Quest’anno nella Giornata della Terra l’attenzione è stata focalizzata sull’invasione della plastica negli oceani e sulla presenza di microparticelle nei pesci. Il quotidiano La Repubblica ha dedicato un inserto speciale di Robinson su questo tema ospitando interventi di esperti, autorità e anche altri giornali e tv hanno dato ampio spazio all’argomento. In diversi articoli è stato suggerito di disincentivare l’uso di stoviglie di plastica, di ridurre gli imballaggi di frutta e verdura, di non usare cannucce a perdere nei bar e c’è chi ha proposto di tassare gli oggetti monouso di plastica. Si tratta di idee da vagliare con interesse. Le isole Tremiti, per esempio, hanno già deciso per il no alle stoviglie e ai piatti di plastica monouso.
Acqua in bottiglie di plastica
Pochissimi – ma forse sarebbe meglio dire nessuno – hanno focalizzato l’attenzione sull’esagerato consumo di acqua minerale in bottiglie di plastica da parte degli italiani. Dimenticanza, distrazione, superficialità… può darsi, eppure nella vita quotidiana la maggior parte delle persone si imbatte in una bottiglia di minerale. C’è chi la consuma al bar o in mensa, chi la beve a casa durante i pasti, e chi compra una bottiglietta nel distributore automatico in ufficio o a scuola.
Cattive abitudini… forse, che però si acquisiscono sin da piccoli. Al nido e all’asilo spesso i genitori nel corso delle prime riunioni dibattono sull’opportunità di dare l’acqua del rubinetto ai bambini. Alle elementari il discorso cambia, perché in molte città sui tavoli delle mense scolastiche si trovano solo caraffe riempite dal rubinetto. La felice parentesi dura poco, perché alle medie e alle superiori nelle scuole ci sono i distributori automatici con le bottigliette, e qui possiamo dire che in molti casi l’acqua del rubinetto si usa solo per lavarsi le mani.
Consumi da record
Pur non essendo un Paese afflitto da siccità, con migliaia di sorgenti e con un accesso all’acqua potabile del 99,9%, il 70% degli italiani usa abitualmente acqua minerale in bottiglia. Ne consumiamo 14 miliardi di litri ogni anno (dato 2016), con un incremento del 15% rispetto a cinque anni prima, e siamo il primo Paese in Europa e il secondo al mondo con oltre 206 litri pro capite. Le bottiglie sono un po’ di meno ma si tratta comunque di un numero intorno agli 8 miliardi. La spesa pro capite oscilla da 70 a 100 euro. Ma se consideriamo gli amanti dell’acqua di rubinetto e i consumi di minerale fuori casa la cifra aumenta sensibilmente.
Eppure secondo i report delle società che gestiscono la rete idrica in moltissime città italiane il livello è buono. A Milano quasi la metà dell’acqua di rete non viene trattata tanto è pura, l’unica integrazione riguarda l’aggiunta di una lievissima quantità di cloro obbligatoria per legge. Pur essendo considerata un’eccellenza nazionale, la situazione del capoluogo lombardo è paradossale perché il consumo di minerale in bottiglia tra i milanesi è probabilmente in linea con quello delle città meno fortunate.
La vicenda che tutti ignorano o vogliono ignorare è che nel nostra Paese il consumo di minerale continua a lievitare. I gestori del servizio pubblico dovrebbero interrogarsi sulla perché i consumi di minerale continuano a crescere a fronte di un progressivo miglioramento dell’acqua di rubinetto. Forse bisognerebbe cambiare strategia di comunicazione, e spiegare alla gente che la qualità e le caratteristiche dell’acqua che sgorga dal rubinetto sono molto simili a quelle della maggior parte delle bottiglie vendute al supermercato.
Torniamo a parlare di acqua potabile
Forse bisognerebbe cominciare a fare seriamente comunicazione sull’acqua potabile come alternativa alla minerale. La bottiglia di plastica è a tutti gli effetti “concorrente” del rubinetto, e diventa difficile negare questa correlazione. Se i cittadini nutrono una sfiducia nella rete idrica pubblica tanto da avere dubbi sull’opportunità di dare l’acqua di rubinetto ai bambini dell’asilo o del nido, vuol dire che il servizio pubblico fa male il suo lavoro.
Certo i casi e le criticità rilevate in alcune zone come il problema dei Pfas in alcune aree del Veneto o quelli riscontrate a Trapani e Avellino quest’anno non aiutano il rubinetto, ma si tratta di situazioni isolate che andrebbero risolte e non possono contagiare la buona qualità delle altre fonti. Le criticità però si riscontrano anche per le acque minerali che ogni anno vengono ritirate dal commercio per problemi di natura sensoriale o altre anomalie, come dimostrano i recenti casi dell’Acqua Monteverde distribuita da Penny Market o di Viviland fonte Valle Reale distribuita da Md Discount.
Quando bisogna schierarsi contro l’invasione della plastica sono tutti d’accordo. Quando si focalizza l’attenzione sulla necessità di ridurre drasticamente il consumo di acqua minerale, spiegando che si tratta di un’iniziativa semplice e a costo zero, è facile restare soli. Si preferisce parlare di piatti e stoviglie a perdere, di cannucce oppure puntare il dito su altri imballaggi alimentari dove la sostituzione risulta più complicata e costosa. Chissà perché?
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
In certe zone d’Italia c’è il problema delle tubature vecchie: magari l’acqua è buona in partenza, ma se poi passa in tubature vecchie non credo sia il massimo.
Vero e adesso ci sono anche le fonti urbane di acqua gassata dove l’acqua viene filtrata e non sa neppure più di cloro.
|Quando si focalizza l’attenzione sulla necessità di ridurre drasticamente il consumo di acqua minerale… è facile restare soli. !
Aggiungerei che quando bisogna cambiare abitudini o semplicemente mentalità (incluse convinzioni inesatte) si sbatte contro un muro di gomma. A parte alcune realtà dove l’acqua del rubinetto non è il massimo, resta il fatto che in molte località la si può bere tranquillamente.
Eppure vedo i miei genitori, ultra80enni, che abitano al secondo piano di una palazzina senza ascensore che continuano ad usare le bottiglie di plastica ovvero cestelli faticosi da portare in casa e, ovviamente, circa 700/800 bottiglie all’anno da smaltire.
Plastica inutile a parte, in ogni caso è un costo in soldoni, assolutamente evitabile. Niente da fare, non la comodità, non l’ambiente, non la spesa inutile. Non c’è verso.
Io ho installato il depuratore ai miei genitori. Oltre all’evidente rispetto ecologico e risparmio di fatica, ci guadagneranno in salute!!
Grazie all’osmosi inversa con l’integrazione di sali dolomitici (l’unico sistema sul mercato ad oggi) hanno un’acqua pura e soprattutto buona che li invoglia a bere di più ad un’età di solito critica per quanto riguarda i consumi suggeriti. Il tutto allo stesso prezzo di quando la consumavano in bottiglia. Ci cucinano anche!!
Riprendo testualmente dall’articolo: “Certo, i casi e le criticità rilevate in alcune zone, come il problema dei Pfas in alcune aree del Veneto o quelli riscontrate a Trapani e Avellino quest’anno, non aiutano il rubinetto, ma si tratta di situazioni isolate che andrebbero risolte, e non possono contagiare la buona qualità delle altre fonti.”
Parole sante. Il problema è, però, che di queste criticità, di questi pericoli, la popolazione viene a conoscenza sempre DOPO che ha consumato e bevuto tonnellate di acqua potabile, non PRIMA. La gente scopre gli inquinanti quando ormai ha già il corpo imbottito di sostanze, rendendo inutile qualsiasi prevenzione.
E allora, di fronte a questi casi, un certa malfiducia nei confronti dello Stato e di chi dovrebbe garantire la salute pubblica, e che magari è anche lo stesso che loda le buone qualità generali dell’acqua pubblica, nasce spontanea.
Incominciamo a essere credibili sempre, e in tutte le occasioni, e poi, forse, qualcosa cambierà.
Detto ciò, mi piacerebbe che si parlasse, oltre che dell’acqua in bottiglia trasportata dai monti alle pianure, anche delle pere coscia provenienti dal Cile in vendita nei nostri supermercati, delle susine e delle fragole spagnole, degli avocado del Perù e di Israele ecc. ecc.
Quanto inquinamento, e quanta plastica per imballaggio, pure producono tutte queste merci, così indispensabili, che viaggiano da una parte all’altra del mondo?
Grazie,
Alberto
E aggiungo: che si ricominci ad usare il vetro, piuttosto, che è totalmente riciclabile e che, a differenza della plastica, è composto da sostanze naturali.
E vuoi vedere poi che, magari, visto che le bottiglie di vetro pesano di più, e sono certamente meno pratiche di quelle in plastica, tanta gente si convertirebbe all’acqua del rubinetto per comodità?
Affrontiamo il problema vero: aboliamo la plastica per tutti quegli usi in cui il vetro la può sostituire!
La necessità di trovare alternative a questo abnorme mostruoso e crescente consumo di plastiche DEVE assolutamente cambiare. I consumatori nelle loro abitudini possono cercare di cambiare i modelli di consumo, ma non sono misure sufficienti; a mio parere l’unico modo DEVE venire dalle istituzioni.
Se la politica per prima non da questi segnali, difficilmente le aziende cambieranno il loro modelli, perl lo meno finché le plastiche derivate da petrolio avranno un costo basso. Un ottimo esempio è stato l’abolizione delle buste in plastica per buste in materiale biodegradabili. Le tecnologie esistono e il settore delle bio plastiche da derivati vegetali offre ormai quasi tutte le alternative possibili.
Purtroppo siamo miopi e finché non inizieranno a scapparci morti o disastri ambientali, nessuno passerà a dare segnali forti per questi cambiamenti .
Sempre riflettendo sul discorso dell’abolizione della plastica e sulla reintroduzione del vetro per tutte le bottiglie ed i contenitori in genere, mi è venuta in mente anche un’altra osservazione secondo me interessante.
Il vetro è più pesante e, per certi versi, più scomodo rispetto alle bottiglie di plastica. Se si abolisse la plastica e si producessero solo bottiglie di vetro, probabilmente sparirebbero le bottiglie da un litro e mezzo/due litri, essendo troppo pesanti e poco maneggevoli (la plastica può essere sagomata per facilitare la presa, il vetro molto meno).
Dunque scomparirebbero dai banchi dei supermercati anche tutte le bibite zuccherate (coca cola, aranciata ecc.) in bottiglie grandi, e la gente sarebbe costretta a comperare più confezioni da 1 litro per portarsi a casa lo stesso quantitativo, rinunciando probabilmente per motivi di spazio a comperare troppe confezioni.
Dunque, senza bisogno di introdurre alcuna tassa sulle bevande zuccherate, al fine di disincentivarne l’uso, con la reintroduzione del vetro si otterrebbero subito due effetti benefici: uno per l’ambiente naturale e uno per la salute dei cittadini.
Invece di tassare la plastica o le bevande zuccherate, si abbia il coraggio di abolire la plastica e di tornare al più naturale vetro. Senza troppi panegirici, si abbia il coraggio di affrontare il problema alla radice!
Alberto, pur condividendo in pieno la sua analisi ed anche i rimedi possibili, di cui l’abolizione dei contenitori di plastica è quello più radicale e forse decisivo, conoscendo purtroppo le realtà produttive e le spinte del marketing che vuole/deve vendere sempre di più e non di meno, dubito molto si potrà realizzare.
Come in ogni aspetto della vita sociale, occorre trovare compromessi che mettano d’accordo esigenze diverse con soluzioni innovative che riducano l’impatto ambientale ma che producano business, altrimenti anche se giuste non si realizzeranno mai.
Prendiamo ad esempio la trasformazione in corso per le auto elettriche, oppure la produzione di energia, o ancora l’alimentazione genuina e sana, ecc.. se le alternative non producono ricchezza e PIL nessuno le promuoverà e le incentiverà.
In definitiva occorre trovare soluzioni innovative convincenti anche per chi rischia ed investe risorse, che debbono essere remunerate con un adeguato ritorno, perché alla fine se producono utili diventano giuste anche per la filosofia selvaggia del libero mercato.
Come mai la plastica finisce in mare ? IO NON la butto in mare, la metto negli appositi bidoni e penso che viene RICICLATA ! O NO !
Non tutti lo fanno e non sempre (nel mondo)
Certo il consumo di acqua in bottiglia non deve essere incentivato,ma è anche vero che la plastica dovrebbe essere raccolta e riciclata. In molti stati europei le persone sono incentivate a riportare i vuoti di plastica ai centri di raccolta dove vengono contati e pagati. In questo modo la plastica non viene buttata in giro con reciproco vantaggio dell’ambiente e delle persone
Magari una cauzione da 5 centesimi a vuoto risolverebbe gran parte dei problemi, se i dati sono attendibili si tratterebbe (considerati anche i contenitori non solo per l’acqua, si arriverebbe a 40 milioni di euro: quante cose si potrebbero fare per le persone? e per l’ambiente? Troppo banale? pensiamoci, mi sembra che sia il momento buono per proporre soluzioni.
Ricordiamo inoltre che qualcuno riutilizza questi vuoti su scala industriale/artigianale come materia prima seconda che acquistata creerebbe ulteriore possibilità di lavoro.
ho smesso per quanto possibile di bere minerale, di usare l’auto, riciclo al meglio delle mie possibilita’ ,via i bicchierini del caffe’ in plastica e sotto con le tazzine ,quelle vere,quando in ufficio si beve il caffe’. comunque tutto dipende da noi , non acquistare in plastica e’ una scelta , nessuno ci obbliga.
per smaltire poi quegli otto miliardi di vuoti non bastano gli impianti di riciclaggio e tanta plastica finisce negli inceneritori , ed e’ quella che ci ritroviamo nel piatto perche’ e’ ovunque .
Non ancora letto commenti sulla possibilità di indirizzare la produzione verso soluzioni maggiormente sostenibili, come la BIO BOTTLE di Sant’Anna.
Sembra essere un tentativo rimasto piuttosto isolato di imbottigliare acqua in una contenitore biodegradabile e compostabile di origine vegetale e non credo solo per una questione di costo.
Prima di ipotizzare soluzioni difficilmente percorribili anche se auspicabili come il vetro, perché richiedono uno stravolgimento produttivo ed organizzativo, perché non obbligare gli imbottigliatori di acqua minerale a percorrere la strada iniziata da Sant’Anna, come si fatto con i sacchetti monouso?