Microplastiche che galleggiano in acqua

La rivista Science dedica un lungo articolo agli effetti delle microplastiche sulla salute umana. Ed è, più che altro, un elenco di ciò che manca, che non si sa, e che sarebbe urgente comprendere, per iniziare a intraprendere misure difensive e preventive. Le microplastiche, cioè le particelle di materiali plastici con diametro inferiore ai 5 millimetri, che comprendono anche le nanoplastiche (cioè quelle con diametro inferire a un micron – millesimo di millimetro) sono ormai ubiquitarie e gli esseri umani, di conseguenza, ne ingoiano, respirano, assumono in vario modo tutti i giorni, a prescindere da dove vivano.

Il motivo è chiaro: la plastica è utilizzata in un’infinità di oggetti di uso comune, ciascuno dei quali, in varia misura, per usura, per contatto con agenti atmosferici, chimici e fisici, rilascia materiali estremamente variabili per dimensioni (i diametri medi variano di cinque ordini di grandezza) e forma (in fibre, sfere, frammenti e così via). Queste microplastiche hanno cariche elettriche, proprietà chimico-fisiche e composizioni estremamente eterogenei, a seconda dei polimeri di partenza. Come se ciò non bastasse, su di esse si formano spesso biofilm, strati gelatinosi dalla composizione più varia che spesso contengono funghi, virus e batteri ma anche sostanze chimiche. Tutto questo aiuta a capire perché i dati disponibili siano ancora scarsi, quando non assenti: studiare le interazioni tra microplastiche e corpo umano è molto difficile.

microplastiche
Le microplastiche sono ormai ubiquitarie e le assumono in vario modo tutti i giorni, a prescindere da dove vivano

Mancano metodi diagnostici specifici per raccogliere i campioni, e poi isolare, quantificare e caratterizzare le microplastiche rilasciate negli alimenti, disperse in acqua (per queste ultime la concentrazione si stima vada da 0 a 104 parti per litro) o nell’atmosfera (è stato calcolato, per esempio, che nel centro di Londra ogni giorno vengono disperse tra le 575 e le 1.008 particelle fibrose ogni metro cubo di aria, a causa del logoramento di pneumatici), così come quelle che si depositano negli ambienti interni o, ancora, che derivano dal rilascio dalle bottiglie di plastica e, per i neonati e i bambini, dai biberon.

Per quanto si sa oggi, le particelle più voluminose sono escrete attraverso le feci. Ma su quelle più piccole, e più pericolose, non si sa molto, neppure in che modo e in che misura attraversino la pelle e gli epiteli interni, da quelli gastrointestinali a quelli delle vie aeree. Ci sono alcuni dati ottenuti in vitro su colture cellulari umane, di pesce o di roditore, che suggeriscono che il passaggio sia quasi sempre possibile, ma si tratta di modelli non sempre del tutto affidabili e di test nei quali le microplastiche sono standardizzate e abbastanza lontane da ciò che avviene nella vita reale.

donna incinta gravidanza
È possibile il trasferimento dai linfonodi agli organi e il passaggio avviene anche attraverso la placenta

Preoccupa, soprattutto, l’effetto di accumulo, sul quale non si sa quasi nulla se non che, sempre in vitro, è possibile il trasferimento dai linfonodi a organi quali i reni, l’intestino, il cervello, il fegato, e che il passaggio avviene anche attraverso la placenta. Sugli effetti della deposizione negli organi, per ora, ci sono solo indicazioni generiche quali la possibilità che le microplastiche scatenino infiammazioni croniche e allergie. A complicare il quadro ci si mettono le contaminazioni, quasi sempre presenti. La plastica è infatti ideale per l’insediamento di specie batteriche, virali e fungine, così come, in certi casi (a seconda della carica elettrica sulla superficie), per la formazione di complessi con sostanze chimiche e tossine che possono formare quella che viene chiamata bio-corona (uno strato esterno a ogni particella i cui effetti e comportamenti nel contatto con l’organismo umano sono del tutto sconosciuti).

C’è insomma moltissimo da fare, e gli autori invitano con forza a intraprendere questi studi, che oggi sono resi possibili dall’impiego dei big data, dalla condivisione dei dati e dall’intelligenza artificiale, che può elaborare molte più variabili rispetto a quanto possa fare un singolo ricercatore. È indispensabile che siano mantenuti e lanciati programmi come quello sponsorizzato dall’Unione Europea nell’abito di Horizon 2020, intitolato Microplastics & Health, e che ne siano finanziati altri simili, multidisciplinari, internazionali e di ampio respiro, perché con le plastiche, micro e nano, faremo i conti ancora per moltissimi anni, anche se dovessimo smettere di utilizzarle.

© Riproduzione riservata. Foto: stock.adobe.com

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Mattia
Mattia
24 Febbraio 2021 20:07

Grazie Agnese,
Articolo molto interessante.

gianni
gianni
25 Febbraio 2021 21:21

Per favore qui siamo di fronte a un fenomeno quasi irreversibile, non si usi la parola “prevenzione” essendo da decenni superato il tempo del principio di precauzione, se poi la Cina non avesse smesso nel 2018 di importare gli scarti dal mondo intero saremmo ancora li a magnificare il prodotto tergiversando invece di iniziare a fare studi approfonditi sui danni.
Leggevo da qualche parte che tra pochi anni in mare ci sarà più plastica che pesci e altri esseri viventi, che sia vero o no ha poca importanza, mi basta vedere le immense “isole” in mari e oceani per capire che nonostante la immensa forza purificatrice del sole e del mare non ce la caveremo tanto bene, considerato che ciò che si vede è solo la punta dell’iceberg.
E’ compito della scienza medica studiare ed esprimersi a gran voce (possibilmente) sulle legittime preoccupazioni perché se continua questo progressivo accumulo presto saremo soggetti a fenomeni infiammatori cronici sempre più estesi e frequenti da trattare tragicamente con immunosoppressori………. in alcune occasioni mi è sembrato di capire che anche tra i commentatori ci sono dei medici…..bene mi piacerebbe che si esprimessero coloro che sanno invece di lasciare un incompetente come me a chiacchierare a vuoto.
O lasciamo che a parlare sia sempre e solo lo strapotere economico del petrolio?
Oppure ci affideremo all’ennesimo vaccino? Chissà, mai dire mai.