proteine si potrebbe nutrire tutta la popolazione europea, afferma Knight, e se tutti i gatti del mondo fossero vegani, le emissioni di gas climalteranti si ridurrebbero di un quantitativo pari a quello emesso dalla Nuova Zelanda.

Un nuovo sistema alimentare

Le soluzioni arrivano anche nei capitoli successivi, tra i quali quello scritto da un allevatore di vacche da latte inglese, David Finlay, che da alcuni anni sta mettendo in pratica i principi di un’agricoltura e un allevamento “compassionevoli”. In soli otto anni, Finlay ha ottenuto la produzione di un latte ottimo e abbondante, grazie anche al fatto che i vitelli restano con le madri fino all’età adulta, e gli animali sono alimentati con erbe e vegetali frondosi, anziché con i cereali degli allevamenti intensivi, non adatti al loro apparato digestivo (e responsabili della deforestazione).

Con questo approccio ha preservato la biodiversità della sua fattoria, che è diventata addirittura carbon-negativa, cioè capace di trattenere più gas climalteranti di quanti non ne rilasci in atmosfera. Nello stesso capitolo ci sono altri esempi di allevamento e acquacoltura che stanno vincendo la scommessa di produrre proteine animali in modo sostenibile in diversi Paesi, a riprova del fatto che è possibile.

Agricoltore in un campo di grano duro o grano tenero maturo campi agricoltura coltivazione campagna natura sostenibilità alimentare
Se l’85% delle calorie fosse ottenuto da fonti vegetali si arriverebbe a una diminuzione dei decessi per qualunque causa del 60%

Le soluzioni ataviche e One Health

L’antropologa Melissa Leach spiega invece perché ripensare l’agricoltura sia necessario, se vogliamo ridurre il rischio di pandemie, mentre Vandana Shiva pone l’accento sul recupero dei saperi delle popolazioni locali, affinati da millenni di confronto con condizioni ambientali spesso difficili. Lo stesso, con sfumature differenti, fa Lyla June Johnston, rappresentante della comunità dei nativi americani Navajo. In particolare, Johnston scrive: “Non dobbiamo accontentarci di piccoli frutteti, non dobbiamo semplicemente lasciare che la natura faccia il suo corso. Possiamo essere agenti attivi del modo in cui il territorio appare, anche in zone molto ampie. Forse questo mostra a noi esseri umani che abbiamo davvero uno scopo ecologico in questo mondo, se semplicemente utilizziamo la nostra energia in modo rigenerativo”

Servono poi grandi programmi per Paesi come la Cina, dove il consumo di carne e latte continua a crescere, come spiegano Shenggen Fan e Xiaolong Feng, esperti cinesi di sostenibilità dei sistemi agricoli, perché fino a quando i cambiamenti non comprenderanno paesi così rilevanti, gli sforzi saranno destinati a incidere poco.

Il benessere animale

Nella parte dedicata ai cambiamenti culturali indispensabili nella considerazione degli animali, c’è poi un capitolo di Carl Safina, etologo e autore di best seller internazionali tra i quali Al di là delle parole, Animali non umani e Il viaggio della tartaruga, tutti tradotti in Italia da Adelphi.

Gli agenti del cambiamento

Ci sono poi le due opposte visioni su chi dovrebbe incaricarsi di guidare i cambiamenti: se le autorità pubbliche oppure i singoli consumatori e allevatori o coltivatori. Per Henry Dimbleby, fondatore del circuito di ristoranti sostenibili Leon, non ci sono dubbi: solo i governi possono modificare la situazione, con leggi sul benessere animale, sostegni fiscali a chi produce in modo sostenibile e azioni culturali finalizzate a scoraggiare il consumo di carne. Invece per James Bailey, direttore dei supermercati Waitrose (che non hanno approvato il capitolo, scritto a titolo personale), la vera rivoluzione è quella dei consumatori. Se oggi i reparti degli alimenti a base vegetale nei supermercati continuano a conquistare spazio (negli ultimi cinque anni quest’ultimo, in media, è quadruplicato) non è di certo perché sono cambiate le priorità della GDO, scrive. E perché sono cambiate quelle dei clienti.

Non manca, infine, una parte dedicata alla finanza, agli investimenti, ai conti, perché solo trovando soluzioni economicamente sostenibili si può sperare di cambiare modello di sviluppo.

Il libro è insomma un testo importante, molto articolato e ricco di spunti interessanti, che nel loro insieme evidenziano la complessità delle sfide, ma anche la concretezza delle soluzioni già oggi possibili. Strumenti come questo possono realmente contribuire al necessario cambiamento culturale, per – come dichiarano i curatori nelle conclusioni – passare dall’estinzione alla rigenerazione.

La speranza è che venga al più presto tradotto anche in Italia.

© Riproduzione riservata. Foto: Depositphotos.com

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