
Tre settimane fa ho saputo di una visita per giornalisti agli stabilimenti Maina organizzata da Unione Italiana Food (UIF), associazione di categoria che raggruppa oltre 500 aziende alimentari italiane. Ho chiesto UIF di partecipare, visto che Il Fatto Alimentare ogni anno pubblica una decina di articoli su panettoni e colombe, ma la richiesta non ha avuto esito positivo. L’associazione ha cercato di giustificarsi dicendo che, pur riconoscendo una certa autorevolezza al sito, seguito da diversi associati, “non c’è stato alcun intento discriminatorio, ma si è trattato solo di semplici motivi organizzativi”.
Non è la prima volta che siamo esclusi per “motivi organizzativi”. In autunno, dopo aver saputo di una visita per giornalisti avvenuta in estate alle cucine di Esselunga (definite dal Sole 24 Ore “la più grande gastronomia d’Italia”), abbiamo chiesto alla catena di supermercati di essere invitati. Anche in questo caso la nostra richiesta è andata a vuoto. Qualcuno la chiama sfortuna, ma si può legittimamente pensare che si tratta di scelte per escludere giornalisti scomodi.

Il difficile rapporto tra giornalisti e inserzionisti
In questo filone si inserisce anche la recente decisione di un’altra catena di supermercati di non firmare il contratto pubblicitario già definito con Il Fatto Alimentare, per un articolo sgradito pubblicato pochi giorni prima. Purtroppo non siamo di fronte a un caso isolato. La logica sottesa a questi comportamenti è sempre la stessa: ti do la pubblicità se non scrivi cose che mi mettono in cattiva luce, ti invito a un evento se fai un articolo che incensa la mia azienda e non mi critichi.
Accettare questa logica, nel settore, ormai è la regola. Quello che una volta era un malcostume diffuso nel settore moda e bellezza, ora è consuetudine per buona parte delle testate a partire da La Repubblica e Corriere della Sera… Il fenomeno viene evidenziato con regolarità dalla newsletter Charlie del quotidiano online Il Post, che segnala quando, sui giornali, a fianco della pubblicità di un prodotto o di un’azienda appare un articolo che ne decanta le virtù.

Nella redazione del Fatto Alimentare riusciamo a scrivere articoli e fare inchieste anche senza gli inviti e la pubblicità di aziende che pretendono una stampa al servizio del marketing. Questo è possibile perché selezioniamo inserzionisti che rispettano il nostro mestiere. Il grosso dispiacere è constatare che poche redazioni possono lavorare in questo modo.
Un ultimo appunto. A fianco del logo della rivista tedesca di test comparativi Stiftung Warentest (vedi foto sopra), che ha una tiratura di 312 mila copie mensili, compare la scritta “indipendente, obiettivo e incorruttibile”. Lo slogan forse è molto tedesco, ma sarebbe bello trovare parole simili anche su qualche giornale italiano.
© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos, Fotolia
Siamo un sito di giornalisti indipendenti senza un editore e senza conflitti di interesse. Da 13 anni ci occupiamo di alimenti, etichette, nutrizione, prezzi, allerte e sicurezza. L'accesso al sito è gratuito. Non accettiamo pubblicità di junk food, acqua minerale, bibite zuccherate, integratori, diete. Sostienici anche tu, basta un minuto.
Dona ora

Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Nel panorama dell’informazioni, in pratica mi fido solo de Il Fatto Alimentare ed Il Post ed infatti sono le uniche due testate che sostengo a livello economico.
Ancora ricordo quando alcuni anni fa dopo oltre 30 anni ho disdetto l’iscrizione ad una nota associazione di consumatori, anche (ma non solo) per quei Bollini venduti alle aziende “meritevoli” che però mi sembrava cozzassero per l’appunto con l’indipendenza.