Bambino sovrappeso a torso nudo con lattina di bevanda zuccherata in mano; concept: alimentazione, obesità, bambini cattive abitudini

bibite bevanda bottiglie bambinoDue importanti società scientifiche statunitensi, quella dei cardiologi (l’American Heart Association) e quella dei pediatri (l’American Academy of Pediatrics), scendono in campo per chiedere, dopo un approfondimento durato più due anni, l’introduzione di una tassa sulle bevande zuccherate, severe limitazioni alle pubblicità rivolte ai più piccoli e avvertenze sulle confezioni simili a quelle riportate sui pacchetti di sigarette. L’obiettivo è quello di cercare di scoraggiare il più possibile il consumo delle bibite da parte di ragazzi e bambini, e contenere così l’obesità infantile, ancora dilagante.

Secondo le due associazioni, è necessario mirare a ridurre l’apporto quotidiano derivante dalle calorie vuote delle bevande zuccherate al 10%, dal 17% attuale: anche se i consumi di  bibite sono in discesa da qualche anno, è urgente fare molto di più. Sei, in particolare, gli interventi richiesti, in un documento che cita tutti i principali studi degli ultimi anni e spiega nel dettaglio a che cosa ciascuno di essi potrebbe portare:

  1. I governi locali, nazionali e federali devono alzare il prezzo delle bevande zuccherate, se necessario introducendo un’apposita tassa (del 10% o superiore), che ha ormai dimostrato di riuscire a scoraggiare i consumi negli Stati e nelle città dove è stata introdotta, come il Messico, il Cile, Berkeley e così via. La tassazione deve essere accompagnata da adeguate campagne educativi e i proventi devono essere destinati, almeno in parte, all’aiuto alle fasce più povere della popolazione e a programmi di promozione della salute pubblica;
  2. I governi statali e federali devono sostenere qualunque sforzo che vada nella direzione della diminuzione dei consumi e non, come è stato fatto finora quasi ovunque, assistere passivamente a singole iniziative prese da altri;
  3. I programmi federali di assistenza alimentare devono prevedere sempre l’utilizzo di cibi e bevande sane e scoraggiare quello di bibite dolci (nel documento è citato il Supplemental Nutrition Program, pubblico, che ogni giorno serve 20 milioni di porzioni di bevande zuccherate, e che costa 4 miliardi di dollari all’anno);
  4. I bambini, i ragazzi e le loro famiglie devono avere accesso a informazioni corrette, ben visibili su confezioni, menu e pubblicità;
  5. Tutte le iniziative che hanno come scopo l’adozione definitiva e costante di bevande sane devono essere sostenuti e incoraggiati;
  6. Gli ospedali devono essere un modello e offrire a pazienti, familiari e lavoratori solo bevande sane, disincentivando o comunque limitando molto quelle zuccherate.

Le iniziative devono essere intraprese con urgenza, perché ormai – affermano gli specialisti – è sempre più comune vedere bambini anche piccolissimi con problemi di steatosi epatica e diabete di tipo 2, un tempo patologie della terza età, a senza un’azione dei governi continuerà a essere impossibile contrastare un mercato che muove 800 milioni di dollari all’anno solo per la pubblicità. Secondo loro, un’azione decisa potrebbe prevenire 52 mila decessi da diabete di tipo 2, e abbassare l’obesità infantile tra le fasce più disagiate di popolazione, dove è attorno al 19%, ovvero otto punti percentuali più alta rispetto a quella dei ragazzi più ricchi e istruiti.

Cute children with soft drinks
Le associazioni americane dei pediatri e dei cardiologi chiedono una tassa sulle bevande zuccherate per combattere l’obesità infantile

La risposta dell’American Beverage Association è stata quella di sempre: non è dalle bibite che dipende l’obesità, secondo i produttori, ma dalla scarsa attività fisica. Una posizione sbugiardata da numerosissimi studi, che sembra sempre più una sorta di mantra ormai poco efficace. Inoltre le aziende starebbero facendo grandi sforzi per diminuire lo zucchero, ma i dati dicono che dal 2014 a oggi la percentuale media di riduzione non ha superato il 3%.

In definitiva, secondo i medici americani c’è bisogno di una mobilitazione generale come quella iniziata nel 1971 contro il fumo, perché i danni alla salute dei cittadini sono diventati ormai troppo estesi (e costosi) e perché non è più tempo di fidarsi delle dichiarazioni di buona volontà. 

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