Coldiretti il 13 luglio 2011 presentava alla stampa la nuova passata di pomodoro Pomì L+ descrivendolo come prodotto in grado di “contrastare l’invecchiamento e le malattie cardio-vascolari”! Il miracolo del pomodoro anti-aging era collegato all’elevata quantità di licopene stimata nel 50% in più rispetto agli altri prodotti concorrenti.
Quando in agosto inizia la vendita di Pomì L+ nei supermercati si scopre che il contenuto di licopene indicato sull’etichetta è pari a 20 mg/100g, un valore pressoché equivalente a quello di una normale passata di pomodoro (basta consultare le tabelle dell’Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione per rendersene conto).
Pomì L+: come si giustifica il claim?
Ma allora come si concilia lo slogan della campagna che punta tutto sulla presenza del 50% in più di licopene? Un’esagerazione pubblicitaria per catturare in modo furbesco l’attenzione dei consumatori? Un abbaglio di Coldiretti che ha fatto male i calcoli? Un’operazione studiata a tavolino per aumentare il prezzo del pomodoro? Una strategia per spiazzare i concorrenti?
Le risposte possono essere molteplici. Per chiarire la situazione abbiamo inviato al Giurì dell’Autodisciplina pubblicitaria un documento firmato dalla Stazione sperimentale per l’industria delle conserve alimentari di Parma (il più autorevole istituto italiano specializzato in questo tipo di analisi) con i risultati della ricerca che confronta la presenza di Licopene in 4 campioni di passata di pomodoro: Cirio la Verace, Le conserve della Nonna, Coop e Pomì L+.
Secondo le analisi il contenuto di licopene espresso come residuo refrattometrico in mg/kg di Pomì L+ è del 4% superiore rispetto a quello di Coop e dell’11% superiore rispetto alla passata Cirio la Verace. Si tratta di valori ben lontani dal 50 % ipotizzato nella pubblicità di Pomì L+.
Il Giurì assolve la passata
Queste prove non sono riuscite a convincere il Giurì che, forse onubilato dalle memorie dei legali di Pomì, ha negato l’evidenza dei numeri e, con una capacità dialettica che farebbe invidia al famoso avvocato Azzeccagarbugli di manzoniana memoria, ha rigettato la nostra richiesta di censura.
La tesi è che “le risultanze prodotte hanno dimostrato la presenza nel pomodoro utilizzato da Pomì, di un quantitativo di licopene del 50% in più rispetto ai pomodori tradizionali lavorati in industria o per consumo fresco da tavola”.
In altre parole si dice che la passata, ottenuta concentrando il succo do pomodoro, ha un livello di licopene superiore rispetto al prodotto fresco e quindi ecco spiegato il valore del 50% in più.
Secondo il Giurì “l’incremento esiste ed è riferito alla media del mercato e non a singole marche”. Prendiamo atto di questa interessante teoria che riesce a ribaltare l’evidenza dei numeri. Per il futuro è auspicabile un corso di aggiornamento accelerato per il team che ha esaminato la vicenda oppure, la consultazione di un qualsiasi esperto in grado di interpretare un certificato di analisi rinunciando all’elaborazione di nuove teorie statistiche.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.