Come conciliare l’allevamento di animali da carne con la tutela dell’ambiente? Due giovani allevatori americani, Zach ed Ethan Withers, hanno lanciato in progetto innovativo, che sfrutta la proverbiale voracità dei maiali per recuperare e utilizzare scarti di lavorazione dell’industria alimentare e derrate rimaste invendute nei negozi.
Il progetto è nato quando i due giovani hanno ereditato Polk’s Folly Farm, la fattoria sulle montagne del Nuovo Messico in cui i loro genitori allevavano purosangue, e hanno deciso di convertirla dedicandosi all’allevamento di maiali di razza pregiata, facili da gestire e in grado di resistere senza problemi al clima inclemente della regione. E di alimentarli quasi esclusivamente di scarti alimentari, per poi macellarli e venderli sui mercati locali: “All’inizio li nutrivamo soprattutto mandandoli al pascolo, anche se già integravamo la loro dieta con gli scarti dei birrifici e delle distillerie locali: c’è una varietà di mais locale, non geneticamente modificato, che piace molto ai maiali, è ricco di proteine e li fa ingrassare in fretta”, hanno raccontato i due alla rivista online Mother Jones.
A cambiare le cose è stata un’associazione, fondata da amici dei Withers, che combatte gli sprechi alimentari recuperando frutta e verdura che non è stata raccolta nelle fattorie o merce rimasta invenduta nei negozi: “Hanno cominciato a consegnare a noi quanto non era più utilizzabile per l’alimentazione umana”, spiegano i Withers. “Ogni giorno sono buttati via alimenti che non sono nemmeno scaduti, e sempre più volontari di diverse associazioni si occupano di raccoglierli e redistribuirli a chi ne ha bisogno”. E quando si sono trovati a corto di erba, i due giovani si sono resi conto che sfruttare gli scarti poteva essere un’idea vincente: “il mangime di qualità qui costa molto e non volevamo nutrire i nostri animali con mais o soia Ogm, così abbiamo cominciato a guardarci intorno per capire cosa poteva essere disponibile, da lì è stata una valanga”.
Oltre ai sottoprodotti della distillazione, che comunque hanno un certo valore, ci sono gli ortaggi scartati dai coltivatori, roba che andrebbe in discarica se i Withers non se ne occupassero. In un mese possono arrivare alla fattoria 30/35 tonnellate di vegetali che altrimenti finirebbero per contribuire all’inquinamento, “e invece così si trasformano in carne e fertilizzante naturale”, osservano i Withers. Che sono stati costretti a dotarsi di un grosso camion, e a fare anche più viaggi al giorno raggiungendo birrifici, distillerie, fattorie e negozi per raccogliere tutto quello che non serve più.
Probabilmente, osservano i due, la gente che mangia grazie agli alimenti invenduti di cui promuovono il recupero – visto che le derrate ancora utilizzabili sono redistribuite alla comunità – è più di quella che acquista la loro carne: “e in questo non ci guadagniamo niente, ma è comunque gratificante. E a noi arrivano tutti i prodotti che non sono più adatti per il consumo umano: il 90% di quello che diamo ai nostri maiali è in qualche modo uno scarto”. I Withers, infatti, continuano a comprare un po’ di mangime per assicurare che le scrofe abbiano una buona produzione di latte, “ma lo usiamo solo per un paio di settimane”, spiegano, “da quando i maialini sono svezzati, l’alimentazione è composta interamente di scarti”.
Non è tutto semplice: gli alimenti che arrivano dalla vendita al dettaglio spesso sono imballati e costringono a un lavoro extra per eliminare la plastica, “che spesso non è neanche riciclabile” osservano i Withers. E non è neanche detto che ci sia un risparmio dal punto di vista economico: “La realtà è che non è facile capirlo: è vero che non spendiamo per il mangime, e questo è certamente un risparmio, ma d’altra parte se consideriamo gli investimenti per organizzare la raccolta, non è esattamente gratuito”, spiegano. Però ci sono dei benefici che non si calcolano in dollari. E i Withers, che sono attenti anche alla qualità di vita dei loro animali e a promuovere un rapporto più sano con la carne avvicinando i consumatori anche agli aspetti più controversi del loro lavoro sono soddisfatti di fare quello che fanno “per il benessere dei nostri animali e per preservare l’ambiente in cui viviamo”. E altri allevamenti della zona stanno cominciando a seguirne l’esempio, sfruttando gli scarti delle locali fabbriche di cereali General Mills per alimentare i bovini.
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giornalista scientifica
La “riscoperta” dell’acqua calda…
In passato, nelle noste campagne, il maiale aveva esattamente questo preciso scopo qui: trasformava i nostri scarti alimentari e agronomici di nessun valore in prezioso grasso e carne.
Il riciclaggio per eccellenza.
Appunto. Ma come poteva non saperlo persone che da decenni hanno industrializzato tutto il processo di produzione alimentare e considerano gli altri popoli dei primitivi?
Alcune considerazioni su questo articolo.
Quello che viene descritto non è altro che la riproposizione del ruolo svolto dal maiale nelle migliaia di anni in cui ha vissuto a contatto con la specie umana: conversione degli scarti alimentari degli umani in proteine e in grasso nobili.
Detto questo nella realtà italiana e comunitaria ci sono due fattori di cui tenere conto.
C’è una stringente regolamentazione di cosa si possa o no utilizzare per nutrire gli animali destinati alla produzione di alimenti per l’uomo (divieto cannibalismo, divieto utilizzo rifiuti di cucina, pascolo su certi terreni, ecc).
Inoltre l’utilizzo di molti cosiddetti scarti (o sottoprodotti) è espressamente vietato (in toto o in percentuale) dalle regole imposte dai disciplinari DOP. E nella realtà produttiva della suinicoltura italiana i suini destinati al circuito DOP sono l’assoluta maggioranza percentuale.
Sig. Folla, Lei scrive: “Inoltre l’utilizzo di molti cosiddetti scarti (o sottoprodotti) è espressamente vietato (in toto o in percentuale) dalle regole imposte dai disciplinari DOP. E nella realtà produttiva della suinicoltura italiana i suini destinati al circuito DOP sono l’assoluta maggioranza percentuale.”
Con la “più grande truffa alimentare di tutti i tempi” (citaz. non mia) riguardo alla dop di Parma e San Daniele, davvero lei pensa che – eventualmente fosse per loro conveniente – gli allevatori si farebbero problemi a violare il “disciplinare dop”?
Quand’è che gli americani inventeranno la ruota???? Scusate il sarcasmo ma io avevo un mini pig e la sua principale alimentazione vegetale mi era regalata dai negozi, prodotti che non riuscivano più a vendere e sarebbero stati buttati via. I maiali sono stati da sempre nutriti anche con i nostri avanzi alimentari.
“scarti di lavorazione dell’industria alimentare e derrate rimaste invendute nei negozi”, considerate certe cose legalmente vendute negli USA (oscene), di qualità pessima e colme di additivi, immaginate che bella carne di qualità potranno avere quei maiali…
Le normative europee vietano espressamente di utilizzare scarti alimentari per i maiali; in proposito, Tristram Stuart, che da anni si batte contro lo spreco alimentare (e invito chi non lo conoscesse e avesse voglia a cercare la sua storia e i risultati che ha ottenuto), nel 2013 ha lanciato The Pig Idea, iniziativa che mira a modificare le leggi EU e che è ancora oggi attiva: https://feedbackglobal.org/campaigns/pig-idea/
Egregio Signor Prato – il Fummellier,
il mio intervento era volto unicamente ad inquadrare la problematica da un punto di vista normativo nello scenario italiano e comunitario.
Detto questo e visto che Lei ha tirato in ballo un’altra vicenda le posso candidamente rivelare che io sono uno degli Ispettori dell’ex Istituto di controllo che ad un certo punto sono stati “isolati” come anche il Direttore La Pira ha scritto in qualche suo articolo.
E che sono stati pure “ritenuti non idonei” alle selezioni svolte dal nuovo Organismo di controllo.
Quindi tornando alla sua domanda, anche se retorica (“davvero lei pensa… ?”), posso rispondere che è stata posta alla persona sbagliata, perché io non penso più nulla. Da mesi.
Sig. Folla, dal tono della sua risposta – magari sbaglio – “leggo” frustrazione e delusione, ed ovviamente non la sto “accusando” di nulla. Però mi permetta di farle presente un sentimento comune (anche il mio) che ho riscontrato in parenti, amici e conoscenti con i quali ho discusso della “questione dop”; il vecchio organismo di (non) controllo ha contribuito (concedendo ai suoi membri la totale buona fede, non avendo ancora una sentenza di un tribunale) a non accorgersi della frode da parte di una serie di elementi della filiera dop; il nuovo organismo di controllo propone un nuovo disciplinare che sostanzialmente fa in modo che la violazione delle regole che han portato allo scandalo, diventino la regola.
Orbene…a chi dovrebbe, un consumatore, dare fiducia? Capisce perché l’ipotesi di una ulteriore ed ipotetica violazione del disciplinare porti a considerare che sia più facile che non le rispettino?
Tutto qui.
Cordiali saluti
Iniziativa assolutamente lodevole, certamente da importare nel nostro paese.
Bisogna poi considerare due aspetti che non sono stati minimamente considerati nell’articolo: qualità nutrizionale e qualità microbiologica.
Qualità nutrizionale intendo che la frutta e verdura sono molto ricche di zuccheri semplici e questo può predisporre i suini a fenomeni di dissenteria.
Qualita microbiologica ricordiamoci sempre la nostra amata salmonella.
La questione è un po’ più complicata di come appare.
Il maiale è onnivoro, alla pari dell’uomo (lasciamo stare qui le considerazioni sulle caratteristiche di frugivoro della nostra specie).
All’uomo si consiglia una dieta varia e bilanciata, lo stesso vale per il maiale e così come ci sono valori nutrizionali di riferimento per l’uomo («Assunzioni di riferimento di un adulto medio (8 400 kJ/2 000 kcal)»), ci sono anche per i maiali che – anche al di là della normativa – non si possono certo considerare come una discarica vivente di alimenti invenduti.
Al di là dell’ovvia considerazione che scrofe gestanti e in lattazione hanno necessità nutrizionali diverse dai suinetti e dai maiali all’ingrasso e che a seconda delle genetiche le esigenze cambiano, la razione deve tener conto del bisogno nutrizionale e fisiologico dell’animale (sostanza secca, apporto energetico, proteine, grassi, fibre, profilo vitaminico e minerale…) cercando anche di contenere il materiale indigerito a livello intestinale, di ottimizzare il transito, di ridurre l’azoto nelle deiezioni e la diffusione ambientale di ammoniaca.
Insomma, che rimangano invendute grandi quantità di wafer alla crema, di carciofini sott’olio, di banane o di lattughe è un discorso, che siano di per sé idonee all’alimentazione equilibrata del maiale è un altro discorso, sia per il benessere dell’animale che per ottenere particolari risultati (contenuto in acqua e in grassi, pH, crescita corporea, peso, grasso di copertura…).
La razione deve essere calcolata per assicurare livelli nutritivi e quota proteica adeguate (alle genetiche di oggi, non a quella del maiale che si allevava cinquant’anni fa a livello domestico e mangiava sì di tutto), titolando i diversi nutrienti al fine di garantire un’alimentazione effettivamente bilanciata che tenga conto del benessere dell’animale e non solo della sua tendenza a mangiar suppergiù tutto quello che gli si dà…