L’olio di palma non è tutto uguale: la qualità dipende dalla lavorazione e da altri fattori. Il punto di vista dell’azienda Germinal Bio
L’olio di palma non è tutto uguale: la qualità dipende dalla lavorazione e da altri fattori. Il punto di vista dell’azienda Germinal Bio
Roberto La Pira 27 Giugno 2014Prosegue il confronto sul massiccio impiego dell’olio di palma nei prodotti industriali. Riceviamo e pubblichiamo una lettera da parte di Enrica Zuanetti, responsabile Marketing del Gruppo Mangiarsano-Germinal, che risponde all’articolo sull’argomento de Il Fatto Alimentare.
L’articolo “Olio di palma presente in 37 merendine vendute al supermercato. È un’invasione. Nella lista anche prodotti biologici, salutistici e le grandi marche” uscito sulla vostra rivista on line, può essere oggetto di numerose confutazioni. Il tema dell’impiego di olio di palma nei prodotti alimentari viene trattato nel merito solo superficialmente, trascurando una serie di aspetti di fondamentale importanza. Nell’articolo del Fatto Alimentare si legge: “i motivi di questo impiego generalizzato sono tre: costa poco, assomiglia al burro da un punto di vista reologico per cui è ottimo per preparare prodotti da forno, e infine non modifica il sapore degli alimenti.”
La frase “nutri la tua salute” firma idealmente ogni nostro prodotto, e sottende la precisa volontà dell’azienda di prendersi cura della salute dell’uomo, attraverso la produzione e la commercializzazione di prodotti biologici e salutistici. La selezione degli ingredienti viene fatta avendo questo come obiettivo, quindi i nostri prodotti sono particolarmente ricchi di materie prime pregiate, e di conseguenza, costose (farine particolari come farro e grano Khorasan, quinoa, amaranto, grano saraceno, olio extra vergine d’oliva, estratti naturali, tra cui quelli di sambuco, rosmarino, tè verde, frutta, e molti altri). In questo processo di ricerca e sviluppo, il costo delle materie prime è un fattore subordinato a molti altri (la salubrità del prodotto, appunto, le caratteristiche funzionali, le caratteristiche organolettiche, l’appeal comunicativo). Il posizionamento premium di Germinal Bio nel panorama delle marche presenti a scaffale in GDO, come correttamente rilevato nell’articolo, ci permette di mantenere intatto questo ordine di priorità quando sviluppiamo nuovi prodotti.
Detto ciò, nel mercato globale delle materie prime, è certamente possibile reperire olio di palma a basso costo, ma scegliendo di usare solo olio di palma biologico non idrogenato, proveniente da filiera RSPO (standard che garantisce tra gli altri aspetti una produzione sostenibile tramite la conservazione delle risorse naturali e della biodiversità dell’ambiente), le presunte economie a cui si fa sommariamente riferimento nell’articolo (“[…] costa poco, […]”) non sono attuabili.
Punto secondo: presunta somiglianza al burro “da un punto di vista reologico” e gusto neutro
Sia il burro che l’olio di palma sono solidi a temperatura ambiente. Questo permette di usare l’olio di palma in sostituzione del burro in tutte le produzioni che necessitano di grassi allo stato solido nelle fasi di amalgama, impasto, estrusione. Nel nostro caso, alcuni prodotti a base di pasta frolla e i prodotti a base di pasta sfoglia.
Come scritto, il gusto dell’olio di palma è neutro, e quindi non altera le caratteristiche organolettiche dei prodotti. Ciò che non viene menzionato, però, avrebbe potuto fornire ai lettori un quadro più preciso:
– L’olio di palma è un grasso stabile in cottura, indicato quindi per la produzione di alcune tipologie di prodotti dolciari da forno.
– L’olio di palma, rispetto agli oli fluidi a temperatura ambiente, aiuta ad allungare la shelf-life del prodotto mantenendone conformi sia le caratteristiche sensoriali (quali friabilità e gusto) che chimiche (come lo stato di ossidazione del prodotto).
Ovviamente, sicurezza alimentare, durata del periodo di vendibilità dei prodotti (in particolare dei prodotti biologici, privi di conservanti) e stabilità delle caratteristiche organolettiche sono tre aspetti fondamentali tanto rispetto al trade quanto ai nostri consumatori.
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Interessante l’affermazione di Fabrizio Piva (GreenBiz, Martedì, 16 Aprile 2013), amministratore delegato CCPB sul tema, in particolare l’RSPO: “[…] qualcuno si è anche inventato standard di produzione che, secondo qualche associazione ambientalista internazionale, assomigliano ad operazioni di “greenwashing”. Non dimentichiamo, però, che le aziende bio che lo utilizzano possono farlo solo se è certificato biologico e quindi se per l’impianto dei palmeti non è stata distrutta la foresta primaria. Un aspetto di importanza primaria: se il palmeto non viene correttamente valorizzato si rischia di favorire schemi di certificazione internazionali non biologici, quali ad esempio l’RSPO, che nulla o poco dicono in materia di gestione biologica del palmeto e di fatto favoriscono comunque un massiccio utilizzo dell’olio di palma”. Nel sito dell’azienda, peraltro, non trovo riferimenti a certificazione di parti terze (possibilmente conosciute) su RSPO, possibile?
È del tutto superfluo che l’azienda non faccia riferimento a certificazioni di parte terza sull’origine biologica dei grassi di palma che utilizza: salvo che per un pugno di ingredienti (elencati nell’allegato IX del reg. 889/2008 e utilizzabili per non più del 5% del totale ingredienti), tutti i componenti di un prodotto biologico devono essere certificati da un organismo o da un’autorità di controllo che la UE deve aver riconosciuto competente a effettuare controlli e a rilasciare il documento giustificativo.
Con il rilascio del documento, l’organismo o l’autorità attestano che la produzione ha impiegato tecniche di lavorazione del terreno e pratiche colturali atte a salvaguardare o ad aumentare il contenuto di materia organica del suolo, ad accrescere la stabilità del suolo e la sua biodiversità, a prevenire la compattazione e l’erosione del suolo e che tutte le tecniche di produzione vegetale evitano o limitano al minimo l’inquinamento dell’ambiente.
@ roberto pinton, forse non ha letto con attenzione, la domanda che non era indirizzata all’olio di palma “biologico”, ma alla frase dell’azienda “…scegliendo di usare solo olio di palma biologico non idrogenato, proveniente da filiera RSPO…”.
La signora ‘Mangiarsano’, nell’esporre i teoremi del suo gruppo – e dei suoi fornitori – prova a intrattenerci con un futile e ingannevole argomento, l’asserita miglior qualità dell’olio di palma non idrogenato.
Bene dunque chiarire ai lettori del Fatto Alimentare che l’olio di palma, in quanto solido, di per sè non abbisogna di processi di idrogenazione (invece necessari per attribuire consistenza a oli liquidi, quali soia e mais, a esempio).
Quanto poi alla presunta ‘sostenibilità’ del palma certificato RSPO, basti annotare un paio di dati:
– aderiscono a RSPO non solo i grandi utilizzatori industriali del palma, ma anche i suoi produttori, cui sono attribuite responsabilità di deforestazione del Sud-Est asiatico (vedasi wwww.farmlandgrab.org) e, da ultimo, rapine delle terre (c.d. land-grabbing) nell’Afica sub-sahariana
– RSPO certifica la ipotetica sostenibilità di quote solo minimali (<5%) della produzione globale di olio di palma, senza badare al fenomeno della rapina delle terre. Contribuendo invece alla domanda globale di questo 'bloody oil'.
E dunque, appurato e confermato che l'impiego di questa matrice grassa non influisce in misura significativa ai costi di produzione di alimenti ad alto valore aggiunto, BASTA!
Mi scusi.
Allora, è ininfluente che l’azienda faccia o meno riferimento allo standard RSPO, dato che è certificata (pagina http://www.mangiarsanogerminal.com/ita/qualita/certificazioni.php) come trasformatore biologico e, necessariamente, è certificato di produzione biologica l’olio di palma utilizzato come ingrediente di alcuni dei suoi prodotti, così come tutti gli altri ingredienti di origine agricola che utilizza nei prodotti con marchio biologico.
Dato che lo standard biologico (reg. 834/2007, reg.889/2008 eccetera) è più avanzato di quello RSPO (http://www.rspo.org/file/RSPO%20P&C2013_with%20Major%20Indicators_Endorsed%20by%20BOG_FINAL_A5_25thApril2014.pdf) sia dal punto di vista agronomico che ambientale, la certificazione RSPO sarebbe del tutto pleonastica.
L’azienda in questione è certificata BRC, IFS, biololgica, calcola il bilancio energetico e l’impronta ecologica, usa imballi da filiera certificata FSC, le filiere di fornitura di ingredienti “coloniali” sono fair trade, eccetera.
Tutto ciò non la esonera certamente dall’obbligo del miglioramento continuo, ma, dovendo far le pulci alle imprese, potrei suggerirne alcune centinaia di più urgenti…