Si avvicina il primo compleanno per l’articolo 62: il 24 marzo si spegnerà una candelina. La norma rivoluzionaria é resistita ai fuochi contrapposti dei cecchini dei poteri forti che sino al 24 ottobre, data di applicazione, hanno giocato (e tuttora giocano) a esercitare lo strapotere negoziale per dettare legge su ogni contratto legato alle forniture di derrate agricole e alimentari.
Il 24 marzo 2012 è stata promulgata la legge n. 27 di conversione del fatidico “decreto liberalizzazioni”. Il suo articolo 62 introduce alcuni principi essenziali a ristabilire equilibrio nei rapporti commerciali interni alla filiera alimentare. In estrema sintesi, ecco le novità introdotte:
– obbligo di forma scritta dei contratti di cessione dei prodotti agricoli e alimentari in Italia tra operatori professionali;
– termini legali e inderogabili a favore del debitore per il pagamento delle predette merci;
– divieto di un’ampia serie di pratiche contrattuali e commerciali manifestamente inique delle quali viene offerto esempio non esaustivo;
– sanzioni amministrative pecuniarie, anche gravose, per la violazione delle regole sopra esposte;
– attribuzione all’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato (AGCM) di ampi poteri di vigilanza da attuare mediante iniziativa, istruttoria e irrogazione sanzioni.
Il 24 ottobre 2012 ha avuto inizio l’effettiva applicazione della norma. A partire da tale data é scattato il dovere di adeguare i pagamenti ai nuovi termini di legge, e di porre subito fine a tutte le pratiche commerciali sleali.
Il 31 dicembre 2012 si é celebrato, almeno in teoria, il falò di tutti gli accordi non conformi ai nuovi requisiti contrattuali. Requisiti di forma, immancabilmente scritta, e di sostanza, epurata dalle clausole inique.
Il 9 marzo 2013 è stato pubblicato il “Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di disciplina delle relazioni commerciali concernenti la cessione di prodotti agricoli e alimentari”, come deliberato dall’AGCM.
La festa dei furbetti è finita, i giochi della legalità hanno inizio. Partecipare è semplice: basta inviare all’Antitrust una lettera (anche tramite Posta Elettronica Certificata) nella quale esporre i dati dell’operatore commerciale non rispettoso dell’articolo 62, i propri, e una descrizione delle condotte illecite. Entro 120 giorni, massimo 180, l’Autorità dovrà avviare le indagini e concludere il procedimento.
E se qualcosa, per imprevisto, non andasse? Allora, sempre all’insegna della legalità, ci si potrà rivolgere al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR).
Dario Dongo
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Avvocato, giornalista. Twitter: @ItalyFoodTrade
Il tono trionfalistico di questo articolo stride sugli effetti dirompenti della norma sul sistema distributivo italiano (e sull’occupazione). Senza entrare nel merito, verrebbe da dire: l’operazione è riuscita, ma il paziente è morto!
Il sistema distributivo italiano, grazie a questa legge, ha occasione di allinearsi a quello europeo. Ricordiamo che i tempi biblici di pagamento dei prodotti alimentari sono un malcostume tutto italiano, e che a farne le spese per molti anni é stata una filiera produttiva estremamente frammentata in imprese piccole e microbe.
Il paziente destinato a soccombere forse non è il comparto distributivo di per sé, quanto piuttosto il suo management che sinora ha fatto quadrare i conti con stratagemmi disordinati e dannosi per l’intera filiera
ahimè…il cliente se non è morto è sulla buona strada!I nostri clienti (ristoranti e pizzerie) che già soffrivano lo scorso anno di scarsa liquidità e poco lavoro non hanno sicuramente trovato i soldi per ottemperare a questa norma, che ha sicuramente il pregio di dare tempi certi di pagamento, ma che è stata varata in un momento sicuramente sbagliato (almeno per quel che riguarda la ristorazione).
La risposta più gentile che ci viene data qualora si richieda il pagamento come da termini di legge, facendo presente che ci sono multe ed interessi è la seguente:”E che me ne frega, se i soldi non ce li ho non me li posso certo inventare!”. E delle eventuali multe…beh ci penseremo a tempo debito!
Mi permetto di dissentire, premesso che ho attività che spaziando dalla vendita all’ingrosso alla vendita al dettaglio mi permettono di essere in entrambi i fronti.
Mentre con la vendita al dettaglio (ristorante, ecc..) mi creo liquidità e per “abitudine” pago tutti a 30 giorni, con la vendita all’ingrosso (a ristoranti ecc..) spesso fornisco liquidità ad altre attività che la “investono” in auto di lusso, tenori di vita e abitudini che mal si conciliano con una condizione “di sana gestione”. A causa di una concorrenza sleale, carenza di regole e per cattive abitudini questo aumenta il rischio aziendale. Obbiettivamente non è “inflazionando” le attività e le regole dei pagamenti o di legge (anche se è stato il filo conduttore di questi anni) che si crea un economia sana.
Sarebbe ora che il comparto distributivo cominciasse a rivedere TUTTE le sue politiche alla luce della correttezza, non solo dei pagamenti, ma anche della spietata concorrenza che fa , con il sistema dei prodotti a marchio, nei confronti dei produttori di marca, ed anche dei più piccoli copackers , tutti presi per il collo con i prezzi e con i pagamenti. In questo caso rimandiamo la palla a “superconv”, che con le sue politiche condanna ciecamente a morte , o al limite della sopravvivenza, tutti i propri fornitori, inibendone anche le risorse da destinare allo sviluppo.
L’estensore dell’articolo si scorda di dire che il regolamento AGCOM limita l’applicazione dei controlli ai rapporti connotati da significativo squilibrio commerciale.
Quindi il ristorante, la pizzeria o il piccolo supermercato non sono soggetti ai controlli e a quanto dice il regolamento all’applicazione dell’articolo stesso.
E’ una novità non di poco conto
Claudio, un precedente articolo dell’avvocato Dongo pubblicato sul sito approfondisce proprio questo aspetto
Se parliamo in linea di principio, sottoscrivo in toto che l’art. 62 è sacrosanto. Anzi, TUTTI i debitori, non solo quelli dell’agroalimentare, dovrebbero pagare nei termini, e non sfruttare la propria posizione dominante per taglieggiare i creditori.
Se invece osserviamo la realtà, purtroppo, chi ha il coltello dalla parte del manico continua ad approfittarsi dei più deboli, inventando delle contropartite in cambio del pagamento “rapido”. Altri, peggio ancora, infischiandosene dell’art.62, non pagavano prima e continueranno a non pagare, salvo poi vendere le aziende o mandarle in fallimento.
E quindi torno a ripetere che il bilancio dei primi mesi dell’art.62 (anche se nato con buoni propositi) non li racconterei con toni così trionfalistici.
Mi permetto di fare alcune considerazioni, la “realtà” è forse dato dal fatto che non esisteva nessuna legislazione che introduceva dei termini perentori e delle sanzioni sulla mancata applicazione di regole che dovrebbero essere di equità e uguaglianza per tutti gli attori, nessuno pagava puntuale. Introducendo tali garanzie questo permette di valutare anche eventuali sconti in cambio del pagamento “rapido” che all’opposto sarebbe un incognita nella gestione della liquidità aziendale. Per quanto riguarda il pagamento degli operatori al dettaglio, vorrei ricordare che mentre gli stessi incassano alla vendita, pagano i fornitori successivamente e questo creava quel circuito di eccessiva liquidità che induceva l’utilizzo della stessa in altre attività che spesso portavano l’azienda a penalizzare i fornitori e i dipendenti (tfr, contributi ecc..). L’esempio più lampante è che in Italia abbiamo coniato il detto “pagare e morire c’è sempre tempo”.