La scorsa settimana abbiamo pubblicato una lettera aperta inviata ai fratelli Barilla e anche ad Aidepi (associazione di categoria che raggruppa i principali pastifici italiani). Nel testo chiedevamo alle aziende di inserire volontariamente in etichetta l’indicazione di origine del grano duro utilizzato per produrre spaghetti e maccheroni. Di seguito pubblichiamo la risposta che oggi abbiamo ricevuto da Aidepi.
Gentile dottor La Pira,
rispondo con piacere alla sua lettera. I pastai italiani sono sempre stati a favore della trasparenza verso il consumatore e della chiarezza delle informazioni da riportare nelle etichette della pasta. Con questo spirito, l’anno scorso abbiamo formulato al Governo un’ipotesi di indicazione nelle etichette della pasta sull’origine della sua materia prima che, contrariamente alle modalità con cui l’attuale decreto impone tale obbligo, valorizzasse il saper fare dei pastai italiani. L’avremmo adottata per nostra libera scelta e a nostro modo di vedere, avrebbe dato un’informazione corretta al consumatore e valorizzato al contempo l’arte del pastaio italiano di miscelare le migliori semole ottenute da grani duri di elevata qualità, anche esteri.
Purtroppo, siamo rimasti inascoltati e il decreto interministeriale è andato in una direzione diversa. Non abbiamo quindi potuto portare avanti la nostra proposta anche perché l’arrivo di una differente versione, com’è effettivamente avvenuto, ci avrebbe messo in difficoltà in quanto avrebbe comportato un ulteriore cambiamento di etichette con una tempistica non coerente con i nostri processi produttivi e con costi davvero rilevanti.
Il decreto non è stato ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale ma, in base a quanto apprendiamo dal comunicato stampa e dalle dichiarazioni dei Ministri Martina e Calenda, le indicazioni scelte sono, a nostro avviso, fuorvianti, perché tendono a indurre il consumatore a preferire le paste alimentari immesse sul mercato in base all’origine italiana della materia prima impiegata e non alla loro intrinseca qualità. Le modalità con le quali il decreto in commento richiede di fornire tali indicazioni sono peraltro impraticabili sia dal punto di vista del sistema di approvvigionamento e del processo produttivo, sia in relazione ai costi ad essi associati che lieviterebbero notevolmente. Si potrebbe determinare l’aberrante effetto di vedere immesse sul mercato italiano paste prodotte in Italia da private label estere a partire da grano duro italiano scadente presentate come autenticamente made in Italy, senza che a questa prefigurazione corrisponda una reale qualità. Senza contare che il provvedimento non ha efficacia nei confronti di pastai esteri che dovessero esportare in Italia la loro pasta senza dover indicare l’origine del grano.
Ribadisco quanto sosteniamo da mesi: questa etichetta non ci piace. Non informa il consumatore, sostiene interessi di parte, non risolve i problemi della filiera italiana, non incentiva la produzione di grano duro italiano quantitativamente sufficiente e qualitativamente adeguata. Sarebbe più conveniente poterci approvvigionare di solo grano duro italiano. Andrebbero però compiuti sforzi congiunti sia da parte degli operatori della filiera, sia da parte delle istituzioni per risolvere criticità della filiera a monte, quali l’incentivazione di produzione di grano duro di qualità, l’adeguamento dei sistemi di stoccaggio e l’eccessiva polverizzazione dell’offerta di materia prima. È stata invece imboccata una strada che non risolve questi problemi e i pastai intensificheranno certamente i contatti con chi davvero vorrà lavorare per costruire una filiera di qualità. Ci teniamo comunque a sottolineare che molti marchi già comunicano volontariamente questa informazione in etichetta o attraverso altri canali di interazione con il consumatore.
Ma tutti noi pastai riteniamo che percentuali, criteri di prevalenza, distinzioni tra ingrediente primario (semola) e luogo di coltivazione della materia prima (grano duro) e indicazioni di origine (EU, non EU) siano informazioni che non aiutano nella scelta perché partono da un presupposto sbagliato. E cioè che l’origine di un prodotto faccia automaticamente “rima” con qualità. Come Lei sa invece, dott. La Pira, qualità e origine della materia prima sono due aspetti non necessariamente collegati tra di loro.
La qualità dei raccolti dipende da molti fattori e, tra questi le condizioni climatiche, che inevitabilmente cambiano di stagione in stagione, determinano fortemente rese e qualità del frumento. Continuiamo invece a pensare che si debba aiutare il consumatore spiegandogli quando e perché un grano è di qualità, che sia nazionale o estero, e tutto il processo di sicurezza. Per questo un’etichetta di origine non basta. Riteniamo prioritario informare gli italiani sui veri fattori della qualità della pasta e del grano. Lo abbiamo sempre fatto e continueremo su questa strada. È l’unico modo per difendere la nostra pasta e proteggere gli italiani da insinuazioni, false notizie e strumentalizzazioni. Perché solo un consumatore correttamente informato è veramente consapevole.
Luigi Cristiano Laurenza (segretario pastai Aidepi)
Risponde Il Fatto Alimentare
È vero quello che dice Aidepi, la nuova etichetta decisa dai ministri Lorenzini e Calenda non risolve i problemi della filiera italiana, non incentiva la produzione di grano duro di qualità e non cambia la situazione. Accontenta solo la lobby di Coldiretti. Queste richieste sono legittime e condivisibili, ma riguardano la politiche agricola di questo paese che presenta diverse lacune. Il discorso però non è questo, noi abbiamo posto solo un problema di etichetta e di trasparenza nei confronti dei consumatori.
Cambiare le etichette e indicare l’origine del grano duro non è un problema gravoso come lascia intendere Aidepi, tant’è che De Cecco e altre aziende lo fanno da anni senza per questo essere penalizzate sul mercato. C’è di più, tutte le aziende che usano grano 100% italiano, come ad esempio Voiello, di Barilla (che è il principale socio di Aidepi) riportano già in etichetta l’origine della materia prima. Perché non estendere questa buona abitudine? Le argomentazioni di Aidepi sono poco plausibili. È vero che l’indicazione dell’origine della materia prima “non basta” perché non esiste un rapporto diretto con la qualità della pasta – lo abbiamo scritto tante volte su questo sito – ma il consumatore vuole questa informazione e sarebbe ipocrita negarla con la scusa che potrebbe “indurrebbe a preferire le paste alimentari … in base all’origine italiana della materia prima e non alla loro intrinseca qualità”. Aidepi dice che bisogna affiancare questa specifica ad altre annotazioni sulla selezione dei grani, sul tipo di trafila e sul sistema di essiccazione, ma questo si può fare tranquillamente attraverso la pubblicità e le etichette. Nessuna legge lo ha mai impedito. Da qualche tempo sulle bottiglie di olio extra vergine e anche su quelle del latte compare l’origine della materia prima , ma questa novità non ha sconvolto gli equilibri del mercato. Perché dovrebbe succedere qualche cosa di catastrofico per la pasta?
Roberto La Pira
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
UNA NORMA DA ABOLIRE IMMEDIATAMENTE E’ QUELLA CHE RENDE INTEGRALE UNA PASTA SOLTANTO CON CRUSCA AGGIUNTA .
VA RIPRISTINATA LA LEGG E CHE INDICA COME INTEGRALE SOLTANTO LA MOLITURA A PIETRA.
Perché la molitura a cilindri non gli è simpatica?
In effetti se la miscela di grano ha provenienza, mettiamo: Italia, Francia, Australia dovrei indicare Paesi UE e non UE (giusto?)e il consumatore medio cosa può dedurne da ciò? Ok il sacrosanto diritto di sapere l’origine ma con una indicazione del genere qual è la percezione?
“Il tal pastificio preferisce la materia prima estera a quella italiana, di ottima qualità, controllata, frutto del made in Italy, sapienza millenaria; mettendo a rischio così la salute della popolazione con alti livelli di micotossine e radioattività” titoleranno i giornali.
Ovviamente le aziende dovranno ricorrere a delle diciture volontarie per affermare che usano delle miscele a prevalenza italiana, che lo fanno per la qualità ecc. Boh, staremo a vedere
le aziende potrebbero anche effettuare (come immagino e spero già facciano) ed indicare in etichetta gli eventuali controlli sulla “salubrità” del grano utilizzato , sia esso italiano e non , con relative percentuali di DON …….e micotossine presenti nel grano, un po come si fa con l’acqua………..no?
quindi oltre che alla sapienza millenaria si indicano anche le caratteristiche di salubrità del prodotto ……..ed il consumatore può scegliere……..chiedendo all’azienda , qualsiasi sia il grano utilizzato, di controllare con attenzione l’eventuale presenza di contaminanti ..!!
Normalmente non sono un sostenitore dell’industria, ma in questo caso AIDEPI ha spiegato esattamente perchè questa norma è inutile e potenzialmente controproducente per il made in Italy, in particolare per la seguente fattispecie, che avevo già ipotizzato in un commento precedente:
“Si potrebbe determinare l’aberrante effetto di vedere immesse sul mercato italiano paste prodotte in Italia da private label estere a partire da grano duro italiano scadente presentate come autenticamente made in Italy”
Poi vorrei sapere, in base a quale sondaggio il sig. La Pira faccia la seguente affermazione:
“il consumatore vuole questa informazione”
Chi vuole questa norma è Coldiretti, per i suoi scopi politici e di rappresentanza.
Coldiretti vuole questa indicazione dell’origine e lavorando da anni a livello mediatico su questo fronte è riuscita a “convincere” molte persone e oltre a tv, giornali e siti internet. Ci sono poi diverse ricerche di mercato che indicano l’origine in etichetta come una richiesta dei consumatori che mi sembra pure legittima soprattutto quando si tratta di prodotti alimentari mono ingrediente come pomodoro, latte, pasta, olio.
Cortesemente mi indica quali sono queste ricerche di mercato ?
Allora sarebbe coerente indicare l’origine di tutti i prodotti alimentari, in particolare quelli freschi.
Sinceramente non capisco perchè cavalchi questa battaglia di Coldiretti.
Argomentazioni ridicole… d’altronde non è facile arrampicarsi sugli specchi per giustificare l’opacità.
I consumatori hanno il diritto di sapere da dove proviene la materia prima, poi ciascuno farà le proprie scelte di acquisto. Tutto il resto sono favole di chi vuole semplicemente comprare sul mercato internazionale il grano più economico.
Poi quando dicono “il grano italiano non viene prodotto in quantità sufficienti” sono ancora più ridicoli… pagatelo il giusto, e vedrete che gli agricoltori italiani lo produrranno nelle giuste quantità, piuttosto che lasciare i campi incolti visto che ora spesso non riescono a rientrare neppure delle spese, per via della concorrenza del grano estero che ha costi di produzione minori!!!
Luca, solo una precisazione. Il grano estero costa di più di quello nazionale: http://www.ismeamercati.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagi
Buongiorno
lei sa che il grano estero costa il 10/20% in più di quello Italiano ? Esiste un “piccolo” problema di superfici coltivate, di rotazione culturale che non permette di aumentare la produzione.
Riguardo al prezzo il meccanismo è che 30 anni fa l’agricoltura era poco meccanizzata e in un’azienda agricola con 1800 pertiche vivevano diverse famiglie, oggi la stessa azienda viene condotta da 2 persone. In passato vi erano delle scelte politiche per incentivare la proprietà terriera frazionata e la redditività (tasse, agevolazioni, ecc..) oggi in una economia di mercato un azienda sopravvive se crea margine e quindi; o produce tanto oppure poco a prezzi alti, facendo scelta produttive in base a logiche di remunerazione.
Curiosità mi sa indicare il perché il grano estero ha costi di produzione minori? (è ironica) considerando che costa di più?
Ha costi di produzione minori perchè le aziende mediamente hanno maggiori superfici e per questo riescono a spalmare meglio i costi.
Il grano estero costa di più perchè al costo normale si aggiunge il trasporto, perchè mediamente è un grano che ha un buon tenore proteico e un’adeguata forza del glutine e per questo è ricercato. Ma anche perchè all’estero sono ben organizzati con filiere che separano in classi di qualità i loro grani, cosa che in Italia avviene raramente…
E’ evidente che Coldiretti agisca come lobby a vantaggio dei suoi associati (che immagino vogliano, come tutti, poter produrre al minor costo e vendere al massimo prezzo) anche proponendo per il loro settore regimi semiautarchici.
Io, come consumatore, non ritengo necessario che si impongano obblighi ai produttori di pasta (che è normalmente fatta con miscele di vari grani e non è monoingrediente) oltre a quelli di rispettare rigorosamente le indicazioni sanitarie, di assecondare al meglio i gusti dei clienti ed a prezzi concorrenziali.
Non ho conoscenze per poter confermare la necessità, a fini qualitativi, di rifornimenti all’estero come viene indicato da AIDEPI (che credo sia una lobby come Coldiretti).
In passato, per gran parte della mia giovinezza, (io ho 74 anni e i miei ricordi potrebbero non essere precisi per cui mi piacerebbe avere, da chi ne sa di più, conferme o smentite) la pasta italiana, per avere una qualità accettabile, doveva essere necessariamente fatta con una notevole percentuale di grano duro che proveniva dall’estero in quanto in Italia tale grano era quasi inesistente.
Benchè, fatte salve le premesse sopra indicate, non non mi interessi minimamente la provenienza dei grani sono per la libertà di poter indicare e garantire in etichetta sia le nazioni che le relative percentuali; sarebbe poi auspicabile che oltre alla nazione possa essere anche indicata la regione e la provincia (si potrebbero così meglio escludere dai propri acquisti prodotti realizzati per esempio nelle varie terre dei fuochi od in mano alla camorra a vantaggio di altre zone meno problematiche).
Non mi fa meraviglia la risposta dei pastai al decreto ministeriale,perché crea confusione ed incertezze. Inutile, la politica è l’arte di saper governare e lo si vede nei piccoli particolari sempre.
Grazie al Fatto Alimentare per questo articolo.
Quando compro la pasta voglio sapere da dove viene il grano e dove è stata fatta. Compro solo italiano e non devo spiegare a nessuno il perché.
La trasparenza dell’Aidepi verso i consumatori e la sua preoccupazione per la salute degli stessi si è vista ampiamente quando nell’opinione pubblica è arrivata la consapevolezza della possibile tossicità dell’olio di palma.
Tutti questi bei discorsi fatti dall’Aidepi secondo me celano la volontà di continuare a rifornirsi dove gli pare al minimo costo, come il caso dell’olio di palma.
Cosa intendete per qualità, la qualità chi la stabilisce, la qualità secondo chi, la qualità in base a quali parametri. La qualità non è un valore oggettivo ( a meno che non si parli di danno alla salute) ma è un valore percepito singolarmente è solo se si hanno le informazioni ognuno può scegliere in base alla propria percezione di qualità. Ad esempio la mia pasta di qualità e quella prodotta con grani antichi biologici e macinati a pietra non raffinati. Non mantiene la cottura? Non ha un sapore eccellente? E chi se ne frega. Per me quella è la mia qualità. Per qualcun altro sarà diverso. Ma solo eon il sacrosanto diritto di essere informati possiamo scegliere la NOSTRA QUALITÀ.
Oscar Palumbo: perché non propone un suo intervento sulla sua originale definizione di qualità alimentare = “chi se ne frega”, al congresso annuale dell’Associazione Italiana Controllo Qualità (AICQ) settore Alimentare, accettando la conseguente discussione?