La guerra sull’indicazione in etichetta dell’origine del grano usato per la pasta va avanti da mesi, e vede contrapporsi le aziende produttrici ai ministri Martina e Calenda, alleati di Coldiretti. I consumatori però faticano a capire e si domandano perché le aziende riportano già queste indicazioni quando la pasta è prodotta con il 100% di grano duro italiano (lo fa Barilla con il suo brand Voiello e altri 58 pastifici che abbiamo elencato in questo articolo), ma non lo fanno quando il grano nazionale è miscelato a quello importato (come succede nel 90% dei casi). Si arriva al paradosso alcune aziende dichiarano l’origine del grano estero negli spot o nei propri siti internet, ma non sulle etichette.

L’altra ambiguità riguarda il decreto siglato dai ministri Martina e Calenda sull’obbligo dell’indicazione di origine del grano duro (entrata in vigore prevista: febbraio 2018). Il decreto, che potrebbe avere un suo valore positivo, è considerato dagli esperti carta straccia visto che i ministri lo hanno varato senza presentare la notifica a Bruxelles. C’è di più. I produttori fanno notare che l’indicazione di origine prevista dal decreto escluderebbe la pasta di grano duro IGP (come quella di Gragnano), quella fresca e senza glutine (di riso, mais, soia, segale, etc.), la pasta biologica, quella di farro e così via. C’è un ultimo elemento da considerare, tra pochi mesi dovrebbe essere approvato un provvedimento europeo, in attuazione del Regolamento 1169/2014, che stabilirà regole precise sull’indicazione dell’origine delle materie prime per prodotti come pasta, riso, conserve di pomodoro e tutti gli alimenti costituiti da un ingrediente prevalente. Il regolamento, se verrà approvato, non soddisferà la voglia dei consumatori di sapere il vero paese di origine perché si limiterà a precisare se l’ingrediente prevalente è UE o non UE, come succede per l’olio extravergine di oliva.

Origine del grano
Le aziende riportano l’origine del grano quando la pasta è prodotta con il 100% di grano duro italiano

L’aspetto peggiore della vicenda è però la posizione di Coldiretti quando in numerosi comunicati lascia intendere che la pasta 100% italiana sia migliore. Non è necessariamente vero. La qualità di spaghetti e maccheroni è collegata al tipo di grano duro e non all’origine. In Italia solo il 60% del grano duro è di qualità buona o eccellente e viene già totalmente utilizzato. La rimanente quota non è adatta perché ai limiti o al di sotto dei parametri richiesti dalle aziende. Per coprire il fabbisogno interno importiamo materia prima di alta qualità da: Francia, Australia, Canada, Stati Uniti, pagandola di più.

L’associazione di aziende produttrici di pasta (Aidepi) accusa la lobby di Coldiretti di portare avanti da oltre un anno “una campagna diffamatoria verso i pastai e il grano estero, che sarebbe tossico o contaminato, acquistato per risparmiare. Si tratta – prosegue Aidepi – di bugie a cui Coldiretti non ha mai presentato prove a sostegno“. Anche l’Associazione Industriali Mugnai d’Italia (Italmopa) attacca le lobby degli agricoltori che accusano senza uno straccio di prova il grano duro importato di contenere il pesticida glifosato. “I risultati delle sistematiche analisi di laboratorio effettuate dall’industria molitoria – scrive l’associazione – attestano, in modo inconfutabile, che la presenza di tracce di glifosato può essere riscontrata sia sul frumento importato, sia sul frumento nazionale contrariamente a quanto incautamente e propagandisticamente affermato. La possibile presenza si situa sempre su valori,  sino a 1000 volte inferiori ai limiti comunitari, di assoluta garanzia per il consumatore. È comunque doveroso interrogarsi – conclude Italmopa – sui motivi della presenza di tracce di glifosato anche nel grano duro nazionale.”

Anche Il Fatto Alimentare ha più volte evidenziato l’assenza di prove a supporto delle accuse di Coldiretti. Purtroppo i giornali e le tv preferiscono credere alle giullarate della lobby ignorando i dati analitici forniti dal Ministero della salute e dagli organi di controllo che dicono l’esatto opposto.

La guerra del grano è il frutto di un atteggiamento miope dei pastifici che non vogliono indicare volontariamente sulle etichette l’origine della materia prima importata. C’è poi la posizione molto pasticciata dei ministri Martina e Calenda che giocando su questa illogica scelta, hanno varato una legge destinata a non entrare mai in vigore. Il ruolo determinante e devastante è quello di Coldiretti che ha portato avanti una campagna folcloristica basata su ambiguità e bugie, convincendo milioni di persone sulla qualità superiore della pasta 100% italiana e sull’inevitabile contaminazione del grano importato. Un vero disastro!

La scelta di Barilla di dichiarare l’origine del grano negli spot ma non sulle etichette, è l’ultimo episodio  della telenovelas. La prossima puntata potrebbe essere la decisione di una grande marca di riportare finalmente in modo chiaro l’origine del grano su tutte le etichette. Chi sarà?

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fabrizio_caiofabricius
fabrizio_caiofabricius
24 Ottobre 2017 17:51

Sebbene un po’ rischiosa visto il crescente numero di gombloddisti fideistico-ignoranti autolaureati in tuttologia compa(e)rata alla prestigiosa Google University,

l’unica via di uscita sarebbe quella che, rinunciando a sgambetti e concorrenza sleale, TUTTE LE AZIENDE dichiarino la provenienza del grano duro, tentando (ma capisco, è improba impresa) di far capire con pubblicità mirata che DA SEMPRE in Italia per fare ottima pasta si importa grano (Documenti del 1650 e disciplinare IGP Gragnano, nonché nostalgiche etichette Agnesi col veliero che non faceva crociere turistiche ma portava il Taganrog dalla Russia ahia aiaia ahi…)

e che ad esempio il Canada è un Paese meraviglioso e corretto e primo produttore al mondo di ottimo grano duro che esporta in tutto il mondo, in primis laddove si valorizza la materia prima con la pasta come l’Italia che RIESPORTA il trasformato con evidenti vantaggi sulla bilancia commerciale e quindi sul benessere nazionale, semmai interessasse ancora a qualcuno dei forcaioli Dottorandi alla Google Univ.

(però acqua in bocca, ma visto che SIAMO DEFICITARI PER IL 50% dei prodotti alimentari, e per non morire di fame 25 000 000 di persone ad es. pure le Lenticchie e tanto altro – vengono da da lì, eh! Fatto , shhhh!

non lo dica al dottorando che ha cementificato l’ultimo pezzetto di suolo agrario fertile dove ora dondolano a grandezza naturale brontolo e biancaneve in gesso vicino al prestigioso suvvone sul mattonato e sopra la sala hobby)

Costante
Costante
25 Ottobre 2017 12:21

Gli italiani, anche ai maggiori livelli di responsabilità governativa (ministri) e di categoria (Coldiretti) sono diventati specialisti nelll’autolesionismo cieco . Con tutta questa teoria che l’indicazione della provenienza delle materie prime in etichetta favorisca la produzione nazionale di qualità, tutta da dimostrare specie per la pasta, stanno distruggendo l’immagine internazionale di alimenti di caratteristica valenza nazionale e di qualità elevata non imitabile a enorme valenza del MADE IN ITALY, che insisto per chi non vuole capirlo, consiste nel SAPER FARE (Know-how), quello si veramente italiano, selezionando le materie prime migliori e più adatte di qualsiasi provenienza, sempre nel rispetto della sicurezza alimentare. E Coldiretti si comporti ONESTAMENTE e la smetta di attribuire a tutte le materie prime importate inquinamenti e non conformità inesistenti anche se dimostratamente sottoposte a controlli ben più severi degli equivalenti prodotti nazionali, dispersi fra una miriade di produttori non facilmente monitorati, specie per il biologico, sicuro solo nell’immaginario che gli viene attribuito e spesso di discutibile qualità ma di costo sproporzionatamente elevato a danno dei poveri ignari consumatori.

Stever
Stever
25 Ottobre 2017 16:09

…anche perchè un grano importato è più probabile che sia controllato due volte, nel paese di origine e in quello di arrivo

claudia
claudia
26 Ottobre 2017 16:19

Ma quindi il decreto relativo all’obbligo dell’origine del grano duro entra in vigore a febbraio 2018 o no?

And
And
26 Ottobre 2017 17:05

Lo stesso problema ci dovrebbe essere su quello del pomodoro, non mi risultano notifiche a Bruxelles.

ezio
ezio
27 Ottobre 2017 10:40

Concordo nell’analisi generale del problema importazioni per il made in Italy e ribadisco anche che dire la verità ai consumatori è un obbligo ed un vantaggio per tutti, coltivatori allevatori e trasformatori in primis.
E’ una politica poco lungimirante, per essere gentili, quella della menzogna e della nascondenza, perché quando prima o poi si scopre la verità, chi ha mentito e/o nascosto informazioni importanti per il consumatore, la paga cara in termini di fiducia e fidelizzazione commerciale.
Tutto il mondo sa’ che noi italiani produciamo e trasformiamo in capolavori alimentari molte materie prime di diversa origine e provenienza.
Quindi serietà imprenditoriale e opportuna strategia di marketing, esigerebbe vantare queste capacità di realizzazione e di trasformazione in una eccellenza alimentare italiana, “con le migliori materie prime scelte e selezionate tra le migliori al mondo”. Senza mentire ne nascondere.
Poi gli IGP (Igt), i DOP (Doc-Docg), PAT ed i made in Italy 100%, indicano solo prodotti d’eccellenza tutti italiani per gli appassionati, gli esigenti d’origine nostrana i solidali nazionali, ma anche per il marketing italiano delle nostre materie prime d’eccellenza.

fabrizio_caiofabricius
fabrizio_caiofabricius
27 Ottobre 2017 15:32

Ma chi sta nascondendo cosa ?

Questo clima forcaiolo di post-verità preconcetta è il vero responsabile che costringe il meglio dell’agroalimentare italiano a stare sulla difensiva dai tiri incrociati di un talebanesimo fideistico-ignorante che campa (e bene) sul populismo più becero che finirà per distruggere il benessere sociale accumulato in due secoli di approccio laico razionale scientifico.

Da secoli la (ottima) pasta italiana si fa ricorrendo a importazioni di grano, lo ribadisce addirittura il disciplinare dell’unica IGP del settore (Gragnano), non c’è nessun segreto terribile, né tantomeno un fantasioso quanto ridicolo gombloddo.

C’è invece il crescente rischio di demonizzazione di un prodotto sano, equilibrato, economico che stava conquistando il mondo e che con questi continui attacchi e fake-news rischia una pericolosa battuta d’arresto che inevitabilmente potrebbe deprimere il settore primario agricolo che lo rifornisce.

In particolare rischiano i piccoli e medi trasformatori del biologico che vendono soprattutto all’estero, confidando nella (giusta) buona fama conquistata negli anni dall’agroalimentare italiano ma che rischia di sciogliersi come neve al sole per colpa di questo polemismo falso e rabbioso azzerando la credibilità faticosamente conquistata.

ezio
ezio
29 Ottobre 2017 12:32

Fabrizio, troppi aggettivi fuori posto e fuori luogo, per un non problema ma solamente una semplicissima quanto scontata evoluzione informativa al consumatore: indicare in etichetta l’origine delle materie prime, tutte, nessuna esclusa e nessuna in particolare.
Nessuna demonizzazione, se non autoprodotta da chi rifiuta questo trasparente comportamento verso i propri clienti consumatori.
Altro che populismo, tutto molto semplice ed abbastanza scontato, almeno dal punto di vista del consumatore italiano, biologico compreso e per primo

fabrizio_caiofabricius
fabrizio_caiofabricius
Reply to  ezio
30 Ottobre 2017 11:34

Aggettivi fin troppo contenuti per non incorrere in volgarità poi censurabili per descrivere la assurda deriva di questo momento storico in cui si disprezza con toni fideistici neomedievali il diffuso benessere raggiunto dopo decenni di ricerca della conoscenza e relativi miglioramenti agronomici, tecnici e sociali.

Chi mesta nel torbido della falsa post-verità preconcetta non sono certo i consumatori consapevoli che sanno benissimo cosa offre il mercato (e quanto costa), ma tutta una ipertrofica sovrastruttura di cialtroni aizzaforcaioli che si giovano economicamente, socialmente e politicamente di questo allarmismo immotivato tanto da lanciare continuamente calunniose fake-news confidando nella lentezza e comunque scarsa visibilità della giustizia ordinaria.

Ribadisco, il “divulgatore” frustrato ed ignorante che si fregia di sparare bufale senza riscontri reali, potrà pure accumulare migliaia di like o portare lucrosi spot alla rete televisiva pubblica e al suo esagerato compenso (sempre pubblico), confidando nella giusta miscela di pregiudizi e luoghi comuni orecchiabili ma poi , a parte la violenza alla verità , ad esempio non solo i perfidi pastifici del male, ma anche i piccoli e medi produttori di grano e pasta biologici stanno già accusando qualche problema nei loro principali canali di vendita esteri per il serpeggiare sibilante incontrollato di queste panzane senza riscontri. Ma tanto al conduttore del talksciò taaaaanto traaasgressivo, poi, che je ne cala?

Francesco
Francesco
2 Novembre 2017 12:32

Scusate dato che siamo in argomento, mi permettete una domanda?
Ma la IGP non è garanzia di un prodotto italiano?
Giacché leggo su Wikipedia la seguente definizione :
“Per ottenere la IGP, almeno una fase del processo produttivo deve avvenire in una particolare area. ”
Quindi da quello che leggo potrebbe essere che una parte della pasta (per esempio ) di Gragnano IGP, sia lavorata a Gragnano ma il grano di provenienza estera?

Valeria Nardi
Reply to  Francesco
2 Novembre 2017 13:42

Le IGP non devono obbligatoriamente impiegare materie prime della zona, né della nazione. Ne avevamo parlato anche in questo articolo per il caso della Bresaola della Valtellina IGP http://www.ilfattoalimentare.it/carne-brasiliana-bresaola-rigamonti.html Si può sempre controllare il disciplinare per ogni singolo IGP

Costante
Costante
3 Novembre 2017 12:31

Tutto questo c…. ingrovigliato nasce in origine da un “assioma molto discutibile” che adesso mi tirerà addosso molti fulmini a x-mila volts. La necessità “assoluta” dei ” consumatori” di fare “scelte consapevoli” solo se a conoscenza dell’origine delle materie prime, che secondo Coldiretti sarebbero “sane” e “di qualità” solo se nazionali mentre tutte le altre ,anche di certo più accuratamente controllate e certificate sarebbero schifezze insicure da bandire insieme a chi le adopera , viene dalle ormai numerosissime cosiddette “associazioni dei consumatori” che millantano di rappresentare tutta la massa dei cittadini “consumatori”.
Sono arrivato a contare in passato fino a 17 di queste “associazioni”, tutte che affermano di essere “senza scopo di lucro” anche per accedere ai finanziamenti ministeriali. In realtà ricordo che in alcune riunioni in sede normativa alcune, con le denominazioni più disparate, rappresentavano iniziative familiari o addirittura personali, altre erano nate per dare visibilità a singoli politici “trombati”, e altre rappresentanti di società editoriali che accettavano associati solo se sottoscriventi abbonamenti con concorsi a premio, altre quali frutto di differenti orientamenti politici, ideologici o di semplice protesta . L’invito proveniente da più parti, a fondersi in un unico ente capace di rappresentare veramente ed efficacemente la vasta platea dei consumatori e delle loro “reali esigenze” di sicurezza alimentare con relativa fiducia , cadeva
costantemente nel vuoto .
Il web ,con le fake-news propagandate da persone incolte ed ideologizzate, accolte spesso senza filtro anche nei blog, invece essere strumento progresso culturale e di verità scientifica, ha fatto sovente da moltiplicatore negativo per ignari consumatori.
In definitiva : siamo sicuri che l’indicazione dell’ origine delle materie prime sia una giusta e vera esigenza dei consumatori, e non un elemento cavalcato da alcuni per interessi più o meno inconfessati ?
Infatti questa esigenza sentitamente italiana, per coprire inconfessate magagne programmatiche di gruppi dirigenti e governativi, e serpeggiante fra gli insorgenti ” interessi autarchici” di qualche altro paese contrasta con i principii e gli orientamenti europei di libero mercato che predilige invece la trasparenza sulla protezione del consumatore intesa come sicurezza alimentare e fiducia nei sistemi che la garantiscono tramite i Regolamenti.
Siamo sicuri che i consumatori, quelli veri, diano un valore così grande all’origine delle derrate, forse maggiore dei requisiti di sicurezza ?
Siamo sicuri di non spingere la situazione verso limiti di autolesionismo dannoso per l’agroalimentare Italiano dove invece conta veramente il “SAPER FARE” con materie prime controllate e di dimostrabile qualità, qualsiasi sia la loro provenienza?

ezio
ezio
Reply to  Costante
3 Novembre 2017 17:37

Scusi Costante, ma non le viene il dubbio che tutto questo argomentare fantasioso ed a volte originale e creativo, non sia sprecato se trattiamo solo di dire la verità su quello che c’è nell’alimento che acquistiamo e consumiamo?
Convincersi e sperare di convincerci che sia meglio nascondere un’informazione ritenuta più o meno importante, piuttosto che comunicarla, credo sia una vera arrampicata sugli specchi.
Mentre condivido l’ultimo suo dilemma, ma vista la fiducia e l’apprezzamento dei consumatori mondiali per i nostri prodotti alimentari, non ne condivido il pessimismo.
Basta vedere le vendite di caffè “italiano” e di quella famosissima crema di nocciole, che di italiano ha quasi solo il nome, il sudore ed “saper fare” piemontese, per stare tranquilli anche dal punto di vista delle nostre esportazioni.

Graziano Barbanti
Graziano Barbanti
4 Novembre 2017 09:45

Il vero problema è la “qualità nutrizionale del grano duro”. Le varietà di grano duro moderne coltivati in tutti i Paesi (derivati per il 90% dalla varietà di grano duro Creso, ottenuto negli anni 70 alla Casaccia – Roma irradiando con raggi al cobalto la varietà di grano duro italiano Senatore Cappelli) potrebbero avere le due proteine (gliadina e glutenina), che durante l’impasto costituiscono il “glutine”, modificate. La Ricerca ancora non ha avviato (a mia conoscenza) studi per verificare le differenze “Strutturali” delle due predette proteine. L’esistenza di differenze strutturali del due proteine nelle varietà di grano duro moderne, nelle persone geneticamente predisposte potrebbero causare “intolleranza” al glutine e/o celiachia. Sarebbe utile che la ricerca istituzionale indagasse nel merito.

fabrizio_caiofabricius
fabrizio_caiofabricius
Reply to  Graziano Barbanti
4 Novembre 2017 19:27

Le fake news di moda sul web mascherate da verità scientifiche hanno le gambe corte come tutte le post-verità preconcette:

“…Le varietà di grano duro moderne coltivati in tutti i Paesi (derivati per il 90% dalla varietà di grano duro Creso, ottenuto negli anni 70 alla Casaccia – Roma irradiando con raggi al cobalto la varietà di grano duro italiano Senatore Cappelli…

Mi spiace, ma ne ha azzeccate poche…

Pochissime sono le varietà oggi coltivate in Italia, ancor meno nel mondo, derivate dal pur ottimo Creso: secondo l’ENSE ne restano certificate meno dell’1% e ovviamente non sono radioattive come il simpatico web vuol farci credere pensando di essere sempre ad Hallowen , visto che con i raggi X (non “al cobalto”) si cercò e si riuscì ad indurre piccole mutazioni utili (in Natura se ne hanno esempi di più imponenti – lo stesso genoma del grano duro e ancor più del tenero derivano da interi raddoppiamenti del genoma e fusioni di specie diverse- veri mostri con 95000 geni).

La grandissima maggioranza dei grani duri moderni deriva invece dalla selezione di linee tunisine (come il Cappelli) e Siriane (Eiti) poi incrociate tra loro negli anni ’60 (Capeiti – Patrizio) e ancora migliorate con la semplicissima tecnica dell’incrocio, tanto che la varietà ampiamente più diffusa in Italia negli ultimi 30 anni è stata Simeto (miglioramento di Capeiti) coltivata su centinaia di migliaia di ettari perché esprimeva caratteristiche agronomiche, adattative, resistenze e qualità positive delle linee parentali.

Tecnica già usata ad inizio 900 dal nostro grandissimo (ma citato a sproposito dai talebani fideistico -ignoranti dei grani antichi) Strampelli per migliorare il grano tenero con cui vincemmo la Battaglia del grano raddoppiando negli anni 30 la produzione nazionale (varietà ARDITO un mix di geni giapponesi per taglia bassa, italiani per resistenza alle ruggini, olandesi e inglesi per migliorare l’Harvest index a favore della granella anziché della paglia e per accorciare il ciclo biologico e sfuggire alla stretta di fine primavera…altro che gli slogan scemi su autoctoni e tradizionali ..povero Strampelli, mancato Nobel…
Se vuole approfondire, ottima sintesi nel libro di Oriana Porfiri (il Frumento duro)

Altro cavallo di battaglia WEBETE, assunto ormai quasi a incontrollata, volgare filastrocca da osteria, è che la composizione glutinica delle teribbbili varietà moderne abbia contribuito ad aumentare la celiachia o la psicosomatica invenzione delle star di Hollywood – la Sensibilità al Glutine.

Studi e Risultati scientifici già ci sono BASTA LEGGERSELI prima di accodarsi all’indignatissimo sentito dire:

Nulla è infatti la differenza tra varietà moderne e antiche (ma poi quali antiche, se hanno 50-60 anni? VINTAGE in effetti , se proprio non si vuol usare la brutta, screditante al marketing, parola di vecchie) rispetto alle GLIADINE , accertate responsabili di Celiachia e allergie

“…no significant differences were found between old and modern durum wheat genotypes in relation to the expression of α-type and γ-type gliadins which are major fractions that trigger coeliac disease (CD) in susceptible individuals. Furthermore, a drastic decrease was observed in the expression of ω-type gliadins in the modern genotypes
. In particular, the higher gluten index observed in modern genotypes was correlated with an increased content of glutenins, especially B-type LMW-GS. No significant differences were found between old and modern durum wheat genotypes in relation to α-type and γ-type gliadins, the former being considered one of the major fractions determining coeliac disease toxicity

in “Differences in gluten protein composition between old and modern durum wheat genotypes in relation to 20th century breeding in Italy” © 2017 The Authors. Published by Elsevier B.V.

http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S116103011730045X

Michele A. De Santis, Marcella M. Giuliani, Luigia Giuzio, Pasquale De Vita, Alison Lovegrove, Peter R. Shewry, Zina Flagella,

“le vecchie popolazioni di frumento tenero, non soggette a miglioramento genetico, mostrano un contenuto di epitopi tossici più elevato delle varietà moderne. Possiamo quindi concludere che il miglioramento genetico non ha contribuito alla prevalenza degli epitopi immunostimolanti per la celiachia”

Poiché le varietà e popolazioni antiche presentano quantità uguali (grano duro) o superiori (grano tenero) di epitopi tossici, possiamo dedurre che il miglioramento genetico non ha contribuito all’incremento della celiachia durante la seconda metà del XX secolo

Ribeiro, M., Rodriguez-Quijano, M., Nunes, F. M., Carrillo, J. M., Branlard, G., & Igrejas, G. (2016). New insights into wheat toxicity: breeding did not seem to contribute to a prevalence of potential celiac disease’s immunostimulatory epitopes. Food Chemistry, 213, 8-18.]

…”è improbabile che le varietà moderne di grano siano responsabili dell’aumento della celiachia”,anzi, “le vecchie varietà producono una quantità più elevata di peptidi con sequenze immunotossiche, dopo la digestione, dei grani moderni e quindi non sono da considerare “sicuri” per chi è predisposto verso la celiachia”.
[Prandi, B., Tedeschi, T., Folloni, S., Galaverna, G., & Sforza, S. (2017). Peptides from gluten digestion: A comparison between old and modern wheat varieties. Food Research International, 91, 92-102.]

Costante
Costante
4 Novembre 2017 11:47

Scusi Ezio,
quando l’indicazione di origine delle materie prime, in se assolutamente secondaria rispetto alla loro qualità certificata e controllata che garantisce il consumatore, viene dopo assurde, martellanti e spesso false e insensate campagne mediatiche , di stampa a riporto senza spirito critico per riempire le pagine o peggio, talk televisivi che le cavalcano per fare audience e sul web che le moltiplica senza filtro né contradditorio, dopo che hanno lavato la testa agli ignari ed inesperti consumatori, anche una prassi che sarebbe di semplice informazione DIVENTA AUTOMATICAMENTE NEGATIVA, DISTRUTTIVA E DANNOSA anche per i produttori più seri (la maggioranza conscia che un passo falso può distruggere un marchio e un’azienda). E’ Quello che sembra volere stupidamente Coldiretti e “qualcun altro politico” che invece dovrebbe imparare cosa deve essere lo sviluppo di un’agroindustria moderna. Altro che arrampicarsi sugli specchi.
I servizi marketing di alcuni produttori con poca deontologia scelgono, con “inversioni di marketing” di cavalcare con effetto immediato le mode e il disorientamento del consumo dei “senza” pronti a ritornare al “con” (magari al limite o fuori della legge sull’etichettatura, tanto rischiano raramente una multa tardiva).
I più seri e convinti del proprio corretto operare e della validità del proprio Know-how vanno giustamente avanti per la loro strada, volti a sfruttare il vantaggio del Know-how Italiano, e impegnati in paesi dove si dà più importanza alla sostanza che alle chiacchiere.
Tra l’altro Lei cita il caffè, che è tutto da secoli di provenienza estera e nessuno produce in Italia né di dargli valenza nazionale, ma le cui coltivazioni spesso coinvolte in severe deforestazioni del vero polmone verde del mondo, non sono mai state oggetto di scandalo per i paladini dell’ecologia, nonostante il Brasile sia molto meno affamato del sudest asiatico .
Volevo porre l’attenzione sul fatto che a furia di coltivare polemiche distruttive interne non si rischi di danneggiare, in un mondo di comunicazione globalizzata, anche l’immagine del valore dei prodotti ITALIANI e dei loro produttori, che sarebbe oltremodo grave.

vincenzo
vincenzo
9 Novembre 2017 11:20

Le indicazioni di origine sono sempre benvenute, ma non dimentichiamo che la mancanza dell’indicazione dello stabilimento di produzione ci priva dell’importantissima indicazione di origine dell’acqua utilizzata. Boicottiamo i prodotti senza l’indicazione dello stabilimento di produzione.