È passato quasi un mese da quando è scoppiato il caso delle mascherine Ffp2 non a norma, quando un’azienda aveva denunciato la presunta non conformità agli standard di alcuni modelli di produzione cinese, puntando il dito contro i prodotti con uno specifico marchio CE. Ad oggi non è ancora chiaro cosa sia successo veramente, e lo potranno dire solo le indagini delle autorità preposte. Restano solo la confusione intorno a una questione estremamente tecnica e i timori dei consumatori.
Per fare un po’ di chiarezza sull’argomento ci siamo rivolti a Filippo Trifiletti, direttore generale di Accredia, l’unico ente designato dal governo italiano per accreditare organismi di certificazione, laboratori di prova e di taratura, a cui abbiamo chiesto come funziona la certificazione, cosa sta succedendo in Europa e come possono tutelarsi i consumatori.
Per prima cosa, occorre precisare che le Ffp2 non sono dispositivi medici come le mascherine chirurgiche, ma dispositivi di protezione individuale (Dpi). “Per marcare CE – ci spiega Trifiletti – i dispositivi di protezione delle vie respiratorie e poterli quindi immettere nel mercato UE, un operatore economico (ad esempio il fabbricante o l’importatore) deve presentare una domanda di certificazione ad un organismo notificato allegando tutta la documentazione tecnica e una serie di campioni.” Un “organismo notificato” è un ente certificatore o un laboratorio di prova autorizzato notificato, appunto, alla Commissione europea per la valutazione della conformità alle normative. “L’organismo procede a valutare la documentazione tecnica e ad eseguire test e prove sui campioni ricevuti; qualora l’esito delle attività sia positivo, provvede ad emettere un certificato per lo specifico Dpi”.
Siccome rientrano nella categoria (1) dei dispositivi “salva vita” le mascherine Ffp2 necessitano sia di una certificazione che attesti la sicurezza del progetto e del prototipo, sia la sorveglianza periodica della produzione in serie per tutelare gli utilizzatori che le usano. “I Dpi sono oggetto di tutta una serie di verifiche e prove, – spiega Trifiletti – i dettagli delle singole verifiche da eseguire sono riportati nella Norma Armonizzata EN 149”. Tra le prove per verificare i requisiti essenziali di sicurezza (2) figurano ad esempio quelle di perdita di tenuta verso l’interno, di penetrazione del materiale filtrante, di resistenza respiratoria, infiammabilità, pratiche di impiego e tenore di anidride carbonica dell’aria di inspirazione.
“In Italia abbiamo diversi organismi notificati ed accreditati per emettere certificazioni di Dpi di protezione delle vie respiratorie (sette, di cui alcuni in fase di prima notifica), l’elenco è consultabile nel database Nando presente sul sito della Commissione europea e sul portale di Accredia. – prosegue Trifiletti – Inoltre, dall’inizio dell’emergenza sanitaria gli Stati hanno adottato anche procedure straordinarie per garantire un afflusso dei Dpi necessari alle proprie necessità, pertanto è possibile trovare in commercio anche Dpi non marcati CE”. Questi dispositivi sono immessi in commercio in base alle “Disposizioni straordinarie per la produzione di mascherine chirurgiche e dispositivi di protezione individuale” (3) e, in questo caso, sono le Regioni e l’Inail ad accertare il rispetto dei requisiti.
È naturale chiedersi, quindi, se la possibilità di immettere sul mercato Ffp2 seguendo questa procedura in deroga, oltretutto in un periodo di emergenza, non possa aumentare il rischio di trovare prodotti fuori norma sul mercato. “Il problema non è tanto legato alla procedura in deroga, – ci spiega Trifiletti – che ha rappresentato comunque un filtro importante se pensiamo che solo il 10% delle domande ricevute all’Inail sono state accolte, quanto al fatto che sono circolati sul mercato certificati rilasciati da organismi accreditati per altro (e non per marcare CE i Dpi) oppure attestazioni prodotte da organismi accreditati ma falsificati da qualcun altro. Il fatto però che siano stati scoperti questi casi, grazie alle segnalazioni di imprese e cittadini, a quelle ricevute da Accredia, e soprattutto all’intervento delle autorità di sorveglianza sul mercato, è sintomo che il sistema funziona e offre garanzie ai cittadini.”
Per quanto riguarda il caso delle presunte mascherine Ffp2 non a norma, potrebbe trattarsi di uso fraudolento del marchio CE. Ci spiega infatti Trifiletti che “è probabile, come stanno dichiarando gli organismi coinvolti, che le mascherine in circolazione siano diverse dal campione esaminato dall’organismo. In ogni caso, l’utilizzo fraudolento del marchio è perseguito civilmente e penalmente, e sono in corso delle indagini che andranno a verificare le responsabilità. Al di là di questi episodi, occorre sottolineare che la marcatura CE resta un sistema efficace per tutelare i consumatori dell’Unione Europea, perché prevede una serie di interventi di soggetti diversi e indipendenti l’uno dall’altro.”
“Va evidenziato il controllo degli organismi di certificazione accreditati, – prosegue Trifiletti – a loro volta verificati degli enti nazionali di accreditamento, un controllo questo che significa fiducia e affidabilità. In più, ci sono i controlli delle autorità di sorveglianza sul mercato, di cui i Paesi si servono per monitorare la qualità dei prodotti sia in fase di prima immissione sul mercato (come le Dogane) sia dopo il loro approdo sul mercato. Nessun sistema di controllo è certamente infallibile e tutto può esser sempre migliorato, ma i consumatori possono avere un buon livello di fiducia.”
Cosa possono fare quindi i cittadini per tutelarsi? “Ci sono delle azioni che i consumatori possono svolgere autonomamente per scegliere un prodotto sicuro. – spiega l’esperto – Per prima cosa è meglio diffidare subito da una mascherina completamente senza scritte. Qualora le scritte fossero presenti, bisogna verificare tre cose: la presenza del marchio CE e dei quattro numeri posti accanto che identificano l’organismo accreditato e autorizzato a certificarle, il numero di lotto (che serve a identificare e tracciare il prodotto) e la presenza della norma EN 149.” Il consumatore quindi può verificare i quattro numeri accanto al marchio CE sul database della Commissione europea Nando. “Fino a quando un organismo resta su questo database, bisogna presumere che operi correttamente.” afferma Trifiletti.
“Qualora però non ci fosse il marchio CE sulla mascherina non è detto sia da buttare. – aggiunge Trifiletti – È infatti probabile sia stata comunque autorizzata dall’Inail con la procedura in deroga. Per controllare questo, si può andare sul sito dell’Istituto, e verificare la presenza di tale mascherina. Diversamente, a questo punto, si può segnalare la mascherina alle autorità. I cittadini hanno inoltre un’altra ‘arma’ a disposizione, per tutelarsi dalle frodi. L’European Safety Federation, ossia la federazione degli organismi accreditati per produrre o importare Dpi, ha stilato una lista di codici, ossia di organismi, dai quali diffidare”
Note:
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I Dpi, in base ai rischi da cui sono destinati a proteggere, sono classificati in tre categorie: categoria I (es. occhiali da sole) per proteggere da rischi minimi; categoria II per un livello di rischio intermedio (es. protezioni per attività sportive, visiere per la protezione degli occhi durante il taglio dell’erba); categoria III conosciuti come salva vita (es. maschere filtranti, caschi per vigili del fuoco)
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Regolamento (UE) 2016/425, Allegato II
- Art. 15 della legge 24 aprile 2020 n. 27, come modificato dall’art. 66 bis della legge n. 77/2020
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[sostieni]
Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
Il database Nando è incomprensibile.
Un’intervista piena di chiacchiere, ma il servizio di spiegarne l’uso ai cittadini preoccupati non è svolto né da voi né da Accredia e neppure dall’UE stessa.
Giuseppe, lei ha ragione. La verità è che viene immesso sul commerciò di tutto, e stampare una dicitura mendace ma verosimile su una mascherina prodotta extra-UE è una operazione semplice e senza rischi. Il vero problema è che i controlli alle dogane non filtrano come vorrebbero tutti, e perseguire un produttore in Cina è una chimera. Alla fine possono realmente essere controllati e perseguiti solo i produttori nazionali.
In aggiunta, salvo una o due eccezioni, non esistono marchi storici, solidi e riconosciuti su cui fare affidamento. Come lei diceva giustamente, l’utilizzatore finale non è dotato di strumenti semplici (una lista positiva, ad esempio) per il controllo di prodotti che per la maggior parte sono anonimi, o con marchi completamente sconosciuti.
Bene. Vedo che è peggio di prima.
è utile fare un confronto tra la norma EN149 e la norma K95 o KN95 a seconda che sia certificato in UK o Cina.
Se è certificata KN o K95 sono equivalenti alle EN149 ? Se no cosa manca ?
E’ da tenere presente che il 90 % delle ffp2 vendute sono certificate KN95.
Riuscite a rispondere ?
Io non sono assolutamente un complottaro. Odio i complottari. Il problema si pone quando c’è la falsificazione. Se si falsificano le banconote figurarsi una mascherina. E lì come ci difendiamo se le diciture sono “perfettamente regolari” ?
In alcuni ospedali romani sono state distribuite ai sanitari, dalla protezione civile di Arcuri, ffp2 con scritto solo FK95 assicurando che fossero state validate dall’INAIL, ma nelle liste dell’Istituto non ci sono.
Avremmo dovuto avviare una produzione Nazionale costantemente monitorata e certificata. Invece in 12 mesi non siamo riusciti a fare nulla e quindi ci meritiamo solamente le mascherine cinesi.
Esistono aziende e imprenditori italiani che hanno avviato la produzione di mascherine certificate e con un prezzo addirittura inferiore a quelle provenienti dalla Cina , ma chissà come mai arrivano e si impongono quelle cinesi che non solo non proteggono i cittadini ma neanche coloro che lavorano negli ospedali come i medici e gli infermieri. C’è qualcosa che non torna.. E quando c è qualcosa poco chiara o che non torna esistono interessi economici celati e nascosti…. Ecco perché nonostante le continue chiusure in Italia il Covid avanza..
In una farmacia ho comprato delle mascherine (che poi ho scoperto essere cinesi) importate e commercializzate dalla SafetysLife – Italia Verde srl e vendute come FFP2.
Quando ho aperto una bustina che conteneva la mascherina ho esaminato la scritta CE e mi sono accorta che il marchio era falso (non formava i due tondi prescritti, che erano più ravvicinati).
Così ho riesaminato la bustina e mi sono accorta che portava scritto: “semimaschera filtrante antipolvere Mod FFP2 NR”. Inoltre non riporta l’organo di controllo che le ha certificate.
Ho segnalato la questione al titolare e poi dopo alcuni giorni ho ricontrollato al banco ed ho visto che continuano ad essere vendute come FFP2 ad uso anticovid.
E’ chiaro che è una mezza truffa, perchè le mascherine antipolvere sono scarsamente filtranti per il virus.
Presumo che la ditta importatrice le abbia commercializzate confidando che nessuno sarebbe andato a leggere cosa c’era scritto sulla bustina, scritta che forse la salvaguarda di fronte alla legge, ma non salvaguarda chi la usa.
Dal punto di vista penale il maggior responsabile secondo me è il rivenditore (in questo caso la farmacia) che evidentemente le ha pagate poco e conta sulla superficialità degli acquirenti per smerciarle.
Per mia fortuna mia ho quattro occhi e sono bene informata, ma gli altri?
Non potendo accertare e difendere la propria salute con mascherine certificate, mantenere la distanza di almeno 2 metri l’uno dall’altro diventa un dovere. Il problema è farlo comprendere anche agli altri quando entri in un supermercato e la distanza oramai si riduce a pochi cm..