Alcolici, con la pandemia si sono spostati gli acquisti dai locali ai negozi. Crescono le pubblicità sulle piattaforme di live-streaming
Alcolici, con la pandemia si sono spostati gli acquisti dai locali ai negozi. Crescono le pubblicità sulle piattaforme di live-streaming
Agnese Codignola 7 Gennaio 2022Tra gli effetti negativi della pandemia si segnala, in molti Paesi, un aumento del consumo di alcolici per uso domestico, che ha spesso superato il calo dovuto alla chiusura di ristoranti e locali pubblici. Lo conferma, tra gli altri, uno studio pubblicato su PLoS One dai ricercatori dell’Università di Buffalo, negli Stati Uniti, che hanno analizzato l’andamento delle vendite di vino, alcolici e birra di 16 stati americani per il periodo compreso tra marzo e giugno 2020. Quanto emerso è stato poi confrontato con i dati dello stesso periodo del 2018 e del 2019. Ma oltre alle vendite mensili ufficiali, fornite dallo U.S. National Institute on Alcohol Abuse and Alcoholism (NIAAA), hanno inserito anche altri tipi di informazioni: quelle derivanti dalla geolocalizzazione (anonima) di 45 milioni di dispositivi mobili, per capire quanto i clienti si recassero nei negozi di alcolici o nei ristoranti aperti, rispetto a ciò che accadeva prima della pandemia, e quali differenze ci fossero da stato a stato.
Il risultato è stato che nelle prime settimane le vendite di vino e alcolici sono aumentate di percentuali variabili tra il 20 e il 40%, a seconda della zona, mentre quelle di birra hanno mostrato un calo rispetto ai valori degli anni precedenti. Come atteso, i clienti sono andati molto meno in bar e ristoranti, anche nelle aree dove erano aperti, e molto di più nelle rivendite. Sono emerse poi anche significative differenze tra stati, dovute probabilmente sia alle abitudini delle diverse popolazioni, sia al fatto che i governatori hanno assunto provvedimenti molto diversi, a seconda dell’orientamento politico e della situazione del proprio stato. In alcuni di essi, i consumi hanno raggiunto livelli definiti allarmanti dagli autori.
Disporre di dati il più possibile precisi – hanno commentato gli autori – serve anche a predisporre le contromisure necessarie quali, per esempio, un rafforzamento degli staff medici e di quelli degli psicologi, al fine di intercettare il disagio che ha spinto i cittadini a bere troppo, e per curarne le conseguenze. Anche se ci sono limitazioni (per esempio perché non è stato possibile includere i supermercati dove gli acquisti di alcolici sono mescolati con quelli di altri prodotti), la tendenza sembra chiara.
Un altro studio uscito negli stessi giorni spiega anche quale potrebbe essere stato uno dei fattori trainanti, oltre al disagio e alla depressione indotte dai lockdown, almeno per i più giovani: la pubblicità, spesso occulta, veicolata dalle piattaforme social dedicate al live-streaming di videogiochi.
In questo caso a condurlo sono stati i ricercatori dell’Università statale della Pennsylvania, che hanno pubblicato, su Public Health Nutrition una dettagliata analisi di quanto uscito su Twitch, Facebook Gaming e YouTube Gaming negli ultimi 17 mesi, riscontrando un significativo e rapido aumento delle immagini e dei video con energy drink, junk food e alcolici tra marzo e novembre 2020. In totale, hanno osservato la presenza di oltre 300 prodotti, raggruppati in sei categorie: alcol, dolci, energy drink, alimenti ultra-trasformati, ristoranti, e bevande zuccherate e gassate, e hanno dimostrato che i relativi spot, più o meno espliciti, sono tutti cresciuti, con una predominanza delle pubblicità di energy drink.
Gli autori, esperti di sanità pubblica, considerano questa sorta pratica particolarmente dannosa proprio per i più giovani, perché la visione costante di messaggi positivi induce a sottovalutare i rischi di quel tipo di bevande e di alimenti, e alla lunga consolida l’idea che si tratti di qualcosa di innocuo, errore particolarmente grave per quanto riguarda l’alcol. Oltre a questo, c’è il rapporto che si instaura con gli influencer, che è diverso da quelli, per esempio, gli attori o i cantanti. Le persone – e soprattutto i più giovani – sono infatti portate a percepire l’influencer come qualcosa di vicino a un amico, e per questo sono più disponibili a seguirne i consigli. Il fenomeno, inoltre, è dilagante: solo a Twitch, per esempio, si collegano oltre 30 milioni di persone ogni giorno, e tre quarti hanno tra i 13 e i 17 anni. Come sottolineano gli autori, non ci sono quasi regole per la pubblicità di questo tipo: sarebbe il caso di iniziare a introdurne.
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Giornalista scientifica