Gli orti urbani negli ultimi anni hanno conosciuto uno straordinario successo in moltissime città del mondo. La pandemia ha poi accelerato il fenomeno, sia perché ha messo in luce le vulnerabilità dei sistemi di rifornimento globali, sia perché ha costituito un utile diversivo ai lockdown, permettendo a moltissime persone di contenere il rischio di depressione e di problemi legati alla scarsa mobilità grazie alla possibilità di stare all’aperto e di svolgere attività fisica, avendo allo stesso tempo verdure coltivate personalmente, e a km zero. A questi si guarda dunque con grande interesse, via via che cresce l’urbanizzazione e aumenta il numero di persone che necessitano di vegetali freschi in aree ad alta densità abitativa. Ma sono un’alternativa reale all’attuale sistema produttivo? Possono essere sufficienti a rendere una comunità autonoma? La domanda se la sono posta i ricercatori dell’Università della Pennsylvania, che hanno condotto una serie di studi sulla città di Chicago e delle zone limitrofe e hanno pubblicato quanto ottenuto su Environmental Science and Technology.
Per capire quanto fosse rilevante l’apporto degli orti impiantati nelle aree verdi disponibili e sui tetti, gli autori hanno preso in considerazione la produzione media di 18 nutrienti essenziali derivanti dai vegetali ma anche da fonti animali, e l’hanno messa a confronto con le dosi giornaliere pro capite stabilite dal Dipartimento dell’Agricoltura. Quindi hanno prefigurato due scenari: uno di controllo, simile alla realtà attuale e incentrato su coltivazioni e allevamenti industriali, e uno nel quale tutta la città sfrutti al massimo le coltivazioni urbane, e ricorra alle terre adiacenti. Quindi hanno calcolato quanto dovrebbe estendersi, in queste ultime, l’area coltivata per ottenere quantitativi sufficienti di nutrienti, e hanno così dimostrato che gli orti urbani non bastano. stato calcolato che le rese non sarebbero sufficienti a garantire se non una piccola parte del fabbisogno quotidiano di nutrienti essenziali per gli abitanti di una città come Chicago.
A parte il paradosso di dover ricorrere a supplementi partendo dall’idea di disporre di prodotti più naturali e meno trattati, i quali alimenterebbero, a loro volta, coltivazioni e allevamenti industriali, i numero lasciano poco spazio ai dubbi. Orti e terrazzi sono utili da molti punti di vista, ma assai difficilmente rappresenteranno una soluzione. Oltre a tutto il resto – hanno ricordato gli autori – bisogna anche fare i conti con le scarse rese, perché le terre disponibili nelle città non sono certo le più adatte alle coltivazioni, e gli spazi quali i tetti possono essere sfruttati solo in misura limitata, a meno di non attuare profonde ristrutturazioni e di non ricorrere interamente a sistemi efficienti quali l’idroponica.
Ma lo studio ha anche un’altra conseguenza. Grazie all’analisi approfondita del fabbisogno di ben 28 nutrienti, può costituire un modello per chi vuole progettare orti urbani e, ancora di più, per i decisori che devono pianificare progetti più ampi. Se si tengono in conto le necessità nutrizionali di una certa popolazione (per esempio quella di un quartiere), si possono insediare colture mirate. In questo modo si possono ottenere raccolti bilanciati, che darebbero un contributo migliore all’autosufficienza della zona.
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Giornalista scientifica
A tutti quelli che hanno un Orto – Direi che dovremmo concentrarci seriamente su un nuovo tipo di piante rinselvatichite o a nuovi incroci . É davvero ridicolo che nel 2020 la nostra piantina di ortaggio presa da un vivaio abbia bisogno di troppe attenzioni (acqua,concime,tutori, ) per non essere vittima della prima erba selvatica dei paraggi che rispunta anche 100 volte se necessario. Serve RICERCA su questo fronte.
Poi vedi come un orto urbano diventa efficiente.