Un approfondimento per capire come sta evolvendo il food delivery, nell’articolo di Giovanni Ballarini su Georgofili.info, notiziario di informazione a cura dell’Accademia dei Georgofili.
Avere il cibo pronto in casa con il food delivery, o consegna a domicilio di cibo, un fenomeno sempre più diffuso del quale si interessa anche l’ISTAT che ha inserito il cibo a domicilio nell’elenco di beni e servizi che compongono la spesa media delle famiglie italiane e su cui viene calcolata l’inflazione. Il fenomeno del food delivery ad opera dei ciclo-fattorini è oggi un mercato che sembra interessare circa un terzo degli italiani, regolarmente poco meno di quattro milioni e occasionalmente circa quindici milioni, per diversi motivi: scarsa voglia, tempo o capacità di cucinare, non rinunciare a una buona cucina senza dover uscire di casa, voglia di stupire amici e parenti con piatti di qualità, desiderio di provare piatti nuovi e originali. Un fenomeno che oltre a influire sui consumi contribuisce anche a cambiare i gusti e le abitudini alimentari e il ruolo della ristorazione, con la comparsa per esempio delle dark kitchen o ghost kitchen, ristoranti virtuali o cucine chiuse, evoluzione del food delivery, cucine pensate esclusivamente per la produzione di piatti da esportare e dove il cliente non si reca mai fisicamente.
La novità e la forza della consegna a domicilio e soprattutto delle cucine dedicate esclusivamente a questo servizio, sono i big data e cioè la raccolta e conoscenza delle preferenze e dei profili degli utenti che sono raccolti, organizzati e studiati. Chi possiede quei dati può predisporre gli acquisti, organizzare il lavoro e fare proposte in base alle pietanze più richieste in un dato periodo, quali sono le più ordinate secondo i giorni della settimana, la stagione, la situazione climatica o altro, facendo fronte agli ordini da consegnare ai rider delle varie imprese di distribuzione, in un nuovo modello di cucina globale che alle cucine virtuali o chiuse dà la possibilità di gestire al meglio la domanda dei clienti.
Non sappiamo se e come la ghost kitchen potrà evolvere, ma rispetto ai ristoranti classici porta sicuramente dei vantaggi perché attraverso la raccolta e l’analisi dei dati relativi agli ordini e la zona in cui opera è possibile prevedere le richieste del mercato muovendosi di conseguenza. Vi è inoltre meno stress sulla cucina occupandosi solo degli ordini online, con meno rischio di ritardi per la preparazione delle comande.
Il cibo non è solo alimento e cultura ma è anche e soprattutto convivialità che parte dall’ambiente dove questo è consumato e con chi. La dark kitchen può essere un nuovo modo di concepire la ristorazione in una convivialità non scomparsa, ma solamente spostata presso la casa. Quando si hanno invitati a cena ma non si ha la possibilità, la voglia o i fastidi di cucinare, avere a disposizione un’intera cena o uno o due piatti pronti è il migliore sistema per una convivialità senza incomodi e più libera.
La vita moderna è caotica e frenetica e altrettanto pratico e veloce deve essere il mondo che la circonda. Non è facile se non impossibile prevedere il futuro anche se è possibile pensare a un tipo di cucina che si affianchi a quelle già consolidate, così come abbiamo accettato il cibo surgelato o precotto senza che sia scomparso quello fresco.
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Professore Emerito dell’Università degli Studi di Parma e docente nella Facoltà di Medicina Veterinaria dal 1953 al 2002
Queste cucine convengono perché ai rider non sono riconosciuti i diritti di lavoratori dipendenti, ricevono salari indecenti, sono controllati dalle piattaforme e poi buttati via.
Perfettamente d’accordo con Laura. Penso inoltre che la ricerca di cibi particolari sia un ulteriore bisogno indotto, se ho amici a cena non ho bisogno di stupirli, se non ho tempo di cucinare (ma molti piatti si possono preparare in anticipo…) ci si accorda che ognuno porti qualcosa. Riusciremo mai a non essere burattini nelle mani di chi dirige i nostri consumi?
guardo con orrore al disfacimento della tradizione culinaria italiana, che con tale “evoluzione” (la metto tra parentesi perché la ritengo una involuzione) apre la porta a qualsiasi futura interpretazione e soprattutto distorsione.
Oggi si parla forse di una elite imprenditoriale che ha scelto queste forme di produzione e consegna, ma in breve arriveranno anche gli altri, i cugini di quelli che sono andati ad aprire i ristoranti in USA e altri paesi, usurpando la fama della cucina Italiana solo perché avevano il nome e la discendenza ma no le competenze né la sensibilità.
A breve il piattume colorato di mille gadget senza più alcuna aderenza alla tradizione, la morte delle varietà locali e l’inerzia di un popolo sempre più incline alle futilità dedicate a se stesso e privo di ogni responsabilità e soprattutto di manualità.
A quando il fattorino che ti aprirà anche la scatola perché non saremo più nemmeno in grado di farlo da noi stessi tanto saremo inabili con le mani?
Concordo con Laura, Paola e Luca Codeluppi.
Al professore Ballarini dico che senza una considerazione approfondita dei rilievi mossi da Paola e Laura non ci sarà progresso, ma solo involuzione e imbruttimento. Non siamo di fronte a un miglioramento tecnologico nella conservazione di alimenti o piatti pronti come fu la surgelazione mezzo secolo fa; ma all’annullamento di tradizioni consolidate che, attraverso la preparazione alimentare e l’uso sapiente dei prodotti della terra, permette all’uomo l’estrinsecarsi di una delle sue qualità umane più peculiari: la cura di sé, dei propri cari e dell’ambiente. In una parola: cultura.