La pubblicità di marchi famosi, soprattutto americani e nord europei, da qualche tempo utilizza come riferimento modelle ‘curvy’ che strizzano l’occhio al pubblico sempre più vasto delle donne (ma anche uomini) affetti da sovrappeso o obesità. Si tratta di astute campagne di marketing che fanno leva sulla body positivity (linea di pensiero contrario alle critiche basate sul giudizio del corpo, che promuove l’accettazione di tutti gli aspetti fisici a prescindere da taglia, forma, colore della pelle, genere). “Questi messaggi confondono le persone – dichiara Massimo Volpe, presidente della Società italiana di prevenzione cardiovascolare (Siprec) – i chili di troppo quando configurano ‘sovrappeso’ o ‘obesità’, vanno considerati una malattia vera e propria, oltre che un importante fattore di rischio per tante altre patologie, da quelle cardio-metaboliche, ai tumori, a quelle osteo-articolari. Valorizzare la body positivity e condannare il body shaming (derisione del corpo o della persona per il suo aspetto fisico) è sacrosanto, quando l’intento è quello della ‘inclusività’ e della guerra alla discriminazione del ‘diverso’. Per nessuna ragione si deve far passare il messaggio che l’obesità vada considerata come una condizione ‘normale’, addirittura alternativa alla magrezza eccessiva o al normopeso. L’obesità è una patologia cronica, una malattia di per sé che potenzia e si tira dietro una serie di altri fattori di rischio, dall’ipertensione, alle dislipidemie, al diabete, contribuendo attivamente ad aprire la strada a molte altre malattie”.
“L’obesità e il sovrappeso – prosegue Volpe – vanno affrontate e trattate già nei bambini e negli adolescenti, senza perdere tempo (*). Bisogna entrare nell’ordine di idee che non solo l’obesità, ma anche il sovrappeso fa male. Guai dunque a far passare il messaggio che qualche chilo di troppo è accettabile. Meno che mai pensare che l’obesità sia una condizione ‘normale’. Invitiamo dunque le mamme a non pensare che un figlio un po’ in sovrappeso scoppi di salute, mentre quello magrolino sia fragile e predisposto alle malattie. È come pensare che avere un po’ di pressione alta o un po’di colesterolo faccia bene. Dobbiamo al contrario combattere con fermezza queste condizioni, intervenendo sullo stile di vita con una dieta personalizzata, ricorrendo se necessario anche ad un supporto psicologico e utilizzando tutti i mezzi terapeutici oggi a disposizione. Purtroppo molto spesso sono gli stessi medici e i cardiologi a non affrontare il problema. Bene dunque continuare a combattere il body shaming, cioè la marginalizzazione o peggio l’irridere il soggetto obeso, senza però cadere nella trappola del concetto di body positivity, suggerita da alcune pubblicità e dai social”.
Il Global burden of disease (Gbd) Obesity Collaborations nel 2017 ha stimato che la popolazione mondiale degli adulti obesi ha superato ormai i 600 milioni, con un clamoroso raddoppio di prevalenza in 35 anni (dal 1980 al 2015). Dei 4 milioni di decessi associati ogni anno all’obesità, almeno i due terzi sono dovuti a malattie cardiovascolari. Una relazione pericolosa dunque quella tra obesità e malattie cardiovascolari (soprattutto infarti) che si esprime attraverso l’amplificazione di una serie di fattori di rischio tradizionali.
In Italia, secondo dati dell’Istituto superiore di sanità, un adulto su 10 è obeso e tre su 10 sono in sovrappeso. Le Regioni dove si registra il maggior sovrappeso sono Puglia e Campania; quelle con il maggior numero di obesi sono invece Calabria e Campania. Nel 2019 i bambini italiani in sovrappeso erano il 20,4% e gli obesi il 9,4%. Nella Regione Europea dell’Oms, l’Italia è al primo posto per obesità e sovrappeso nella fascia d’età 5-9 anni. Il ruolo dell’obesità come fattore di rischio cardiovascolare indipendente non va sottostimato e derubricato a fattore di rischio ‘minore’, perché al contrario il peso è un protagonista assoluto del nostro stato di salute o di malattia. Bene ha fatto dunque la Commissione Europea a riconoscere l’obesità (marzo 2021) come malattia cronica recidivante.
(*) La Siprec ha pubblicato nel 2022 un documento di oltre 100 pagine (“Obesità: da amplificatore di rischio a malattia cronica”)
© Riproduzione riservata Foto: AdobeStock, iStock
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
There is plenty of evidence that one can be healthy at a wide range of sizes and shapes. Health is NOT based on body weight, but rather on level of fitness, strength, and nutritional intake (and to some degree, genetics). Blair et al has clearly shown that cardiorespiratory fitness is a far better indicator of risk for all cause mortality than body weight or waist circumference. None of the studies showing a relationship between weight and mortality controlled for fitness. Once controlled for, the relationship disappears. Please educate yourself on this area of research.
https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/alimentazione/non-esiste-unobesita-sana
articolo del 2017
——–Nessuno, tra medici e ricercatori, ha più dubbi. L’obesità sana non c’è. I chili di troppo avvicinano alcuni fattori di rischio – come l’ipertensione, la sindrome metabolica, l’ipercolesterolemia – che a loro volta rappresentano un terreno fertile per malattie acute (infarto del miocardio e ictus cerebrale) e croniche (diabete di tipo 2, diversi tumori).Ma in realtà l’eccesso di peso va tenuto in debita considerazione anche in assenza di questi fattori di rischio. Una ricerca presentata nel corso dell’ultimo congresso europeo sull’obesità, appena conclusosi a Oporto, ha infatti svelato come anche gli obesi «metabolicamente sani» siano in realtà esposti alle complicanze cardiovascolari derivanti dai chili di troppo.———-
Certamente accomunare i soggetti sovrappeso (lievi e moderati ) attivi e grandi obesi non ha senso, non è la stessa battaglia.
Ho sempre dei dubbi su queste affermazioni apodittiche. E’ abbastanza evidente e logico che il peso, preso in modo assoluto, sia solo UNO tra i fattori determinanti lo stato di salute di una persona. Lo stesso peso ha un senso diverso per una persona con vita sedentaria e per un lottatore, un corridore o un pesista, così come per una persona di media statura e una alta 1,90 m, così come per una persona dall’ossatura robusta e una con uno scheletro delicato. Quindi il peso va comunque rapportato ad altri fattori e ciò che è sovrappeso per una persona, potrebbe essere normopeso per un’altra.
Seconda osservazione: date le considerazioni precedenti, su cosa sono basate le tabelle sulle quali viene misurato lo stato “sottopeso” ,”normopeso”, “sovrappeso” o “obeso” di una persona? Su una media generale? Costruita su quali campioni di persone? In che epoca? Di quale/i etnia/e? Di quali nazioni?
Terza osservazione collegata alla precedente: se ci si basa su studi di correlazione tra malattie e condizione di peso, queste correlazioni sono certe? E si tratta di correlazioni o di causalità? E non potrebbe esservi un bias di fondo, dato che le uniche persone che vengoon studiate sono quelle EFFETTIVAMENTE ammalate? Ovvero: posto che anche tutte le persone che presentano alto rischio di (o meglio che hanno avuto/hanno) ictus, infarto, diabete di tipo 2, pressione alta, colesterolo alto, ecc. siano ANCHE obese (ma non credo sia così), sono stati fatti studi di confronto in cui un campione significativo di persone considerate obese (secondo le tabelle) sono state testate per il loro stato di salute generale (a prescindere dal fatto che abbiano o meno avuto episodi patologici di cui sopra) e siano risultate TUTTE (o in notevole percentuale) con simili problemi? Ed entro che range di peso?
Quarta osservazione: come mai queste tabelle sembrano venir ritoccate sempre più al ribasso col passare del tempo, al punto che persone che un tempo sarebbero state considerate normopeso, adesso risultano in sovrappeso? Non è lecito pensare che in questo modo un numero sempre crescente di persone venga spinto a rivolgersi a medici, centri per il dimagrimento, integratori, cibi dietetici, ecc., alimentando un discreto giro d’affari? Magari non è così, ma qualcuno diceva che “a pensar male del prossimo si fa peccato, ma molto spesso ci si azzecca”…
Condivido tutti i punti illustrati in questo articolo; anche se mi sembra altrettanto importante evitare ogni stigma sociale, in particolare tra gli adolescenti. Un approccio culturale – e non solo medico – è il mio auspicio. Un’adeguata e diffusa rete di servizi territoriali con équipe multiprofessionali per il trattamento precoce di queste problematiche – multiprofesssionali perchè originate anche da momenti esistenziali delicati – sarebbe un potente strumento di contenimento.
Bene quindi non negare il problema, ma al tempo stesso evitare ogni stigma sociale che potrebbe esacerbare delle risposte intrapsichiche individuali problematiche, e/o portare a risposte comportamentali inadeguate o addirittura pericolose sia per la persona che per il contesto familiare e sociale.