Quando hanno a disposizione informazioni chiare, i clienti dei ristoranti preferiscono gli alimenti più sostenibili. Lo dimostra uno studio pubblicato proprio nel corso del mese di maggio su PLoS Climate dai ricercatori della Julius-Maximilians-Universität di Würzburg, in Germania. Per valutare l’efficacia di informazioni relative all’impatto ambientale sui menu, i ricercatori hanno realizzato un esperimento che ha analizzato le scelte di 265 volontari, per la maggior parte residenti in Germania, un Paese caratterizzato da una consapevolezza molto alta dell’impatto della produzione di cibo sul clima, ma anche da un grande consumo di carne (55 chili all’anno pro capite nel 2021).
L’esperimento prevedeva di associare ai menu di nove ristoranti le informazioni sulle emissioni di ogni piatto. Queste informazioni erano proposte con due diverse modalità. Per sei ristoranti (cinese, indiano, kebab, messicano, hamburgeria, orientale) erano disponibili tre versioni differenti per ogni voce del menu, una a basso, una medio e una ad alto impatto ambientale (per esempio l’hamburger era disponibile con polpetta vegetale, di pollo o di manzo). Per gli altri tre (italiano, tedesco e greco), ogni piatto era semplicemente accompagnato dalle indicazioni sul suo impatto. Inoltre, per evitare che le posizioni all’interno del menu influenzassero le scelte, l’ordine con cui erano proposte le varie opzioni era modificato nei diversi questionari. L’analisi delle decisioni dei partecipanti ha mostrato che, di fronte ai menu che indicavano l’impatto dei piatti, i potenziali consumatori hanno preferito gli alimenti a impatto più basso.
Se l’indicazione dell’impronta ambientale nei menu dei ristoranti costituisce una novità, l’introduzione di un’etichetta ‘verde’ univoca e condivisa sulle confezioni dei prodotti è da qualche tempo al centro del dibattito europeo. Occorre però prima capire quali sono i sistemi di calcolo che descrivono meglio l’impatto ambientale di un prodotto, definendolo in maniera che sia al contempo immediata e completa. Le soluzioni attualmente applicate in Francia (Eco-Score e Planet-Score) sono le più apprezzate dalle associazioni ambientaliste. Il parere di Compassion in World Farming (CiWF) è però che il Planet-Score sia più efficacie rispetto all’Eco-Score.
Elisa Bianco, responsabile del settore alimentare di CiWF, spiega perché la sua associazione si batte per introdurre anche in Italia questo tipo di etichetta. “Secondo diversi studi e indagini internazionali – spiega Bianco – il Planet-Score è più completo rispetto all’Eco-Score e ad altre soluzioni. Questo accade perché tiene in considerazione diversi parametri in più. Il sistema Eco-Score, infatti, è basato quasi esclusivamente sulla valutazione del ciclo di vita del prodotto (Lca). Questo finisce però per favorire il mantenimento dello status quo, perché non considera elementi cruciali, come gli effetti della produzione in questione sulla biodiversità o il metodo di allevamento e sottostima le conseguenze dell’uso dei fitofarmaci sulla salute umana e sul clima. Questi fattori, invece, sono compresi nel calcolo del Planet-Score, che valuta anche aspetti come la deforestazione e l’uso di Ogm”.
Dal punto di vista grafico, le elaborazioni proposte per entrambe le etichettature prevedono un gradiente cromatico dal rosso al verde e una suddivisione in base a cinque lettere, dalla A alla E. Nel Planet-Score, però, non è proposto solo un punteggio globale, ma sono presenti anche tre voci specifiche, che si riferiscono a biodiversità, uso di pesticidi e clima. È inoltre presente una valutazione disaggregata del metodo di allevamento. Il tutto compone un’etichetta completa dall’interpretazione intuitiva. “La Francia ha iniziato a introdurla dallo scorso gennaio – spiega ancora Blanco – dopo l’approvazione di una legge ad hoc nel luglio del 2021. Ora saranno condotti test per cinque anni, al termine dei quali, se l’esito sarà positivo, l’apposizione del Planet-Score diventerà obbligatoria. La speranza è quella di giungere allo stesso traguardo anche in Europa e in Italia, nonostante nel nostro paese le resistenze dei produttori siano ancora forti”.
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Giornalista scientifica