Masterchef 13 concorrenti

In un mondo dove dilaga un’iperproduzione di contenuti sul cibo, dai programmi televisivi ai social, e dove chiunque, con una telecamera in mano e una cucina a disposizione, riuscendo a mettere insieme un paio di ingredienti, può diventare un influencer gastronomico, Masterchef, con i suoi cuochi amatoriali, vi si inserisce con grande successo.

Il format Masterchef

Uno dei format televisivi legati al mondo del cibo più famosi a livello internazionale, creato da Franc Roddam, Masterchef nasce in Inghilterra nel 1990 e va in onda per la prima volta sulla BBC. Da lì in poi il programma viene sempre più perfezionato, adottato in molti altri Paesi, e approda in Italia nel 2011, dove oggi è arrivato alla tredicesima edizione.

Spettacolo affascinante e accattivante, un fenomeno, un miraggio potenzialmente realizzabile, meta di coloro che agognano un attimo di notorietà, passeggera o permanente, potenzialmente raggiungibile attraverso la partecipazione al talent.

È proprio questa sua specificità, che lo differenzia dagli altri format in ambito culinario e che ha portato il programma ad essere oggetto di studio non solo dal punto di vista della comunicazione, ma anche delle, non poche, valenze simboliche presenti all’interno della trasmissione.

Masterchef Italia 9 La mia infanzia
Il format Masterchef nasce nel 1990 nel Regno Unito e arriva in Italia nel 2011

L’analisi di Gianfranco Marrone

Gianfranco Marrone, professore ordinario di semiotica, saggista e scrittore, ha dedicato a Masterchef un articolo, pubblicato su Studi Culturali de il Mulino, in cui osserva il talent dal punto di vista simbolico, facendo un’analisi puntuale delle dinamiche che ruotano intorno e tra i personaggi (concorrenti e giudici), degli spazi in cui questi interagiscono e agiscono, e del programma come prodotto, ma soprattutto come brand ben identificato dal logo.

Scrive Marrone che “se vogliamo capire qualcosa di più di questo universo socio-culturale della cucina e dell’alimentazione, del gusto e della commensalità, della degustazione e della gourmandise bisogna guardare a Masterchef alle dinamiche e alla struttura, alle pose e ai personaggi, i comportamenti stereotipi e le finalità del gioco”.

Un format che non è solo una vetrina della cultura gastronomica, ma che, come lo definisce Marrone, “è una macchina da guerra gastronomica-spettacolare, il cui successo è inversamente proporzionale alla perdita di cultura del cibo che caratterizza, nel bene come nel male, la nostra epoca.”

Il rito del grembiule

Il cibo non è più il fine ma diviene qui il tramite per affermarsi. I concorrenti sono disposti a sottostare alle sevizie dei giudici pur di diventare “famosi chef acclamati, autori di libri, conduttori dell’ennesima trasmissione sulla cucina”. Per saper cucinare, sembra non essere necessaria una preparazione specifica, ma bastano la volontà e la passione: “Non esiste in Masterchef un passato curricolare professionalizzante anche se il contesto è quello dell’alta cucina”.

Masterchef Cannavacciuolo Barbieri Locatelli
I concorrenti sono disposti a sottostare alle sevizie dei giudici pur di diventare il nuovo o la nuova Masterchef

Non manca nell’articolo di Marrone l’analisi del ritmo: le tensioni emotive crescenti vengono accentuate dalla presenza del grande orologio che dall’alto domina incalzando i concorrenti sino all’ultimo secondo e che scandisce ogni passaggio dell’esecuzione della ricetta. Il valore simbolico del grembiule che i giudici, alla stregua di una vera e propria uniforme, donano e tolgono solo a fronte del superamento o del fallimento di “rituali complessi e faticosi”.

Il mistero dietro a Masterchef

Ai concorrenti si richiede di sapersi destreggiare in cucina in maniera totalizzante e saper cucinare di tutto, da una semplice insalata a piatti stellati, come la cacio e pepe in vescica di maiale. Ma come i concorrenti riescano a preparare piatti così complessi, mettendo in pratica tecniche che richiederebbero anni di studio e continue prove, per lo spettatore di Masterchef è un mistero che, se esiste, rimane occultato: “Così per diventar Masterchef bisogna dimostrare di saper cucinare di tutto e di più, dal pelare le patate (…) ad arrostire carne di cervo a mantecare un risotto sapientemente speziato. Ma come si è arrivati a fare tutto ciò resta un arcano ritenuto inessenziale”.

Insomma i novelli chef sembrano identificati in base al loro ruolo nella vita (l’avvocato, il pensionato, la casalinga, l’artista, etc.) e alle loro peculiarità caratteriali, più che all’esperienza in ambito gastronomico, definiti da Marrone “Tipi umani e sociali… con ruoli tematici ben precisi(…). Tutti insomma (a Masterchef) possono cucinare: basta sfruttare al meglio le potenzialità del proprio ‘carattere’, innate o acquisite che siano”.

Ma il programma ha anche una valenza socio-culturale? 

Se è pur vero che promuove la cucina, dall’altro lato ci chiediamo se non veicoli un messaggio potenzialmente fuorviante nei confronti di una professione che richiede, prima di tutto, conoscenza, rigore, sacrifici e non solo creatività e passione e, non da ultimo, la consapevolezza che non sfocia solo nell’alta cucina, quella dei ristoranti stellati.

Dagli spazi fisici, ai protagonisti (concorrenti e giudici), all’aspetto temporale Masterchef sembra più una serie con dei personaggi e la loro storia, con cambi scenografici d’effetto quando ci si sposta nelle prove in esterna, con una trama in cui una sequela di prove ed eliminazioni sfociano nel lieto fine, del vincitore. 

Masterchef 13 prova in esterna
Masterchef sembra più una serie con dei personaggi e la loro storia, con cambi scenografici d’effetto quando ci si sposta nelle prove in esterna

A differenza degli altri format legati al cibo, Masterchef genera un sogno trasformando un soggetto (lo chef stellato), che sino a pochi decenni fa rappresentava un mito raccontato sulle riviste di settore, in un personaggio della porta accanto che entra nelle nostre case diventando parte delle vite non solo dei concorrenti ma anche degli spettatori (partecipanti invisibili ma essi stessi parte del programma in quanto giudici, tifosi e sognatori speranzosi, forse un giorno, di poter diventare essi stessi protagonisti di quel mondo).

A Masterchef, più che una ricerca c’è una ricercatezza in cui le arditezze culinarie sembrano essere il focus, mentre il cibo non è più protagonista in quanto tale, ma diventa il mezzo per esaltare se stessi.

La realtà oltre Masterchef

Un campanello di allarme a convalidare l’ipotesi dell’influenza che format come questi generano soprattutto nei giovani è stato lanciato da TGMCOM24 in un articolo che, in un confronto tra dirigenti scolastici e chef, ha evidenziato non solo la carenza di personale nel mondo della ristorazione ma anche un’inaspettata mancanza di competenze.

E se nell’anno scolastico 2014-2015, in concomitanza con il successo del format, si è avuto in Italia un boom di iscrizioni agli istituti professionali di enogastronomia e ospitalità alberghiera, influenzato si pensa proprio dal moltiplicarsi dei programmi televisivi legati al mondo del cibo, oggi la realtà è ben diversa e si assiste a un calo preoccupante delle iscrizioni.

Il problema della carenza di personale in questo settore viene addirittura definito grave, e le motivazioni sembrano risiedere anche, ma non solo, in quegli aspetti inevitabili della professione come gli orari massacranti, il lavoro nei weekend e le paghe basse (in rapporto alla quantità di lavoro).

La professione richiede sicuramente un impegno fisico e una preparazione che, a oggi, si sottovalutano. C’è chi si chiede quindi se il messaggio che format come Masterchef trasmettono possa avere un peso su questo aspetto, considerando che le problematiche legate alla reperibilità di personale in questo settore non sono sempre state così critiche.

La tematica è importante ma ancor di più lo è indagare quali sono le reali motivazioni che portano all’allontanamento della forza lavoro dal settore come il senso di precarietà che aleggia sui giovani generato non solo dall’aspetto economico ma anche da dinamiche legate alla cosiddetta gavetta che se, da momento di passaggio per incrementare alcune competenze con un inizio ed una fine, diventa una condizione stabile, inevitabilmente rischia di trasformarsi in sfruttamento.  

© Riproduzione riservata Foto: Sky Italia

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Silvia B
Silvia B
27 Agosto 2024 07:56

Le persone dovrebbero capire che quella che viene mostrata in questi programmi, da Master chef, Bake off, solo per citare le più famose non è la realtà, ma quello che ad ogni appassionato di cucina piacerebbe poter fare, sono solo degli show di intrattenimento. Sfido chiunque in 50 minuti a realizzare un piatto avendo 5 minuti per fare la spesa, pensare al piatto, cucinare ed impattare ad arte; oppure replicare un piatto solo dopo averlo visto o assaggiato appena o magari organizzare un pranzo per 50 persone. Nella realtà i tempi sono ben diversi, sicuramente verranno fatte delle prove di registrazione poi ce il montaggio ecc.ecc. per confezionare un prodotto televisivo dove oltre alla cucina devono emergere dei personaggi, per cui ci sarà il concorrente che susciterà antipatia perché magari troppo sicuro di sé, quello che magari cercherà il suo riscatto sociale tramite la cucina in una sorta di soap opera con il cibo di sottofondo con a contorno sponsorizzazioni di prodotti e personaggi.

Anna
Anna
17 Settembre 2024 13:13

Ormai è il trionfo dei “la laurea è solo un pezzo di carta”. Un mio caro amico è sous chef in un ristorante di una catena alberghiera di altissimo livello, lo mandano a fare le aperture in tutto il mondo; cucina a meraviglia fin da ragazzino, ma poi ha studiato, ha fatto pratica in tanti ristoranti, e a quel livello deve innanzitutto sapere organizzare la brigata (turni, ferie ecc.). Per non parlare di scegliere i fornitori, gestire i costi. Altro che sbattere i piatti pronti nella pattumiera!