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MacelliA proposito dell’articolo sul problema del Covid-19 che si è diffuso con una certa facilità nei macelli degli Stati Uniti e in altri Paesi, pubblichiamo una nota di Aldo Grasselli della Federazione Veterinari-Medici-Farmacisti e Dirigenti Sanitari che fa il punto sulla situazione in Italia.

In queste ultime settimane si sono registrati alcuni focolai di Covid-19 tra gli addetti alla macellazione in alcuni impianti negli USA e anche in UE. Gli eventi possono avere aspetti comuni oppure essere generati da fattori molto diversi. Questi eventi di contagio di lavoratori sono comuni anche tra gli addetti in altre filiere, tuttavia, hanno avuto vasta eco ancorché abbiano interessato poche centinaia di persone, su milioni di infetti.
Focolai come quelli che si sono verificati tra i lavoratori dei macelli possono avere diversi significati, per poter dare un giudizio fondato sul fenomeno occorre inquadrarlo secondo i criteri tipici delle indagini epidemiologiche.

Cutting meat in slaughterhouseIn primo luogo dobbiamo tenere presente che il comparto alimentare durante la pandemia è stato più attivo del solito anche per la psicosi che ha portato a fare incetta di alimenti, quindi una delle cause potrebbero essere stati più intensi e serrati i ritmi di lavoro.
Un altro fattore di rischio è indubbiamente legato alla particolare atmosfera degli ambienti di macellazione o sezionamento delle carni dove si fa largo uso di acqua per lavare e pulire al fine di tenere sotto controllo la flora batterica che si concentra in quegli ambienti o particolarmente insalubri per la presenza di feci e sangue animale e conseguentemente l’elevata umidità e il maggior tenore di vapore possono aver aumentato la diffusione del virus da un soggetto asintomatico o paucisintomatico mediante “droplet”.
Non dimentichiamo però che proprio per le condizioni sopra richiamate i lavoratori degli stabilimenti di macellazione devono essere muniti di protezioni anti infortunistiche e di mascherine e visiere per proteggere dall’aspirazione di patogeni.

In ultimo non possiamo nascondere che la macellazione è un lavoro faticoso e pericoloso che generalmente viene assegnato a lavoratori immigrati, scarsamente protetti dal punto di vista contrattuale e sindacale, spesso reclutati da sedicenti “cooperative” che mascherano forme di caporalato e che assicura bassi salari.
Questi lavoratori, quindi, come molti altri della filiera agricolo-zootecnico-alimentare, sono lavoratori poveri, che vivono in case umili o addirittura in baracche fatiscenti, spesso sovraffollate, ove la promiscuità concorre a favorire la diffusione di patologie infettive e contagiose, massimamente se altamente contagiose come il Covid-19.
Questo, ancora una volta ci fa capire l’importanza dell’art. 32 della nostra Costituzione repubblicana che identifica come unico “diritto fondamentale” quello alla salute, individuale e collettiva, degli italiani e di ogni persona presente sul nostro suolo nazionale. Perché se sono sani gli ultimi lo sono con maggiore sicurezza anche i primi.

Aldo Grasselli, presidente Federazione Veterinari-Medici-Farmacisti e Dirigenti Sanitari

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Ambrogio Romano
Ambrogio Romano
22 Maggio 2020 19:31

dichiarazione elusiva: In Italia ci sono rilevanti impianti di macellazione nelle zone dove è stata maggiore la circolazione virale. Non ci sono stati casi o non si è stati capaci di rilevarli? Il problema dei lavoratori in cooperativa esiste anche in Italia e il contagio a livello di macello poi può dare focolai secondari nelle famiglie, a differenza di quelli nelle residenze assistenziali. Forse non si sono fatti i tamponi?

gianni
gianni
23 Maggio 2020 14:59

Secondo le dichiarazioni di rappresentanti sindacali dei lavoratori del settore , riportate da Brescia today, in Italia c’è stato un solo caso di alcuni
lavoratori positivi ,in un macello pugliese subito trattato secondo i protocolli.
Non c’è motivo di vedere complotti ma nella pianura padana da febbraio c’è una tale nebbia di incertezza informativa che bisognerà aspettare per avere certezze su chi ha fatto cosa e perchè.
Piuttosto io trovo opprimente la riconferma del sig. Grasselli, che ringrazio per la schiettezza, che questi mega macelli sono dei gironi infernali danteschi in cui si mescolano profonde ingiustizie sociali ed atmosfere fisiche avvelenanti, tutti elementi indispensabili per il nostro benessere secondo la visione maggioritaria, perchè di questi inferni ne abbiamo anche qui vicino , in Nord-Italia.

Caci8aro
Caci8aro
25 Maggio 2020 10:09

“la macellazione è un lavoro faticoso e pericoloso che generalmente viene assegnato a lavoratori immigrati”, ecco, perchè questo non avveniva fino a diciamo 30 anni fa, se non in scarsa misura?
Questa è la stessa risposta che ormai si legge in tanti lavori legati alla filiera dle cibo…cibo che molte persone sembrano aver dimenticato, di fronte ai loro iPhone, essere alla base della loro esistenza e salute.

Valentina
Valentina
5 Giugno 2020 09:18

Quanto detto vale certamente per i lavoratori dei grandi macelli, fuori dalle grandi città, dove ancora esistono le piccole macellerie familiari, non funziona così. Sarebbe utile porre un accento al lavoro dei veterinari delle Asl e a quello che succede realmente nei grandi macelli a livello igienico. Quello che per il banco del macellaio è uno scarto quando possibile viene inviato nei grandi stabilimenti per fare scatolette.

Marco Reverberi
Marco Reverberi
5 Giugno 2020 17:17

Temo che tutto questo affondi le radici in tempi non sospetti. Al di là degli ambienti, delle regole sanitarie, dall’inquadramento e trattamento dei lavoratori, si pone inevitabilmente il problema di un comparto che produce tonnellate e tonnellate di carne senza rispettare la reale richiesta di mercato, sovraproducendo continuamente in attesa che ci sia il consumo. Esattamente come la pesca, la produzione indiscriminata porta a rischi enormi in termini sanitari, ambientali ed infine sociali. Alla fine, secondo il sistema produttivo attuale, prima o poi qualcuno acquisterà quella scatoletta, no?. Questo porta per forza di cose ad incrociare mille problemi di natura diversa, magari non direttamente legati alla diffusione specifica di un virus, ma certamente da affrontare.