Il ministro per le politiche agricole, forestali, alimentari e del turismo Gian Marco Centinaio ha di recente mostrato un’apertura verso l’ipotesi di riformulare la normativa italiana, che impone la data di scadenza “forzata” per il latte fresco. La legge è ritenuta la causa di spreco per enormi quantità di latte italiano di ottima qualità. L’avvocato esperto di diritto alimentare Dario Dongo ,aveva già presentato apposito reclamo alla Commissione europea nel 2018, senza ricevere riscontri più volte sollecitati. Abbiamo chiesto proprio a lui di chiarire la questione.
Allo stato attuale cosa prevede la normativa italiana?
La legge 3.8.04, n. 204 (1) stabilisce in 6 giorni oltre a quello de confezionamento, la durabilità del “latte fresco pastorizzato” e del “latte fresco pastorizzato di alta qualità”. Tale misura non è giustificata da esigenze sanitarie né vale a garantire la qualità del latte.
Chi decide quanto scade un alimento?
Secondo le regole generali che vigono in Europa, spetta all’operatore del settore alimentare definire sotto la propria responsabilità il termine entro il quale il prodotto può venire consumato in condizioni di sicurezza. (2). La data di scadenza (“da consumare entro…”) e il termine minimo di conservazione (“da consumare preferibilmente entro…”) – per i prodotti che non siano rapidamente deperibili dal punto di vista microbiologico – vengono perciò stabilite da ciascun operatore a seguito di adeguata analisi del rischio e delle opportune prove di shelf life.
Perché la legge italiana dovrebbe essere modificata?
La disposizione italiana in esame è priva di alcun fondamento giuridico. Sia perché in contrasto con le regole generali sopra accennate, sia in quanto la legislazione europea di settore non contempla la facoltà degli Stati membri di introdurre a proprio piacimento i termini di durabilità dei prodotti lattiero-caseari. La conseguenza di questa norma è lo spreco di latte italiano di qualità, realizzato in impianti moderni di pastorizzazione, la cui shelf life è superiore di almeno un paio di giorni rispetto al termine fissato per legge.
Contro questa norma cosa è stato fatto?
Il giorno 03/05/2018 la Commissione europea ha ricevuto notifica di un reclamo, a firma del sottoscritto, per la norma italiana sulla scadenza forzata del latte fresco. I motivi sono da ricercare per la manifesta violazione di ben tre regole europee :
– TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, articoli 34 e 36),
– General Food Law (reg. CE 178/02),
– Food Information Regulation (reg. UE 1169/2011).
Nell’occasione, ho informato la Commissione circa l’omessa notifica a Bruxelles della legge 204/04, in violazione delle regole istituite con la direttiva 98/34/CE e successive modifiche (da ultimo, dir. 2015/1535/UE). Vale a dire che anche questa legge – al pari del decreto legislativo sulla sede dello stabilimento e dei vari decreti sull’origine di pasta, riso e pomodoro – è inapplicabile.
La pubblica amministrazione e le autorità giudiziarie, secondo consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, hanno infatti il dovere di disapplicare le norme tecniche nazionali non notificate a Bruxelles. L’analisi del reclamo – ove si lamenta, tra l’altro, una restrizione quantitativa agli scambi nel Mercato Unico mediante norme eccessive rispetto al diritto comune in materia di etichettatura e sicurezza dei prodotti alimentari – soggiace alla responsabilità dell’unità competente per la sorveglianza del Mercato Interno, presso la Direzione generale GROW della Commissione Europea. L’esame del reclamo deve iniziare dopo 45 giorni dalla sua presentazione ed è quindi stato più volte sollecitato.
A che punto è la segnalazione?
La procedura avviata con il reclamo a Bruxelles avrebbe dovuto prendere il via mediante l’invio di una lettera al Governo Italiano (in questo caso proprio al ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, Mipaaft), da parte della Commissione europea. Per una formale richiesta di chiarimenti a cui l’autorità nazionale ha dovere di rispondere un termine di 60 giorni. A esito dell’esame della questione e del dialogo con le autorità dello Stato membro, la Commissione può quindi decidere di commutare la procedura in ‘EU-pilot’. Una procedura di pre-infrazione nei confronti dell’Italia – con richiesta di abrogare o comunque modificare la legge nel senso richiesto – doveva venire avviata da oltre un anno. In modo da definire la questione senza bisogno incorrere in una procedura di infrazione, la quale può anche condurre a una sanzione di rilievo. Ma Bruxelles temporeggia, mentre in Italia si continuano a sprecare cisterne e cisterne di latte fresco.
Il 2.7.19 ho spedito un ulteriore sollecito a Hans Ingels, capo della Unit B1 – Single market policy, mutual recognition and surveillance presso la Dg GROW. Per conoscenza a Martin Selmayr, segretario generale della Commissione europea, e a Timo Pesonen, vice direttore generale Dg GROW. Buttare il cibo è peccato, insegnavano i nostri nonni che hanno visto la fame. Gettarlo perché costretti da una legge è ancor più grave.
(1) “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 giugno 2004, n. 157, recante disposizioni urgenti per l’etichettatura di alcuni prodotti agroalimentari, nonché in materia di agricoltura e pesca”
(2) Fatte salve le rare ipotesi di apposite previsioni nelle normative europee verticali, cioè riferite a singole filiere o categorie di prodotti (es. uova fresche, olio extravergine d’oliva)
Per ulteriori approfondimenti si veda GIFT, Great Italian Food Trade.
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[sostieni]
Beh, vedo che per quanto riguarda i tempi delle procedure, L’UE è “perfettamente allineata” all’Italia… 😉
Meno male che abbiamo l’IMMENSO Avv. Dongo che non è allineato a questo mondo così moderno e sprogredito.
Mica comprate il latte direttamente in azienda. A volte accade che il latte fresco perfettamente conservato (con termometro professionale fisso a 4º) si alteri, perché magari non è stata assicurata la linea del freddo durante trasporto e distribuzione. Non usiamo paroloni applicativi norme e cavilli del progresso x nascondere alcune realta’. Gli avvocati di diritto alimentare non sono dei sanitari al servizio di quello che si chiama igene e sicurezza. Studiano appunto i cavilli e le normative legali mica stanno in un laboratorio di microbiologia. Per favore.
Caro Massimo,
appunto perché i legislatori non stanno in un laboratorio di microbiologia, non può essere la legge a stabilire la shelf life ma chi produce (ovviamente entro i limiti di sicurezza igienico sanitaria) che sono ben definiti da procedure e tecnologie di produzione ed un monitoraggio continuo. L’eventualità dell’interruzione della catena del freddo che citi può accadere anche se la scadenza è di 6 giorni come dice la legge. Gli avvocati esperti in diritto alimentare si avvalgono anche di esperti in tecnologie alimentari e l’avv. Dario Dongo quando parla e scrive lo fa con cognizione di causa. Per favore
Vittorio ha ragione, però omette di dire che la legge italiana è stata dettata da ragioni del tutto politiche, oltre che da inconfessate preoccupazioni igieniche sullo stato igienico di allevamenti , diti produttivi e sistemi distributivi.
Possibile che tutta Europa segua i regolamenti secondo cui la data di consumabilita’ è fissata a discrezione e responsabilita del produttore e l’italia, piu” intelligente ” di tutti faccia diversamente? Poi, bisogna che intervenga la denuncia alla CE dell’avvocato Fingo per far rimuovere la stortura coldirettiana con intervento comunitario?!!
Siamo alle comiche !!
È a che sul latte microfiltrato Vittorio si ricorda che si è fatta una guerra assurda sulla durata e sulla freschezza, pilotata in difesa del mercato di una assurda denominazione di “alta qualità ” peraltro iperabusata anche per prodotti derivati, visto che la stragrande maggioranza del latte pastorizzato in Europa ne ha sempre rispettato le relative specifiche senza bisogno di roboanti ed ingannatrici denominazioni.