“Il panettone senza farina per i celiaci è un’alternativa”, scrive Caterina Pilo dell’AIC. Il problema vero non è il nome ma la bontà del prodotto
“Il panettone senza farina per i celiaci è un’alternativa”, scrive Caterina Pilo dell’AIC. Il problema vero non è il nome ma la bontà del prodotto
Roberto La Pira 14 Gennaio 2015Il nostro articolo sul problema del pandoro e del panettone senza farina ha sollevato diversi interventi, a volte molto polemici, nei confronti de Il Fatto Alimentare, da sempre contrario alla modifica della ricetta prevista nel disciplinare. Ospitiamo volentieri questo contributo di Caterina Pilo direttore generale dell’Associazione italiana celiaci.
Caro Direttore,
non posso che condividere la Sua posizione sulla tutela dei prodotti tradizionali italiani, a fronte del sempre più pericoloso italian sounding che sta investendo i mercati internazionali. E come è doverosa la tutela del consumatore da qualsiasi forma di messaggio fuorviante o ingannevole sugli alimenti, sarebbe anche necessario che dagli opinion leader si levasse la condanna della falsa informazione che induce i consumatori ad adottare stili di vita alimentari spacciati per salutisti e che non hanno spesso alcuno degli effetti pubblicizzati, se non l’artificiosa crescita del mercato.
Non ritengo, invece, che proporre una alternativa, non la sostituzione, di un prodotto della tradizione possa rappresentare un oggettivo pericolo o danno alle aziende italiane.
La specifica deroga, strettamente regolamentata, di cui stiamo discutendo, permette, invece, ad una categoria vulnerabile della popolazione di accedere a quelli che lei stesso definisce “preziosi tasselli del patrimonio gastromico”. E’ da leggere, in verità, come un forte segnale di normalizzazione per le famiglie di chi soffre di celiachia, riconoscendo a quell’1% della popolazione che deve escludere il glutine a causa di una patologia cronica il diritto a non sentirsi diverso e a consumare alimenti che connotano fortemente le festività e la socialità delle persone. Diverso è il caso di quegli alimenti che fraudolentemente mirano a ingannare il consumatore con diciture di fantasia che richiamano ricette della tradizione usando ingredienti diversi e di bassa qualità.
Peraltro è un tema, quello dell’ingannevolezza verso il consumatore, che come Associazione pazienti conosciamo bene, in un momento in cui la dieta senza glutine viene indicata a sproposito come pseudo-dieta dimagrante, salutare per tutti, benefica, ma in assoluta assenza di evidenze scientifiche. Il glutine, infatti, non è “tossico” per la generalità della popolazione e mangiare senza glutine non apporta alcun beneficio, ma diverse sono state le aziende che in questi anni hanno cercato di promuovere i propri prodotti specificamente formulati per celiaci, come “più sani e leggeri per tutti”. Questo è un messaggio ingannevole, perché un alimento che tradizionalmente contiene glutine, come il pane o la pasta, ha ragione di chiamarsi ancora pane o pasta, pur non contenendo più farina di frumento, se è preparato proprio per chi soffre di celiachia. Non possiamo quindi che concordare con la posizione espressa dal Direttore dell’Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane.
Abbiamo più volte avuto Il Fatto Alimentare al nostro fianco, nelle battaglie a difesa e tutela del diritto delle persone affette di celiachia di condurre una vita serena, al riparo da pericolose contaminazioni e senza la ghettizzazione sociale che una alimentazione diversa spesso comporta in un paese dove tanto degli aspetti relazionali si svolge intorno ad un tavolo. Confidiamo che ancora una volta sarete capaci di comprendere il nostro punto di vista.
Caterina Pilo (direttore generale Associazione italiana celiachia)
A Caterina Pilo poniamo un semplice quesito. Se adesso il ministero ha autorizzato la produzione del panettone senza farina per i celiaci, domani dovrebbe dare l’autorizzazione per il panettone senza burro ( sostituito dal grasso di palma) per i bambini allergici al latte che hanno gli stessi diritti dei bambini celiaci e non amano essere disciminati a Natale. Ci dovrebbe essere anche un’autorizzazione per un panettone senza uova per gli allergici a questo ingrediente e un panettone senza zucchero per i diabetici. Se questo è lo schema, il meccanismo potrebbe essere esteso a tutti i prodotti tipici del made in Italy.
Vorrei proporre l’esempio di Activia per fare capire come non serve il nome per decretare il successo di un prodotto. I vasetti di Activia, per la legge italiana non possono essere denominati yogurt e infatti questa parola non compare nè sulle etichette nè sulla pubblicità. Activia è infatti un latte fermentato, ma l’impossibilità di scrivere il nome sul prodotto non ha limitato il successo.
Il problema del panettone e del pandoro per celiaci è per certi versi simile, non è il nome che conta ma la bontà del prodotto. Occorre quindi trovare un’azienda alimentare in grado di proporre un buon dolce natalizio senza glutine con un sapore un aroma e un gusto che assomiglia molto al panettone o al pandoro. Questa è la vera sfida. La questione non è privare il celiaco (o un intollerante alle uova o ai derivati del latte) di un dolce da ricorrenza, rendendolo un consumatore di serie B, ma voler utilizzare una denominazione codificata per vendere un prodotto diverso. Vorrei infine ricordare che un Decreto interministeriale, com’è quello del 22 luglio 2005 che definisce la ricetta, non può essere modificato da una generica “nota ministeriale” (è questione di gerarchia del diritto), serve almeno un nuovo decreto interministeriale.
Roberto La Pira
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
La posizione della Pilo è molto chiara, non appare ovvio estendere tale eccezione a tutti i prodotti tipici. Fermiamoci sul panettone che è soprattutto un alimento sociale all’interno delle famiglie italiane ed evitiamo di fare altri esempi che non siano pertinenti alle festività natalizie.
Sarebbe davvero bello avere lo stesso prodotto “senza glutine” e “senza lattosio” anziché farne tanti per ogni tipo di allergia. Inutile aggiungere polemiche su polemiche, soltanto chi sa leggere lo sconforto della privazione negli occhi dei bambini capisce che ci sono cose più importanti del preservare uno stupido nome.
Lo sconforto lo comprendiamo tutti, ma riguarda tutti i bambini allergici che vorrebbero un loro panettone e allora chiamiamolo in un altro nome e produciamo dieci tipi di dolci diversi. “stupido nome”!!!
Si continua a tirare fuori i bambini, la loro reazione, la loro delusione. Ma vi siete mai chiesti alla fine se un bambino si rende conto realmente che sta mangiando un prodotto che si chiama “dolce di natale” o se è più contento del fatto che lo mangia e basta.
State sostenendo che il nome cambia il gusto del prodotto, che di per sè è un’assurdità.
Per bambini si intende la fascia di età 0-12 anni, a 3 anni sanno già utilizzare i tablet, a 8 quasi tutti con l’iphone, a 11 su whatsapp, facebook, skype e chiede se se ne rendono conto? Dovrebbe essere un insegnate per capire quanto siano svegli oggi i bambini!
Io non ho detto se sanno leggere o no, io ho detto che non se ne rendono conto perché sostanzialmente non leggono i nomi e non si interessano a queste differenze, e dovrebbe essere un tecnico che tutti i giorni per lavoro gira nei refettori delle scuole e con i propri occhi si rende conto che la percezione che hanno è sulla forma, sul colore e sul contenuto del piatto, e non sul nome.
Inoltre se sono così svegli e quindi possono capire le differenze allora i genitori possono spiegare il motivo per cui il dolce ha un altro nome.
Sempre se, come dice lei, si pongano il problema che quella fetta, del tutto uguale nella forma, a quella del compagno, si chiami in modo diverso.
Buonasera credo sia difficile non condividere l’impostazione che considera il patrimonio gastronomico italiano una ricchezza da tutelare, per cui mi sembra che la discussione generale si sia focalizzata su contrapposizioni non troppo utili.
Ritengo altresì che la maggior parte dei celiaci, come chiunque debba seguire un’alimentazione forzata, abbia il desiderio di mangiare prodotti buoni, sani (è davvero necessario mettere mono e digliceridi nella pasta e un po’ dovunque?) a prescindere dal marchio e dal nome, magari ad un prezzo equo.
Ecco, semmai il tema del prezzo mi sembra il vero aspetto da approfondire, oggi sono ancora giustificabili differenze di pricing dai prodotti “normali” così marcati?
Grazie per il vostro prezioso lavoro.
Il panettone senza burro esiste da secoli, ma è fatto con olio extravergine di oliva, non con olio di palma… Ma è così difficile parlare di qualità del prodotto?
Secondo voi i panettoni venduti a 1 euro al supermercato sono fatti con burro, uova, farina, vaniglia di alta qualità? Io ho qualche dubbio. Ma a noi piace discutere sul fatto di poter chiamare “panettone” il panettone senza glutine.
Il termine panettone come pasta, pane, latte, gelato, cioccolato, brioche, biscotto, ecc.. identifica una preparazione alimentare e comprende in tutti i casi anche le loro varianti.
Perché per il panettone dovrebbe esserci un’unica ricetta base senza possibilità di varianti, pena la sottrazione del termine?
Il termine indica un grosso pane lievitato.
Ad identificare il panettone tradizionale italiano è appunto la tradizione italiana e “Panettone Tradizionale Italiano-DOP” e “Pandoro Tradizionale Italiano-DOP” dovrebbero chiamarsi, a distinzione di tutti gli altri diversi panettoni e pandoro diversamente preparati e non tradizionali, come il pesto tradizionale.
Stesso problema per altri prodotti:
Latte è solo il latte animale, ma anche quello di mandorla, mentre vietato chiamare latte quello di soia, riso ed altri cerali;
Pane, dal dopoguerra fino a pochi anni fa (o forse ancora?) era solo quello bianco ed era vietatissimo chiamare pane quello integrale, o di altro cereale;
Pasta è tutta, indipendentemente dalla ricetta base;
Cioccolato è appellabile solo se ha una ricetta di base, con innumerevoli varianti ed aggiunte, ma non sostituzioni;
Biscotti sono tutti, anche se non sono cotti bis;
Gelato è tutto senza limiti, purché sia freddo;
Brioches, sono tutte uguali?
Ecc…
Mi sembra che la confusione dei principi regni sovrana e la protezione del prodotto tradizionale ed originale, vada fatta in modo più preciso e coerente, magari tutelando meglio il nostro made in Italy con denominazioni solo italiane e non generiche.
Poi via libera a tutti i panettoni, pandoro, latti ecc.. senza penalizzare ed emarginare le persone intolleranti ed allergiche a qualcosa, che sono tantissime e che se andremo avanti così saranno la maggioranza dei consumatori.