Anche nel comparto alimentare sono sempre più numerosi i lavoratori occupati in condizioni di semi schiavitù, e i lavoratori bambini. La denuncia arriva da Freedom United, un’organizzazione internazionale impegnata contro le moderne forme di schiavitù, sulla base del censimento effettuato dal Ministero del Lavoro statunitense sui prodotti per i quali sono segnalati abusi e le aree del mondo da cui provengono. I dati più recenti, resi pubblici pochi giorni fa, mostrano che i casi di gravi violazioni dei diritti dei lavoratori sono sempre di più: per la precisione trentasette in più dell’anno scorso, per un totale di 204 prodotti in ottantadue Paesi.
Freedom United ha tradotto il corposo rapporto ministeriale in una mappa interattiva (vedi sotto) che permette di visualizzare facilmente i Paesi e i beni implicati, ma anche le campagne organizzate per cambiare le cose. Obiettivo dell’iniziativa, spiega la responsabile comunicazione dell’associazione Ellie Finkelstein, “informare i consumatori per permettere loro di fare scelte consapevoli ed eventualmente di fare pressione sui propri governi”.
Lo sfruttamento di lavoratori nel mondo
Secondo il rapporto americano, a essere coinvolti nel lavoro forzato sono 27,6 milioni di persone – il 57% sono uomini – tra cui otto milioni di bambini. Tra le diverse categorie merceologiche, l’agricoltura è al primo posto sia per quanto riguarda il lavoro forzato che il lavoro infantile, distanziando il settore manifatturiero e quello minerario. I prodotti che si contraddistinguono per il maggior numero di segnalazioni sono canna da zucchero, allevamenti e caffè, seguiti dai prodotti ittici (nell’elenco, che già comprendeva i gamberetti e varie specie di pesci, si sono aggiunti quest’anno i calamari).
Ma i prodotti ‘incriminati’ sono molti, dai più noti, come l’olio di palma proveniente da Indonesia e Malesia, il cacao, la frutta esotica e non, e la frutta a guscio, a verdure come i pomodori o i broccoli, ma anche tè, riso, peperoncino piccante o spezie come i chiodi di garofano dalla Tanzania o la vaniglia che arriva da Madagascar e Uganda. Il rapporto tiene conto anche dei processi di trasformazione, per mostrare sotto quale forma questi prodotti arrivano sugli scaffali del supermercato e sulle nostre tavole.
La mappa di Freedom United permette di identificare i prodotti che più spesso coinvolgono questo tipo di lavoratori o i Paesi dove i lavoratori sfruttati sono più numerosi, ma anche le azioni in corso per arginare il fenomeno. Al primo posto (ma solo marginalmente nel settore alimentare) ci sono Cina e India, e poi Brasile, Birmania, Cambogia, Ghana, Indonesia, Malesia, Messico, Tailandia, e molti altri.
Il lavoro minorile
E scorrendo il rapporto, corredato da una ricca bibliografia, ci sono esempi di quello che accade, spesso in violazione delle leggi nazionali. Come in Malesia, “dove le informazioni raccolte dai media e da organizzazioni non governative segnalano decine di migliaia di bambini coinvolti nella coltivazione dell’olio di palma, e indicazioni di lavoratori, spesso migranti non tutelati all’interno delle piantagioni”, mentre in Tailandia il lavoro forzato nel comparto alimentare riguarda soprattutto la pesca “dove sono impegnati decine di migliaia di lavoratori migranti che arrivano dalla Birmania, dalla Cambogia e dal Laos, costretti a lavorare fino a venti ore il giorno per una paga modesta e inesistente, senza i servizi e l’assistenza necessaria e spesso vittime di violenze”. In India la situazione drammatica riguarda i coltivatori di canna da zucchero “che lavorano regolarmene 12/14 ore consecutive nei campi per mesi senza un giorno di riposo”.
Nell’elenco sono presenti anche stati apparentemente insospettabili come i Paesi Bassi, accusati di utilizzare per la produzione della cioccolata cacao e pasta di cacao proveniente da Ghana e Costa d’Avorio – da cui arriva il 60% della produzione mondiale di cacao – spesso ottenuti attraverso lavoro forzato o infantile, mentre la Turchia è sotto esame per l’utilizzo del lavoro infantile in molte coltivazioni come nocciole (ce ne siamo già occupati in questo articolo su nocciole turche e lavoro minorile) e noccioline, ma anche agrumi e barbabietole da zucchero. E gli stessi Stati Uniti, denunciano gli autori del rapporto, sono responsabili di violazioni dei diritti dei lavoratori e del divieto di lavoro minorile, particolarmente negli impianti di lavorazione della carne e del pollame.
L’Italia e il caporalato
E l’Italia? È inserita nella mappa di Freedom United con una scheda dedicata al caporalato nel settore agricolo, lo sfruttamento di lavoratori fragili in genere migranti, spesso con il supporto della criminalità organizzata: secondo Freedom United circa un quarto dei lavoratori agricoli nel nostro Paese sarebbe a rischio di sfruttamento e abusi. Poi, ci sono anche buone notizie: il rapporto segnala che il lavoro minorile nella produzione di mirtilli in Argentina, di gamberetti in Tailandia o di sale in Cambogia non è più segnalato perché è ormai ridotto a casi sporadici. E intanto il Ministero statunitense finanzia vari progetti mirati a migliorare la tracciabilità dei prodotti per contrastare la diffusione di queste violazioni. Ma anche così l’immagine che emerge dalla consultazione di questi dati è sconfortante, e il lavoro che resta da fare davvero molto.
© Riproduzione riservata Foto: Fotolia, Freedom United
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giornalista scientifica