“Sorvolando sulla pancetta nella Carbonara… tutti questi prodotti rappresentano il peggio dell’Italian Sounding. È inaccettabile vederli sugli scaffali del market del Parlamento Europeo. Ho chiesto di avviare subito le verifiche.” È la ‘denuncia’ che il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste Francesco Lollobrigida ha pubblicato sulla sua pagina Facebook, mentre si trovava a Bruxelles, per il Consiglio UE Agrifish, si è imbattuto in alcuni vasetti di salse alla carbonara e alla bolognese esposte sugli scaffali del market Delhaize del Parlamento Europeo.
Secondo il Ministro si tratterebbe del “peggio dell’Italian Sounding”, forse per la scelta (o il crimine, ai suoi occhi) di utilizzare pancetta al posto del guanciale e panna al posto delle uova. Ma siamo sicuri che si tratti davvero di un caso di Italian sounding? Il fenomeno infatti consiste nell’uso di parole così come di immagini, combinazioni cromatiche, riferimenti geografici e marchi evocativi dell’Italia per promuovere e commercializzare prodotti che in realtà non sono Made in Italy o sono contraffatti.
Gli ingredienti della carbonara “incriminata”
A un’occhiata superficiale, quindi, si potrebbe pensare che la carbonara di Delhaize sia effettivamente un caso di Italian sounding: c’è una ricetta dal nome italiano ma modificata, c’è la bandierina italiana. Però, dalla semplice lettura dell’elenco ingredienti presente in etichetta si scopre che la carbonara della discordia è fatta – tra gli altri – con il 15% di pancetta affumicata, il 3,7% di Pecorino, il 2,4% di Grana Padano DOP, tutti italiani. Non è indicata l’origine del latte intero e del 39% di panna, ma non è per niente improbabile siano italiane, anche perché l’azienda produttrice della salsa incriminata è italianissima, a ha sede a Felino (in provincia di Parma).
“Un prodotto realizzato da un’azienda nel cuore della food valley emiliana, con gli ingredienti caratteristici sicuramente di origine italiana (che può essere presunta anche per il resto della materia prima) non è qualificabile come Italian sounding.” – spiega Roberto Pinton, esperto di produzioni alimentari.
Insomma, più che a un caso di Italian sounding, siamo davanti a un’azienda italiana a cui è stato commissionato da una catena della grande distribuzione belga un prodotto adattato al gusto locale: un’usanza comune in tutto il mondo. Anche i nostri supermercati, in fondo sono pieni di prodotti di origine straniera in versione italianizzata o occidentalizzata. La stessa cosa fanno da sempre e spontaneamente i ristoranti etnici, pensiamo al sushi con il formaggio spalmabile e al gelato fritto, solo per fare un paio di esempi classici.
Seguendo il ragionamento del Ministro, se vietassimo alle aziende straniere (in che modo?) di proporre ricette italiane modificate per andare incontro al gusto locale, forse dovremmo impedire alla Star di produrre i Saikebon, i noodles istantanei dal nome orientaleggiante. Giusto?
© Riproduzione riservata Foto: Francesco Lollobrigida via Facebook
Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.



A me non interessano le leggi ne tantomeno cosa fanno gli altri paesi. Il fatto è semplice, le ricette vanno rispettate, la carbonara come il resto ha una ricetta ufficiale e regolarizzata e riconosciuta per legge, se poi una ditta italiana fa qualcosa modificata per l’estero la chiami in altro modo e non carbonara. Chiedete queste cose a Francesco Panella ad esempio o ad Antonino Cannavacciuolo. Le tradizioni vanno rispettate altrimenti ci ritroviamo il miele italiano inserito nelle sostanze zuccherine insieme ad altra schifezza che non è miele ma viene denominata tale. Auguri Italia.
La carbonara non è assolutamente riconosciuta “per legge”: non esiste nessun disciplinare, anzi è una ricetta dalla chiara influenza statunitense, tanto che, come ricostruito dallo storico Alberto Grandi la prima ricetta scritta è apparsa a Chicago nel 1952 e originariamente era fatta con il bacon, le uova e il gruviera. La ricetta con uova, guanciale e pecorino è molto più recente.
Il bello di una cucina viva e che si inventano sempre nuove ricette.
La carbonara, il tiramisù sono tutti piatti che sono nati nel dopoguerra sfido altre cucine del mondo a presentare altrettanto.
Questa volta Lollo ha toppato.
Il fatto è che anche in Italia si cucina un mucchio di roba poco sana spacciandola per aderente alla dieta mediterranea.
Viva il minestrone.
E’ un po’ bizzarro che un intervento che sollecita il divieto (presumibilmente in base a una legge, non è che si possa vietare qualcosa se non in forza di una legge) di vendere all’estero un prodotto la cui ricetta si sostiene “riconosciuta per legge” (e così proprio non è, non c’è nessuna legge che imponga di cucinare secondo un metodo specificato da chicchessia la pasta alla carbonara, ma nemmeno le lasagne alla bolognese o i canederli) inizi con un perentorio “A me non interessano le leggi”.
Alle imprese, invece, per fortuna, delle leggi interessa, eccome: sono le leggi a evitarci il far west e a dare certezza a operatori e consumatori. Sarebbe bene interessasse ache ai ministri.
Parafrasando quanto viene imporpriamente attribuito a Voltaire, «Non ordinerò mai una pizza all’ananas, ma difenderò fino alla morte il diritto di un pizzaiolo di proporla nel suo menu», e ciò fino a quando non ci saranno delle leggi (che pure a Lei non interessano) che lo vietano in nome di un qualche superiore interesse.
Cannavacciuolo mi sta pure simpatico, ma è lo stesso che nel menu di Villa Crespi propone il “Tonno vitellato” (non le sfuggirà che la ricetta tradizionale prevede, invece, del “Vitello tonnato”) il “Babà…misù” (che non è nè un babà nè un tiramisù) e il “Sufflè di pastiera con contorno” (che farebbe fare un salto sulla sedia a qualsiasi partenopeo).
Non lo citi, quindi, a sostegno della presunta immutabilità di una ricetta (peraltro inventata da soldati statunitensi): il suo successo è legato proprio alla creatività con cui reinterpreta i piatti secondo invidiabili estro e competenza.
Occupandomi professionalmente di diritto alimentare, Le posso assicurare che nessuna norma riserva a Canavacciuolo nè ad altri la facoltà di proporre personali interpretazioni di ricette che altri si accontentano di replicare fedelmente.
Ormai come popolo riusciamo a indignarci solo per il cibo.
Quando la smetteremo di indignarci per cose del genere saremo finalmente degni di essere un popolo. Tra tanta bellezza, tra tanto orrore, noi italiani troviamo il tempo di ingigantire cose insignificanti e di farne fenomeni da tg e parlamento. Il cibo, le ricette, il guanciale o la pancetta… sembriamo i personaggi di una canzone che Gaber non ha avuto tempo di scrivere.
Se non diamo rilievo alle parole di un ministro a chi dobbiamo dare retta?
Ho trovato un ” sugo alla carbonara” confezionato in un banco frigo italiano fatto da una ditta italiana nota, con dentro cose che vorrei non aver visto come la panna. Tutto fatto in Italia.
Mi faccio solo una domanda : perché?
Perché molto probabilmente seguono una ricetta fedele all’originale..
Non per fare pubblicità a Barilla, ma segnalo un video sulle origini della carbonara che ha fatto realizzare qualche tempo fa.
https://www.youtube.com/watch?v=1ItOwxKN8G8.
È un po’ romanzato, ma sostanzialmente veritiero, oltre che ben girato.
Nel volume “La cucina italiana non esiste” (Mondadori, 2024, raccomandato, si veda https://ilfattoalimentare.it/la-cucina-italiana-non-esiste-libro-alberto-grandi-daniele-soffiati.html) Alberto Grandi e Daniele Soffiati titolano un capitoletto “La carbonara: un piatto americano nato in Italia” e un capitolo “L’Italia è una repubblica democratica fondata sulla cucina tipica dalle origini inventate”.
La prima citazione della carbonara in un ricettario risale al 1952, ma era in una guida dei ristoranti di un distretto di Chicago, che sta nell’Illinois.
In Italia la prima citazione risale al 1954 su “La cucina italiana”, ma la ricetta, invece del pecorino, prevedeva il groveira, che si produceva e si produce nel distretto di Gruyère, nel cantone di Fribourg, in Svizzera.
Altre sono le questioni inaccettabili..
altra cantonata del ministro,sarebbe il caso che si informi prima di ergersi a paladino del made in italy dato che in questo caso l’azienda produttrice è italiana