Scrivo per alcune delcucidazioni in merito al reg. 775/2018 e torno all’annosa questione dell’origine del grano/farina. Un’azienda alimentare che utilizzi come ingrediente primario la farina e che riporti sulle confezioni la dicitura “made in Italy”, cosa deve dichiarare in etichetta se il fornitore di farina dichiara di usare mix di grani UE/non UE trasformati in farina in molini italiani?
Deve considerare la dicitura “Italia” perché è il paese dove avviene l’ultima trasformazione del prodotto?
Sebbene l’entrata in vigore sia prevista per aprile 2020 mi chiedo come sia possibile etichettare il prodotto nella maniera più corretta in tali condizioni.
Giovanna Cosentino
Risponde l’avvocato Dario Dongo, esperto in diritto alimentare.
Il regolamento “Origine Pianeta Terra” reg. UE 2018/775, definisce in termini del tutto generici le modalità di indicazione dell’origine o provenienza dell’ingrediente primario (>50%).
La predetta informazione, ai sensi del regolamento UE 1169/11, risulta obbligatoria in etichetta solo quando l’origine o provenienza dell’ingrediente primario sia diversa dall’origine del prodotto – vale a dire, il Paese ove ha avuto luogo la sua ultima trasformazione sostanziale – e di essa sia stata fornita notizia, in etichetta o pubblicità. Vantando, ad esempio, il “Made in Italy” di un alimento.
Con riguardo al quesito posto, l’etichetta della pasta che riferisca all’italianità della produzione e sia realizzata con semola italiana non sarà soggetta a obbligo di indicare la provenienza del grano da cui essa deriva. Per la semplice ragione che l’origine della semola – da intendersi come luogo di sua ultima trasformazione sostanziale – si identifica in Italia, ai sensi del Codice doganale UE.
Con buona pace della trasparenza delle informazioni in etichetta, che né Coldiretti né alcuna Associazione dei consumatori italiana si è premurata di affermare. Allorché Paolo Gentiloni, nella veste di facente funzioni del ministro dell’agricoltura, ha votato a favore dell’ambiguo regolamento UE 2018/775.
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Avvocato, giornalista. Twitter: @ItalyFoodTrade
Se non fosse una drammatica presa per i fondelli di tutti i consumatori europei, sarebbe ridicolo confondere il termine “origine, provenienza” con la fase di ultima trasformazione sostanziale degli ingredienti primari.
Ed il nostro benemerito ex ministro Martina, che ha taciuto acconsentito ed approvato questo atto dannoso per tutto il comparto agroalimentare italiano?
Una vera assurdità cucita sulla pelle dei consumatori ignoranti o presunti tali.
Spero vivamente che questo governo metta mano anche a questa ennesima “presa per i fondelli”
Il problema dell’origine è relativo in quanto l’origine nazionale del grano non ne certifica certamente la qualità….anzi. Se poi pensiamo di valorizzare la pasta non per la sua qualità tecnologica (elemento di valutazione oggettivo e scientifico) ma in funzione dell’origine del grano, allora è un altro discorso. Ricordo poi che il grano proviene dal seme. E se il seme non fosse italiano ma soltanto seminato in Italia ? Il grano sarebbe comunque italiano ? Curioso poi che il dibattito sia focalizzato sul grano duro è sull’olio ? È il caffè, a titolo esemplificativo ?
Scusi Alessio, ma perché quando si parla di ORIGINE e PROVENIENZA, c’è sempre qualche commentatore come lei che equivoca le normative per la trasparenza delle origini delle materie prime con la QUALITA’, che è altro parametro oggettivo che nulla c’entra con la provenienza del prodotto e le successive lavorazioni?
Se come consumatore desidero conoscere dove e con cosa è fatto un formaggio, un biscotto, una pasta, una passata di pomodoro, ecc.. perché dovrei equivocare la provenienza con la qualità come fa’ lei ed altri che focalizzano il tema sempre e solo sul grano duro e l’olio?
Lasciamo, lasciate concetti oggettivamente diversi e trattiamoli distintamente quando è il tema della discussione, altrimenti contribuiamo a confondere le idee e gli argomenti trattati.
Infine come consumatore super informato come tutti i connazionali, siamo a conoscenza che la pianta del caffè non è coltivata in Italia e come lo lavoriamo noi non lo sa lavorare nessuno al mondo, ma se sull’etichetta trovo scritta la qualità varietale della pianta, da dove proviene, dove viene torrefatto e confezionato sono/siamo molto soddisfatti.
Poi scelgo quello che più mi aggrada (la mia qualità); mentre la qualità di cui lei parla interessa solo pochi intimi tecnologi, per far rendere gli impianti di produzione, non squagliare la pasta in cottura e far lievitare il pane come un pallone gonfiato in pochissimo tempo.
Ezio, non nascondiamoci dietro un dito. Esiste la diffusa convinzione nei consumatori – anche quale conseguenza della massiccia campagna promozionale Coldiretti rilanciata e ampliata, senza alcuna verifica, dai mass media – che il prodotto nazionale sia sempre e comunque qualitativamente migliore e fornisca più ampie garanzie di salubrità rispetto al prodotto estero. Questa convinzione, spesso, ed in particolare nel caso dei cereali, non ha alcun fondamento. Il consumatore opta per il prodotto derivato dalla trasformazione di materia prima nazionale perchè è convinto ed è stato convinto che l’origine sia una garanzia di qualità e salubrità. I due aspetti. nel consumatore, sono intimamente legati nonostante quello che Lei intende far credere. Ed è questo il grande inganno dell’indicazione dell’origine della materia prima. Anzi trattasi di doppio inganno tenuto conto che l’incremento della domanda di prodotti ottenuti dalla trasformazione di materia prima nazionale, a fronte di un’offerta che è e rimarrà necessariamente limitata, rischia di far lievitare, senza valida motivazione, i prezzi di questa categoria di prodotto. Non solo, il produttore agricolo nostrano sarà anche incoraggiato ad abbandonare le buone pratiche agronomiche (che hanno un costo) tenuto conto che il suo prodotto sarà comunque considerato di qualità da un’ampia platea di consumatori. Il ragionamento, caro Ezio, è quindi molto semplice. L’indicazione dell’origine della materia prima avrebbe dovuto costituire la conclusione, logica, di un processo avente quale priorità il superamento delle criticità della produzione agricola nazionale (nel caso del frumento : strutture di stoccaggio inadeguate a segregare il prodotto in funzione delle sue caratteristiche qualitative, incapacità di garantire lotti di qualità omogenea all’Industria e gap proteico di almeno 2 punti rispetto al frumento estero). Ed invece, come al solito, si preferisce optare per misure che hanno un impatto elettorale piuttosto che lavorare sulle vere criticità del comparto.
Caro Alessio le svelo un segreto di marketing sulla qualità percepita daii consumatori ed è esattamente quello che lei ha descritto ma sbagliando la.mira, perché sono i consumatori stranieri a legare la qualità con l’origine italiana degli alimenti.
Mentre noi italiani siamo più sentimentali e lo spirito di appartenenza è una componente fondamentale nella scelta, ma la trasparenza è diventata ormai un valore aggiunto.
Se ne faccia una ragione anche lei, mentre la politica non c’entra, ma speriamo non faccia danni e sostenga il nostro made in Italy.
Trasparenza ? Allora indichiamo anche le caratteristiche qualitative dei grani italiani e esteri utilizzati per ogni lotto di pasta. Questa è la vera trasparenza che Coldiretti non accetterà mai perché dimostrerebbe inequivocabilmente che, mediamente, il grano nazionale ha caratteristiche qualitative inferiori ai grani esteri. I consumatori stranieri ? Non mi faccia lezione di marketing…… se uno statunitense o un giapponese acquista pasta italiana è perché ritiene giustamente che sia la migliore al mondo. Di certo non si preoccupa di sapere se il grano utilizzato sia italiano o meno.
Finisco la sua ultima frase perché incompleta nella sostanza e nella realta.
“se uno statunitense o un giapponese acquista pasta italiana è perché ritiene giustamente che sia la migliore al mondo. Di certo non si preoccupa di sapere se il grano utilizzato sia italiano o meno.” perché lo ritiene scontato.
Così come dovrebbe esserlo se il produttore dichiara pasta italiana, made in Italy ed anche esponendo la bandiera tricolore.
Altrimenti è una bufala.
Opinione di un cuoco: a livello qualitativo (sapore, consistenza)la pasta prodotta con solo grano italiano è decisamente migliore (richiede maggiore attenzione in cottura, e la consistenza ottenuta da una essiccazione molto più lenta si sente eccome..) chiaramente con un prezzo maggiore…i grandi pastifici tagliano le farine perché non riuscirebbero a produrre senza l’uso di farine con più proteine, con il loro sistema produttivo…
Per il resto il consumatore avrebbe il diritto di sapere dall’etichetta qualsiasi informazione sul prodotto che acquista, anche se questo comporta andare contro le lobby dellalimentare
Peccato che la pasta con solo grano italiano rispondente alle caratteristiche volute dai consumatori sia un prodotto di nicchia…..perché il 95 percento del grano italiano non potrebbe consentire di produrre semole e pasta di solo grano nazionale. Ma lei lo sa che il 30 percento del grano prodotto in Sicilia e il 15 percento del grano prodotto in Puglia non rispetta le caratteristiche minime della legge 580 e che può essere utilizzato solo se miscelato con in grani importati ? Non lo dico io ma il Crea che dipende dal ministero delle politiche agricole ? E lo sa che mediamente il grano nazionale ha il 2 percento di proteine in meno rispetto ai grani importati ? La pasta fatta di solo grano nazionale è un prodotto di nicchia perché usa soli i migliori grani nazionali….. cioè una percentuale che rappresenta il 5 percento della produzione nazionale.
Mi sembra che il dibattito sia slittato su questioni formali poco importanti.
Credo che la soluzione da chiedere ai legislatori sia quella di aggiungere alla dicitura “Made in….” l:indicazione “Grano utilizzato proveniente da…. % e… %….”.
Entrambi i dati, seppure indipendenti, sono importanti e il consumatore ha il diritto di sapere.
Gent.li Cristiano e Gianni, negli ultimi anni su questa testata, abbiamo discusso molto dei parametri di qualità attribuiti alla farina ed alla semola di grano per la pasta italiana ed eccezion fatta per qualche agronomo schierato e sicuramente alcuni tecnologi specialisti nella produzione industrializzata, quasi tutti i lettori ed i consumatori italiani sono d’accordo per la trasparenza e l’indicazione dell’origine delle materie prime in etichetta.
Poi è risultato chiaro ed evidente che non è il tenore proteico a fare la differenza, ma la forza del glutine che struttura la massa nell’impasto ed un 1-2% in più o meno di proteina incidono più nella strategia commerciale che nella produzione.
Gent. Ezio, siamo tutti d’accordo sulla necessità di più trasparenza in etichetta, però basta consultare un sito web di un mulino italiano per rendersi conto che le miscele di farine che creano servono solo a facilitare la produzione. Questo lo dico avendo fatto diversi corsi sull’uso delle farine.
Un’altra curiosità è che uno dei più grandi produttori di pasta con stabilimento di produzione all’estero ( Messico)produce pasta con grani quasi sicuramente solo stranieri ma sfrutta il soundig italiano. È corretto?
Un esempio infelice per noi purtroppo è stato sentire pubblicizzare la catena di fast-food : il nostro hamburger fatto con il 100/100 con carne italiana, quando era ovviamente solo la trasformazione fatta in Italia.
Trovo scorretto difendere le multinazionali che impongono prezzi ai produttori di materie prime(da fame comparto agricolo) monopolizzando il mercato.
Distinti saluti
Sono totalmente d’accordo con lei e mi sono sempre battuto per la trasparenza ed la valorizzazione delle nostre pregiate materie prime, unite al nostro apprezzatissimo saper fare in tutti i comparti alimentari.
I miei punti di riferimento sono Carlo Petrini ed alcuni pionieri poco noti dell’agricoltura biologica italiana.