Le grandi multinazionali del cibo, a cominciare da Nestlé e Danone, continuano a pubblicizzare il latte artificiale idrolizzato per la prevenzione delle allergie nei bambini con meno di sei mesi di età. Tutto ciò accade sebbene non ci siano prove scientifiche convincenti a supporto e anche se diversi paesi hanno vietato o fortemente limitato questo tipo di marketing. Le aziende, laddove è possibile – e si tratta di mercati enormi come la Cina o la Russia – continuano a spingere, avvalendosi anche degli strumenti più moderni come i social media e le app, nonostante abbiano tutte sottoscritto impegni e documenti di comportamento etico.
È un duro atto d’accusa nei confronti dei produttori quello contenuto in un articolo di approfondimento pubblicato su una delle più autorevoli riviste mediche del mondo, il British Medical Journal, e un invito a prendere provvedimenti molto più severi rispetto a quelli ancora vigenti in molti paesi. L’attenzione, in particolare, è posta sui due tipi di latte idrolizzato (parzialmente o estesamente), che contengono percentuali più o meno alte di proteine parzialmente trasformate in componenti più piccole, i peptidi, e che secondo la pubblicità dovrebbero indurre meno allergie (principalmente dermatite atopica ma non solo) e favorire lo sviluppo di un sistema immunitario più forte nei bambini molto piccoli. Ma l’Oms, in uno studio recentissimo ha definito tali pratiche come i “più sottovalutati e diffusi rischi per la salute dei bambini”, riferendosi soprattutto a quelli che nascono in paesi dove i tassi di malnutrizione infantile sono elevati. E Regno Unito, Europa e Stati Uniti hanno esplicitamente vietato tale pubblicità, con un’inversione di tendenza che è iniziata nel 2015.
In quell’anno, infatti, è stato smentito uno studio di 25 anni prima su cui erano state basate tutte le campagne di marketing degli ultimi anni, le cui conclusioni indicavano che le madri con allergie avrebbero dovuto alimentare i propri figli con latte artificiale. Il suo autore, inoltre, è stato dichiarato, con prove convincenti, colpevole di ‘cattiva condotta scientifica’. Un anno dopo, nel 2016, la Food Standards Agency (Fsa) britannica ha analizzato la letteratura scientifica esistente, e concluso che i dati disponibili non giustificano affatto l’associazione tra latte artificiale e allergie, contrariamente a quanto sostenuto dieci anni prima da una revisione del circuito Cochrane. Tuttavia, nel 2018 la stessa Cochrane ha aggiornato quello studio, giungendo a conclusioni identiche alla Fsa. Tutto ciò ha convinto Stati Uniti e Australia a modificare le proprie linee guida, mentre nel Regno Unito il National Institute for Health and Care Excellence (Nice) da allora consiglia solo il latte estesamente idrolizzato esclusivamente nel caso in cui sia accertata la presenza di un’allergia al latte vaccino (con dosaggio di anticorpi).
Ma le aziende non sembrano altrettanto convinte, né sembrano preoccuparsi molto di quanto consigliato dalle autorità sanitarie, e hanno semplicemente spostato il baricentro dei loro investimenti pubblicitari. Così Nestlé in Cina invita le mamme a prevenire le allergie dei figli con il suo latte idrolizzato NAN HA, e per essere più efficace si è alleata con JD Health, la piattaforma di salute più usata nel paese, entrando a far parte della sua app con contributi firmati anche da pediatri di altri paesi. Il piatto forte della pubblicità è il riferimento a uno studio chiamato German Infant Nutritional Intervention (GINI), anch’esso sbugiardato da anni per gravi pecche metodologiche. Nella giornata mondiale contro le allergie, NAN HA è stato pubblicizzato come superlatte, e ora la pressione è anche sulle versioni di proseguimento come NAN HA 3, da usare dopo i sei mesi. A sua difesa, Nestlé cita 25 studi, molti dei quali presenti nelle metanalisi Cochrane e non solo, e il follow up del GINI che sarebbe stato fatto a 20 anni dall’inizio. Ma che, secondo un esperto in allergologia pediatrica, anche quest’ultimo avrebbe gli stessi identici difetti statistici e di metodo già presenti all’avvio.
Nestlé è comunque in buona compagnia. Danone, infatti, si è concentrata sul mercato russo e su quello ucraino prima della guerra. In Russia pubblicizzava le sue formule idrolizzate attraverso social media, con lo slogan “aiuta a ridurre il rischio di allergie e lo sviluppo del sistema immunitario”, e in Ucraina si è concentrata sui siti web destinati a un pubblico femminile. Tutto ciò nonostante in entrambi i paesi la collocazione ufficiale di questi prodotti sia tra gli alimenti per bisogni medici speciali, e in barba a una politica interna dell’azienda che la impegna a non promuovere nei paesi più a rischio (come Russia e Ucraina) formule per neonati e di proseguimento destinate a bambini di età inferiore all’anno.
Il BMJ ricorda che secondo l’International Code on Marketing of Breast Milk Substitutes non ci dovrebbe essere alcun tipo di pubblicità rivolta a un pubblico generalista per i prodotto destinati a bambini con meno di tre anni. Ma aggiunge anche che pochi paesi hanno tradotto quelle raccomandazioni in leggi. E il futuro non sembra promettere nulla di buono: nel 2019 Danone ha aperto un nuovo stabilimento produttivo nei Paesi Bassi, con un investimento da 240 milioni di euro. Per il 2022 sono attese le nuove indicazioni europee per i latti idrolizzati e Danone ha già fatto sapere che, bontà sua, vi si adeguerà. In Europa, ovviamente.
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Giornalista scientifica