Gentile redazione de Ilfattoalimentare.it scrivo per conto di un’azienda produttrice di pasta fresca la quale intende apporre un logo, un’immagine, un segno con la dicitura “Made in Italy”.

Fermo restando che le materie prime e la lavorazione sono fatte in Italia e alla luce della legge n°166 del 20 novembre 2009 (art. 16), l’azienda può liberamente e volontariamente apporre il logo? O c’è prima bisogno di una verifica, di una certificazione, di un’approvazione da parte di qualche ente?

Dopo varie telefonate a camere di commercio e al MIPAF le perplessità rimangono.
Donato Fidanza

Caro lettore,
la legge 166/2009 ha dato luogo a una serie di equivoci interpretativi già nella fase di decretazione d’urgenza, nel ferragosto di quell’anno.

A ben vedere, per l’utilizzo di indicazioni come “Made in Italy” e affini la norma prescrive che tutte le attività di lavorazione, produzione e confezionamento siano realizzate in Italia, ma non che anche le materie prime siano italiane.

Una pasta realizzata in Italia si qualifica perciò sempre come “Made in Italy” anche quando la semola sia in tutto o in parte di origine estera. Del resto, una sciarpa in seta può essere “Made in Italy” se pure i bachi provengono da lontano.

Invece la dicitura “100% Made in Italy”, o altre che esprimano tale concetto, invece postulano che anche la materia prima sia realizzata interamente in Italia.

In entrambi i casi, l’operatore non è tenuto a sottostare ad alcuna certificazione, ma è lui stesso il primo responsabile della veridicità delle indicazioni fornite.

 Dario Dongo (avvocato esperto di diritto alimentare)

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